Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 29483 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 29483 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 02/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME (CUI CODICE_FISCALE nato il 01/01/1992
avverso la sentenza del 01/02/2024 della CORTE APPELLO di FIRENZE
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero
RITENUTO IN FATTO
La Corte d’appello di Firenze, con sentenza resa in data 1/2/2024, in parziale riforma della pronuncia del Tribunale di Grosseto, che aveva ritenuto NOME COGNOME responsabile di plurime cessioni a terzi di sostanza stupefacente del tipo cocaina ed hashish, ha rideterminato la pena inflitta all’imputato, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche nella massima estensione, in quella di anni sei, mesi due di reclusione ed euro 19,200,00 di multa.
Avverso la sentenza di cui sopra ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del difensore, articolando i seguenti motivi di ricorso.
Inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, vizio di motivazione in relazione all’art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90.
La sentenza impugnata sarebbe meritevole di annullamento per insufficienza della motivazione offerta in risposta al puntuale motivo di appello riguardante la invocata riqualificazione del fatti ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90.
La Corte di merito si sarebbe limitata a stabilire l’esclusione del fatto di lieve entità sulla base di argomentazioni generiche ed a pod ittiche.
Le circostanze emergenti dalla disamina dei fatti rivela la riconducibilità delle condotte serbate dal ricorrente nell’ambito del c.d. “piccolo spaccio”. Non solo i quantitativi riguardanti le singole cessioni erano di modesta entità, ma anche il numero di acquirenti era contenuto; inoltre, gli accertamenti effettuati non hanno rivelato l’esistenza di floridi, costanti canali di approvvigionamento della sostanza stupefacente.
Secondo gli orientamenti più recenti della giurisprudenza di legittimità, l’esclusione della fattispecie di cui al comma quinto dell’art. 73 dpr 309/90 è individuabile nel caso della gestione di una c.d. “piazza di spaccio”, connotata dalla esistenza di un’articolata organizzazione di supporto, in grado di assicurare uno stabile commercio della sostanza stupefacente, mentre la disponibilità di sostanze eterogenee non è più considerata circostanza dirimente al fine di escludere la lieve entità.
Il percorso valutativo seguito dalla Corte territoriale sarebbe insoddisfacente, non essendosi i giudici confrontati con le numerose circostanze deponenti per l’ipotesi della lieve entità, contravvenendo ai principi fissati dalla pronuncia a Sezioni Unite Murolo (sent. n. 51063/2018), che impone, nell’affermare o negare la tipicità del fatto ai sensi dell’art. 73, comma 5, T.U. stup., di vagliare tutti gli aspetti normativamente rilevanti.
II) Inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, vizio di motivazione in relazione all’art. 133 cod. pen.
Del pari censurabile sarebbe la sentenza impugnata sotto il profilo della motivazione espressa in punto di trattamento sanzionatorio. Con il secondo motivo di appello, COGNOME si doleva della individuazione della pena base (determinata in anni 7 di reclusione ed euro 26.000 di multa), chiedendo alla Corte d’Appello di Firenze di rideterminare la pena-base in misura corrispondente al minimo edittale previsto per il delitto di cui all’art. 73, comma primo, d.P.R. n. 309/90.
La Corte d’appello di Firenze con motivazione illogica e contraddittoria richiama in maniera del tutto generica l’uso corretto della dosimetria della pena, senza alcun riferimento ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen.
L’art. 132 cod. pen. riconosce al Giudice un potere discrezionale nell’applicazione della pena, ma tale autonomia è bilanciata dal dovere di indicare i motivi che ne giustificano l’uso; ed infatti nel successivo articolo 133 cod. pen. è contenuta la enunciazione di precisi parametri di riferimento nella determinazione del trattamento sanzionatorio. Nella sentenza non si rinvengono argomentazioni in grado di giustificare un simile distacco dal limite edittale minimo.
Non è precisato in motivazione quale fosse la condotta più grave; gli aumenti apportati a titolo di continuazione tra le varie ipotesi di cessione di sostanza stupefacente ascritte all’imputato non sono specificati, così rendendo non intelligibile il metodo seguito per il calcolo della pena. La pena base deve essere commisurata alla singola fattispecie di reato ritenuta più grave e, nell’ambito delle imputazioni elevate a carico di COGNOME (che attengono a diversi episodi), non si rinvengono argomentazioni a sostegno del trattamento sanzionatorio eletto.
3. Con requisitoria scritta, il Procuratore generale presso la Corte di Cassazione ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
La fattispecie della lieve entità, disciplinata normativamente dall’art. 73, comma quinto, d.P.R. n. 309/90, può essere riconosciuta solo in ipotesi di minima offensività penale della condotta, deducibile dal dato qualitativo e quantitativo, e dagli altri parametri richiamati nella disposizione (mezzi, modalità, circostanze dell’azione).
