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Fatto di lieve entità: la valutazione complessiva

Un soggetto condannato per spaccio di cocaina e hashish ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che il reato dovesse essere qualificato come fatto di lieve entità. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, specificando che per tale qualifica è necessaria una valutazione complessiva di tutti gli elementi. La presenza di un’organizzazione, anche se rudimentale, finalizzata a un commercio stabile di stupefacenti (come una ‘piazza di spaccio’), esclude la possibilità di riconoscere il fatto di lieve entità, anche a fronte di singole cessioni modeste. La pena è stata considerata adeguatamente motivata.

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Pubblicato il 28 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Fatto di lieve entità: quando l’organizzazione esclude il ‘piccolo spaccio’

La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 29483/2025, torna a pronunciarsi sui criteri per la configurabilità del fatto di lieve entità nel reato di spaccio di sostanze stupefacenti. La pronuncia ribadisce un principio fondamentale, consolidato dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite: la valutazione deve essere complessiva e non può prescindere dall’analisi dell’intera attività delittuosa, inclusa l’eventuale presenza di una struttura organizzativa, anche minima.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine da una condanna emessa dalla Corte d’Appello di Firenze nei confronti di un individuo, ritenuto responsabile di plurime cessioni di cocaina e hashish. La Corte territoriale aveva rideterminato la pena in sei anni e due mesi di reclusione, oltre a una multa di 19.200 euro, concedendo le attenuanti generiche nella massima estensione.

L’imputato, tramite il suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione, lamentando principalmente due aspetti:
1. Errata qualificazione giuridica: a suo avviso, la condotta rientrava nell’ipotesi del fatto di lieve entità previsto dall’art. 73, comma 5, del d.P.R. 309/90 (Testo Unico Stupefacenti), data la modesta quantità delle singole cessioni e il numero contenuto di acquirenti.
2. Trattamento sanzionatorio eccessivo: la pena base era stata fissata ben al di sopra del minimo edittale senza una motivazione adeguata e specifica sui criteri previsti dall’art. 133 del codice penale.

L’analisi del fatto di lieve entità secondo la Cassazione

Il cuore della decisione della Suprema Corte riguarda il primo motivo di ricorso. I giudici di legittimità hanno dichiarato il motivo manifestamente infondato, cogliendo l’occasione per ripercorrere l’evoluzione giurisprudenziale in materia. Superando un orientamento passato che dava peso decisivo anche a un solo indice negativo (es. la detenzione di sostanze eterogenee), la Corte ha ribadito l’approccio sancito dalle Sezioni Unite con la sentenza ‘Murolo’ (n. 51063/2018).

Secondo tale orientamento, il giudice deve compiere una valutazione globale e complessiva di tutti gli indicatori previsti dalla norma: i mezzi, le modalità, le circostanze dell’azione, la quantità e la qualità delle sostanze. Questi elementi non vanno considerati in modo isolato, ma devono essere ponderati nel loro insieme, potendo anche compensarsi o neutralizzarsi a vicenda.

Le motivazioni della decisione

Nel caso specifico, la Corte di Cassazione ha ritenuto che la Corte d’Appello avesse applicato correttamente questi principi. La decisione di escludere il fatto di lieve entità non era basata su argomentazioni generiche, ma su una serie di circostanze concrete e indicative di una offensività non minima:

* Assiduità delle condotte: Lo spaccio non era occasionale, ma si protraeva nel tempo.
* Pluralità di sostanze e destinatari: Venivano cedute sia cocaina che hashish a diversi acquirenti.
* Organizzazione rudimentale: L’attività si svolgeva in una zona boschiva con forme di sorveglianza e l’utilizzo di un’utenza telefonica dedicata, configurando una vera e propria ‘piazza di spaccio’.

La presenza di un’organizzazione, per quanto basilare, finalizzata a garantire un commercio stabile di stupefacenti, è stata considerata un elemento decisivo. Tale condotta, infatti, dimostra una capacità di diffusione sul mercato che travalica i confini del ‘piccolo spaccio’.

Anche il secondo motivo, relativo alla dosimetria della pena, è stato respinto. La Corte ha ritenuto che la pena superiore al minimo fosse adeguatamente giustificata dalla gravità complessiva dei fatti, dalla reiterazione delle condotte e dalla tipologia delle sostanze commerciate. La motivazione del giudice di merito, se non illogica o arbitraria, è insindacabile in sede di legittimità.

Le conclusioni

La sentenza in commento consolida un importante principio: la qualificazione di un fatto di spaccio come di ‘lieve entità’ richiede un esame onnicomprensivo che guardi al quadro d’insieme dell’attività illecita. La gestione di una ‘piazza di spaccio’, che implica un’organizzazione stabile e una capacità di offerta costante, è di per sé un indicatore di una gravità tale da escludere l’applicazione della più mite fattispecie prevista dal comma 5 dell’art. 73. Questo vale anche se le singole cessioni, prese isolatamente, riguardano quantitativi modesti.

Quando si può qualificare lo spaccio come ‘fatto di lieve entità’?
La qualifica di ‘fatto di lieve entità’ richiede una valutazione complessiva e globale di tutti gli indicatori previsti dalla legge (mezzi, modalità, circostanze dell’azione, quantità e qualità delle sostanze). Non basta un solo elemento negativo per escluderla, ma l’offensività complessiva del fatto deve risultare minima.

La gestione di una ‘piazza di spaccio’ è compatibile con il ‘fatto di lieve entità’?
No. Secondo la sentenza, la gestione di una ‘piazza di spaccio’, anche se con un’organizzazione rudimentale, indica una comprovata capacità dell’autore di assicurare un commercio stabile di stupefacenti. Questa condotta è indice di una gravità che esclude la configurabilità del fatto di lieve entità, anche se i singoli episodi di cessione sono di modica quantità.

Come deve motivare il giudice una pena superiore al minimo legale?
Il giudice deve fornire una motivazione adeguata che giustifichi il discostamento dal minimo edittale, facendo riferimento ai criteri legali come la gravità dei fatti, la reiterazione delle condotte e la qualità delle sostanze. La motivazione non può essere generica o illogica, ma deve essere ancorata a elementi concreti emersi nel processo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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