Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 39383 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 39383 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a ROMA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 15/09/2023 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Motivi della decisione
La Corte d’appello di Roma, con la pronuncia di cui in epigrafe, ha confermato la condanna di NOME COGNOME per la fattispecie di cui all’art. 73, comma 4, d.P.R. n. 309 del 1990. È stato proposto ricorso per l’imputato fondato su un motivo, deducente la violazione di legge in merito alla mancata riqualificazione nella fattispecie di cui al comma quinto del citato art. 73.
Il ricorso è inammissibile per plurime ragioni.
In primo luogo, come emerge dal raffronto con i motivi d’appello (esplicitati a pag. 2 della sentenza impugnata), è fondato esclusivamente su motivo che si risolve nella pedissequa reiterazione di quello già dedotto in appello e puntualmente disatteso dalla Corte territoriale (pag. 4), dovendosi quindi lo stesso considerare non specifico ma soltanto apparente, in quanto omette di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (ex plurimis: tra le più recenti, Sez. 4, n. 30040 del 23/05/2024, COGNOME, in motivazione; Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Boutartour, Rv. 277710 – 01).
Il ricorso è manifestamente infondato, oltre che in fatto. 5. Deve preliminarmente ribadirsi che, in riferimento alle condizioni per l’applicabilità dell’ipotesi di cui al comma 5 dell’art. 73, d.P.R. n. 309 del 1990, ai fini della concedibilità o del diniego della fattispecie di lieve entità, il giudic tenuto a complessivamente valutare tutti gli elementi indicati dalla norma, sia quelli concernenti l’azione (mezzi, modalità e circostanze della stessa), sia quelli che attengono all’oggetto materiale del reato (quantità e qualità delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa); potendo comunque ritenersi non configurata l’ipotesi in esame quando anche uno solo di detti elementi porti ad escludere in modo preponderante che la lesione del bene giuridico protetto sia di «lieve entità» (ex plurimis: Sez. 4, n. 20130 del 19/04/2022, COGNOME, in motivazione; Sez. 6, n. 7464 del 28/11/2019, dep. 2020, Riccio, Rv. 27861501). La Corte regolatrice ha in particolare considerato che il riconoscimento del reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 richiede un’adeguata valutazione complessiva del fatto, in relazione a mezzi, modalità e circostanze dell’azione, qualità e quantità della sostanza con riferimento al grado di purezza, in modo da pervenire all’affermazione di lieve entità in conformità ai principi costituzionali di offensività e proporzionalità della pena. La configurabilità dell’ipotesi lieve non può essere esclusa sulla base di singoli parametri, quali la diversa tipologia delle sostanze cedute o lo svolgimento non occasionale dell’attività di spaccio, astraendo tali elementi dalla ricostruzione fattuale nella sua interezza, fondata su una razionale analisi riguardante la combinazione di tutte le specifiche circostanze (Sez. 4, n. 17674 del 09/04/2019, COGNOME; Sez. 6, n. 1428 del 19/12/2017, dep. 2018, Ferretti, Rv. 271959-01). In argomento si registra altresì l’intervento delle Sezioni Unite per le quali la diversità di sostanze stupefacenti oggetto della condotta non è di per sé ostativa alla configurabilità del reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, proprio in quanto l’accertamento della lieve entità del fatto implica una valutazione complessiva degli elementi della fattispecie concreta, selezionati in relazione a tutti gli indic sintomatici previsti dalla disposizione (Sez. U, n. 51063 del 27/09/2018, COGNOME, Rv. 274076-01). La Corte costituzionale, peraltro, con la sentenza n. 40 del 2019, nel dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 73, comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990, nella parte in cui prevede la pena minima edittale nella misura di otto anni di reclusione anziché di anni sei, si è soffermata sulla fattispecie di cui al comma 5 del citato art. 73, sviluppando considerazioni di certa conducenza ai Corte di Cassazione – copia non ufficiale
fini di interesse e sulla base del diritto vivente in materia. Nell’evidenziare l divaricazione di ben quattro anni venutasi a creare tra il minimo edittale di pena previsto dal comma 1 dell’art. 73 cit. il massimo edittale della pena comminata dal comma 5 dello stesso articolo, il Giudice delle leggi ha rilevato che «il costante orientamento della Corte di cassazione è nel senso che la fattispecie di lieve entità di cui all’art. 73, comma 5, può essere riconosciuta solo nella ipotesi di minima offensività penale della condotta, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati dalla disposizione». Le considerazioni che precedono inducono conclusivamente a confermare che, secondo diritto vivente, l’ipotesi di reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 risulta qualificata dalla minima offensività penale della condotta e che, al riguardo, il giudice di merito deve procedere a una valutazione complessiva dei parametri indicati dalla citata norma incriminatrice pur potendo, all’esito, uno solo di essi essere ritenuto tale da escludere in modo preponderante che la lesione del bene giuridico protetto sia di «lieve entità» (ex Sez. 4, n. 20130/2022, DoNOME, cit.; Sez. 7, n. 39953 del 21/09/2022, COGNOME). Orbene, la Corte territoriale, nel confermare la sentenza di primo grado, ha dato corso a una complessiva valutazione dei termini di fatto della vicenda in esame, in conformità all’indirizzo ora richiamato, giungendo a escludere che la lesione del bene giuridico protetto potesse considerarsi di «lieve entità». Il giudice di secondo grado, all’esito di valutazioni di merito non sindacabili in questa sede in quanto supportate da motivazione coerente e non manifestamente illogiche, ha in particolare escluso la minima offensività penale della condotta dell’imputato, collocandola in una «valutazione globale del fatto» tale da considerare mezzi, modalità e circostanze dell’azione nonché quantità e qualità della sostanza stupefacente. È stato difatti argomentato dall’apprezzabile entità del dato ponderale della sostanza sequestrata, 17,93 g, con principio avvito pari a circa il 50% e tale da rendere possibile il ricavo di 345 dosi. Gli elementi di cui innanzi sono stati poi letti alla luce della disponibilità di strument per il confezionamento delle dosi (bilancino di precisione e intagli di cellophane) rinvenuti, insieme alla sostanza stupefacente, nell’abitazione del prevenuto (sottoposto alla sorveglianza speciale). Sicché, i rilievi, le deduzioni e le doglianze espressi dal ricorrente, benché dedotti sotto la prospettazione di violazioni di legge, si sviluppano tutti nell’orbita delle censure di merito, con le quali, peraltro previa valutazione atomistica delle accertate circostanze fattuali, si mira a sostituire a quella del giudicante la propria valutazione degli elementi probatori, con conseguente inammissibilità del ricorso ai sensi dell’art. 606, comma 3, cod. proc. pen. in quanto deducente motivo diverso da quelli prospettabili in sede di legittimità, articolandosi in mere doglianze in fatto (sul contenuto essenziale dell’atto d’impugnazione si veda, ex plurimis, Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo, Rv. 254584 – 01). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, ex art. 616 cod. proc. pen. (equa in ragione delle evidenziate cause d’inammissibilità).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 17 settembre