Secondo l’orientamento tradizionale espresso dalla Corte di legittimità, ai fini della determinazione della minima offensività, ove anche uno degli indici previsti dalla legge risultasse negativamente assorbente, ogni altra considerazione restava priva di incidenza sul giudizio (Sez. U, n. 17 del 21/06/2000, Primavera, Rv. 216668; Sez. U, n. 35737 del 24/06/2010, Rico, Rv. 247911; Sez. 3, n. 32695 del 27/03/2015, Genco, Rv. 264491).
Nel tempo è intervenuto un sostanziale superamento di tale tradizionale impostazione da parte delle Sezioni semplici della Cassazione, dovuto anche ai cambiamenti della norma.
Il superamento definitivo è stato sancito dalla pronuncia delle Sezioni Unite Murolo, che ha fatto chiarezza sui presupposti applicativi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90 (Sez. U, n. 51063 del 27/09/2018, Murolo).
Nell’articolata motivazione della citata pronuncia, nella quale si ripercorrono i diversi orientamenti succedutisi in materia, per quanto rileva in questa sede, si precisa:”Ritenere che la valutazione degli indici di lieve entità elencati dal comma 5 dell’art. 73 debba essere complessiva, significa certamente abbandonare l’idea che gli stessi possano essere utilizzati dal giudice alternativamente, riconoscendo od escludendo, cioè, la lieve entità del fatto anche in presenza di un solo indicatore di segno positivo o negativo, a prescindere dalla considerazione degli altri. Ma allo stesso tempo anche che tali indici non debbano tutti indistintamente avere segno positivo o negativo.
Il percorso tracciato dal legislatore impone di considerare, infatti, anche la possibilità che tra gli stessi si instaurino rapporti di compensazione e neutralizzazione in grado di consentire un giudizio unitario sulla concreta offensività del fatto anche quando le circostanze che lo caratterizzano risultano prima facie contraddittorie
in tal senso, come del resto già era stato in passato sostenuto in alcuni arresti delle Sezioni semplici (cfr., Sez. 6, n. 167 del 23/01/1992, COGNOME, Rv. 189462; Sez. 4, n. 8954 del 11/05/1992 Bondi, Rv. 191643, la quale, ad esempio, ha sottolineato come la lieve entità del fatto possa essere riconosciuta anche in presenza di una non modica quantità di droga, qualora la concreta modalità e la circostanza della condotta ne ridimensionino la rilevanza penale).
All’esito della valutazione globale di tutti gli indici che determinano il profilo tipico del fatto di lieve entità, è poi possibile che uno di essi assuma in concreto valore assorbente e cioè che la sua intrinseca espressività sia tale da non poter essere compensata da quella di segno eventualmente opposto di uno o più degli altri, come per l’appunto affermato nei precedenti arresti delle Sezioni Unite. Ma è per l’appunto necessario che una tale statuizione costituisca l’approdo della valutazione complessiva di tutte le circostanze del fatto rilevanti per stabilire la sua entità alla luce dei criteri norma tivizzati e non già il suo presupposto.
Ed è parimenti necessario che il percorso valutativo così ricostruito si rifletta nella motivazione della decisione, dovendo il giudice, nell’affermare o negare la tipicità del fatto ai sensi dell’art. 73, comma 5, T. U. stup., dimostrare di avere vagliato tutti gli aspetti normativamente rilevanti e spiegare le ragioni della ritenuta prevalenza eventualmente riservata a solo alcuni di essi”.
Volendo riassumere il novum predicato dal Supremo consesso nella sentenza COGNOME, per quanto di rilievo in questa sede, è possibile ricavare i seguenti criteri ermeneutici: la valutazione da effettuarsi, ai fini del riconoscimento del fatto di lieve entità, deve essere complessiva (bisogna cioè tenere conto di tutti gli aspetti della fattispecie concreta che si pongano all’attenzione del Giudice); deve escludersi una considerazione alternativa dei parametri valutativi dotati di carattere positivo o negativo; nel giudizio di complessiva ponderazione possono instaurarsi rapporti valutativi di neutralizzazione, compensazione e preponderanza tra i diversi parametri.
Ebbene, la Corte d’appello, attingendo correttamente a tutti i dati probatori disponibili ed effettuando una valutazione complessiva della condotta del ricorrente, ha negato la ricorrenza della fattispecie
di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90 sulla base di una serie di circostanze (assiduità delle condotte, diversa qualità delle sostanze cedute, pluralità dei destinatari, significativo arco temporale di svolgimento della condotta, esistenza di una organizzazione rudimentale) indicative della capacità di diffusione sul mercato degli stupefacenti che non può dirsi caratterizzata da minima offensività.
