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Fatto di lieve entità: la valutazione complessiva del giudice

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imputato condannato per spaccio, che chiedeva il riconoscimento del fatto di lieve entità. La Corte ribadisce che per tale qualificazione è necessaria una valutazione complessiva di tutti gli elementi (quantità e qualità della sostanza, mezzi, modalità dell’azione). In questo caso, la quantità significativa (17,93g per 345 dosi) e gli strumenti per il confezionamento sono stati ritenuti sufficienti a escludere la minima offensività del fatto, confermando la decisione dei giudici di merito.

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Pubblicato il 27 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Fatto di Lieve Entità: La Valutazione Globale del Giudice secondo la Cassazione

Nel diritto penale in materia di stupefacenti, la distinzione tra le diverse fattispecie di reato è cruciale e può determinare differenze sanzionatorie molto significative. Una delle questioni più dibattute è il riconoscimento del fatto di lieve entità, previsto dall’art. 73, comma 5, del d.P.R. 309/1990. Con l’ordinanza n. 39383/2024, la Corte di Cassazione torna a pronunciarsi sui criteri che il giudice deve seguire per valutare se un episodio di spaccio possa rientrare in questa ipotesi meno grave, sottolineando l’importanza di una valutazione complessiva e non atomistica degli indici normativi.

La Vicenda Processuale

Il caso trae origine dal ricorso presentato da un imputato, condannato dalla Corte d’Appello di Roma per il reato di cui all’art. 73, comma 4, del Testo Unico Stupefacenti. L’imputato contestava la decisione dei giudici di merito, chiedendo che il fatto venisse riqualificato come fatto di lieve entità. Il suo ricorso si basava essenzialmente sulla richiesta di una diversa valutazione degli elementi probatori, sperando in un esito più favorevole in sede di legittimità.

La Corte di Cassazione, tuttavia, ha dichiarato il ricorso inammissibile, chiudendo di fatto la vicenda e confermando la condanna.

Il Principio di Diritto: Cos’è il Fatto di Lieve Entità?

La fattispecie del fatto di lieve entità è stata introdotta per distinguere le condotte di spaccio con un’offensività penale minima da quelle più gravi. La legge stessa indica i parametri che il giudice deve considerare per questa valutazione:
* I mezzi, le modalità e le circostanze dell’azione.
* La quantità e la qualità delle sostanze.

La giurisprudenza, comprese le Sezioni Unite, ha costantemente affermato che questa valutazione non può basarsi su un singolo elemento, ma deve essere il risultato di un’analisi globale e combinata di tutti gli indici. Ciò significa che la presenza di più tipi di sostanze, ad esempio, non esclude a priori la lieve entità, così come una quantità modesta non la garantisce automaticamente. Tutto dipende dal contesto complessivo del fatto.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha ritenuto il ricorso inammissibile per due ragioni principali.

Inammissibilità per Genericità e Infondatezza

In primo luogo, il ricorso è stato giudicato una ‘pedissequa reiterazione’ dei motivi già presentati e respinti in appello. La Corte ha ricordato che il ricorso per cassazione deve contenere una critica specifica e argomentata alla sentenza impugnata, non limitarsi a riproporre le stesse difese. Un ricorso così formulato è considerato non specifico e, quindi, inammissibile.

La Corretta Valutazione del Giudice di Merito per il Fatto di Lieve Entità

In secondo luogo, e nel merito, la Corte ha stabilito che la valutazione operata dalla Corte d’Appello era corretta, logica e immune da vizi. I giudici di merito avevano escluso la lieve entità sulla base di una ‘valutazione globale del fatto’, considerando:
1. Il dato ponderale: la quantità di sostanza sequestrata (17,93 grammi) era tutt’altro che trascurabile, essendo idonea a ricavare ben 345 dosi.
2. Gli strumenti: nell’abitazione dell’imputato erano stati rinvenuti un bilancino di precisione e ritagli di cellophane, chiari indici di un’attività di confezionamento e spaccio organizzata.

La Cassazione ha sottolineato che, sebbene la valutazione debba essere complessiva, anche un solo elemento può assumere un peso preponderante tale da escludere la minima offensività. In questo caso, la notevole quantità di droga, unita agli strumenti per la preparazione delle dosi, ha legittimamente portato il giudice a negare la qualificazione di fatto di lieve entità.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia

L’ordinanza in commento consolida un principio fondamentale in materia di stupefacenti: la qualificazione di un reato come fatto di lieve entità non deriva da calcoli matematici o da valutazioni parcellizzate, ma da un giudizio complessivo del giudice di merito. Questa decisione ribadisce che la valutazione del giudice, se logicamente motivata e basata su tutti gli elementi previsti dalla norma, è insindacabile in sede di legittimità. Per gli operatori del diritto, ciò significa che la difesa deve concentrarsi sulla dimostrazione della minima offensività complessiva della condotta, senza poter sperare di ribaltare in Cassazione una valutazione di fatto ben argomentata nei gradi precedenti.

Quando un reato di spaccio di droga può essere considerato un ‘fatto di lieve entità’?
Un reato di spaccio è di lieve entità solo se presenta una minima offensività penale. Il giudice deve valutare complessivamente tutti gli elementi indicati dalla norma: i mezzi usati, le modalità e le circostanze dell’azione, nonché la qualità e la quantità della sostanza.

Una quantità di droga non trascurabile esclude automaticamente la lieve entità?
Non automaticamente, poiché la valutazione deve essere sempre globale. Tuttavia, come chiarito in questa ordinanza, anche un solo elemento, come una quantità significativa di sostanza (in questo caso 17,93 grammi, sufficienti per 345 dosi), può essere considerato preponderante e da solo sufficiente per escludere la lieve entità.

È possibile presentare in Cassazione le stesse argomentazioni già respinte in Appello?
No. La Cassazione ha ribadito che un ricorso che si limita a ripetere (‘pedissequa reiterazione’) gli stessi motivi già respinti in appello, senza una critica argomentata e specifica alla sentenza impugnata, è considerato generico e quindi inammissibile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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