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Fatto di lieve entità: no con grosse quantità di droga

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un individuo condannato per detenzione di stupefacenti, negando l’applicazione del ‘fatto di lieve entità’. La decisione si basa sulla notevole quantità di cocaina (230,6 grammi), già suddivisa in 306 dosi pronte per la vendita e sul possesso di una cospicua somma di denaro, elementi che indicano un inserimento stabile in un circuito criminale e non un’attività marginale.

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Pubblicato il 2 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Fatto di Lieve Entità: Quando Quantità e Confezionamento Escludono lo Sconto di Pena

L’applicazione del fatto di lieve entità nel contesto dei reati di droga rappresenta una delle questioni più dibattute nel diritto penale. Questa attenuante può ridurre significativamente le conseguenze sanzionatorie per l’imputato, ma la sua concessione è subordinata a una valutazione rigorosa di tutti gli elementi del caso. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce ancora una volta quali sono i paletti che impediscono di qualificare un’attività di spaccio come ‘lieve’, ponendo l’accento sulla quantità di stupefacente e sulle modalità di confezionamento.

I Fatti di Causa

Il caso esaminato trae origine dalla condanna di un soggetto per la detenzione a fini di spaccio di un quantitativo significativo di cocaina, pari a 230,6 grammi lordi. La sostanza non era solo ingente, ma era anche già stata suddivisa in 306 confezioni termosaldate, pronte per essere immesse sul mercato. Oltre alla droga, le forze dell’ordine avevano rinvenuto una somma di 1.160 euro, ritenuta provento dell’attività illecita.

L’imputato, nel corso del processo, aveva tentato di minimizzare il proprio ruolo, sostenendo di essere un mero custode della sostanza per conto di terzi in cambio di un compenso. Tuttavia, sia in primo grado che in appello, i giudici avevano escluso la possibilità di applicare l’attenuante del fatto di lieve entità.

Il Ricorso in Cassazione e il Fatto di Lieve Entità

L’imputato ha presentato ricorso per Cassazione lamentando proprio la mancata applicazione del quinto comma dell’art. 73 del d.P.R. 309/1990. Secondo la difesa, i giudici di merito non avrebbero valutato correttamente la sua posizione, trascurando la sua dichiarazione di agire come semplice depositario.

La questione centrale, quindi, era stabilire se una detenzione così rilevante, seppure per conto altrui, potesse rientrare in una cornice di ‘lieve entità’.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo generico e basato su elementi di fatto già ampiamente valutati nei precedenti gradi di giudizio. I giudici hanno confermato la correttezza della decisione della Corte d’Appello, sottolineando che la valutazione per la concessione del fatto di lieve entità deve essere globale e tenere conto di tutti gli indicatori della condotta.

Nel caso specifico, sono stati evidenziati tre elementi decisivi:

1. La quantità ingente: 230,6 grammi di cocaina, corrispondenti a 671 dosi, sono stati considerati di per sé un dato incompatibile con una valutazione di lieve entità.
2. Le modalità di confezionamento: La suddivisione in 306 dosi pronte alla cessione è stata interpretata come un chiaro indice di un’attività organizzata e non occasionale.
3. La disponibilità di denaro: Il possesso di 1.160 euro, non giustificabile con la capacità reddituale dell’imputato, ha rafforzato l’ipotesi di un’attività criminale strutturata.

La Corte ha inoltre specificato che la giustificazione di essere un semplice ‘custode’ non solo non aiuta, ma è addirittura controproducente. Tale ruolo, infatti, presuppone un rapporto di fiducia con i fornitori e dimostra un ‘inserimento stabile in un circuito criminale’, aspetto che è l’esatto opposto di quella marginalità richiesta per il riconoscimento del fatto di lieve entità. La decisione è stata presa in linea con i principi già affermati dalle Sezioni Unite nella nota sentenza ‘Murolo’ del 2018.

Le Conclusioni

Con questa ordinanza, la Cassazione ribadisce un principio fondamentale: per valutare la lieve entità di un reato di spaccio non si può prescindere da dati oggettivi come la quantità, la suddivisione in dosi e il possesso di denaro. Quando questi elementi indicano un’operatività strutturata e una non marginale partecipazione al mercato della droga, non vi è spazio per sconti di pena. La condanna dell’imputato al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende sigilla la vicenda, confermando la linea dura della giurisprudenza nei confronti di attività di spaccio che, per le loro caratteristiche, non possono essere considerate di minor allarme sociale.

Avere una grande quantità di droga già divisa in dosi esclude l’applicazione del ‘fatto di lieve entità’?
Sì, secondo l’ordinanza, una quantità ingente di stupefacente (in questo caso 230,6 grammi di cocaina) già suddivisa in centinaia di dosi pronte per la vendita è un elemento oggettivo che, insieme ad altri indici, rende incompatibile la qualificazione del reato come di lieve entità.

Affermare di custodire la droga per conto di terzi può aiutare a ottenere il ‘fatto di lieve entità’?
No, al contrario. La Corte ha stabilito che tale dichiarazione è controproducente, in quanto dimostra lo stabile inserimento del soggetto in un circuito criminale, una condizione che esclude la marginalità e l’occasionalità richieste per l’applicazione dell’attenuante.

Cosa succede quando un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, la Corte non esamina il merito della questione. Come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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