L’apprezzamento di tali aspetti, basato sulla considerazione di profili attinenti al merito, risulta non sindacabile in questa sede, non individuandosi nel ragionamento seguito dalla Corte territoriale manifestazioni di evidente illogicità o contraddittorietà.
Diversamente da quanto sostenuto dalla difesa, la ritenuta esistenza di una pur rudimentale organizzazione nell’attività di cessione dello stupefacente non è fondata su argomentazioni assertive e apodittiche. La Corte di merito ha spiegato che l’attività illecita, posta in essere anche in concorso con altro coimputato, era realizzata in una zona boschiva, nella quale esistevano forme di sorveglianza che facilitavano le operazioni di cessione; inoltre, è stata accertata l’esistenza di una utenza dedicata allo svolgimento dell’attività illecita di cui si tratta (v. pag. 5 della sentenza).
Al riguardo non è superfluo richiamare il condivisibile orientamento, in base al quale «non può ritenersi di lieve entità il fatto compiuto nel quadro della gestione di una “piazza di spaccio”, ancorché i singoli episodi di cessione siano di modica quantità, giacchè anche tale condotta, in quanto posta in essere nell’ambito di un’articolata organizzazione di supporto, è indice di una comprovata capacità dell’autore di assicurare uno stabile commercio di sostanza stupefacente» (così Sez. 3, n.14961 24/01/2022 n.m.).
La determinazione della pena base in misura di poco superiore al minimo edittale rimane insindacabile in sede di legittimità, essendo rimessa alla discrezionalità del giudice la individuazione della sanzione più adeguata al caso concreto.
Peraltro, la Corte d’appello, nel condividere la decisione del primo giudice sul punto, ha fornito un’adeguata motivazione in ordine alle ragioni del discostamento dal minimo edittale, ponendo in evidenza la gravità dei fatti per reiterazione delle condotte e qualità delle sostanze commerciate.
Deve rammentarsi come, in base a consolidato orientamento di questa Corte, debba ritenersi inammissibile la censura che miri, in
sede di legittimità, ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di un ragionamento illogico (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013 – 04/02/2014, COGNOME, Rv. 259142).
Infondato è, GLYPH invece, GLYPH il rilievo riguardante la mancata individuazione del reato più grave ai fini della determinazione della pena base.
Come osservato nel ricorso, i giudici di merito, nel calcolo effettuato, non hanno indicato, tra i numerosi episodi di cui si è reso responsabile l’imputato, quello ritenuto più grave. Risulta comunque evidente come la pena base sia stata individuata considerando più gravi gli episodi che riguardavano il commercio dello stupefacente di tipo cocaina.
Rispetto alle contestazioni dei singoli episodi, ciascuno dei quali riguardante diverse cessioni protrattesi per mesi, anche di quantitativi non determinati, la Corte d’appello ha ritenuto certamente più gravi quelli aventi ad oggetto la cocaina, puniti con pena più elevata.
Al cospetto di condotte omogenee, nell’ambito delle quali risultava impossibile determinare quella più grave, ha giustificato il lieve discostamento dal minimo edittale, esprimendo una congrua motivazione (vedi pag. 7 della sentenza: “la pena base viene stabilita in misura superiore al minimo edittale in considerazione della pluralità dei fatti commessi e della gravità degli stessi e dell’organizzazione sottesa al reperimento e spaccio continuativo di sostanze eterogenee).
Quanto agli aumenti a titolo di continuazione, la Corte d’appello ha dato conto della decisione assunta nell’esercizio del suo potere discrezionale, distinguendo gli episodi che avevano riguardato la cocaina da quelli che avevano avuto ad oggetto la c.d. “droga leggera”, apportando aumenti contenuti per ogni singolo episodio [in argomento, si veda Sez. 5, n. 32511 del 14/10/2020, COGNOME, Rv. 279770:”In tema di determinazione della pena nel reato continuato, non sussiste obbligo di specifica motivazione per ogni singolo aumento, essendo sufficiente indicare le ragioni a sostegno della quantificazione della pena-base, vieppiù quando non è possibile dubitare del rispetto del limite legale del triplo della pena base ex art. 81, comma primo, cod. pen., in considerazione della misura contenuta degli aumenti di pena irrogati, e i reati posti in
continuazione siano integrati da condotte criminose seriali ed omogenee (nella specie plurimi delitti di furto in abitazione e ai danni
di capannoni industriali)”].
5. Alla luce di quanto precede, il ricorso deve essere rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
In Roma, così deciso il 2 luglio 2025
Il Consigliere estensore
Presidene