Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 9917 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 3 Num. 9917 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 05/03/2025
TERZA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
SENTENZA
Sul ricorso proposto da: NOMECOGNOME nato a Napoli il 15/01/1973, avverso la sentenza del 23/04/2024, della Corte di appello di Napoli; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 23 aprile 2024 la Corte di appello di Napoli confermava la sentenza emessa dal Tribunale di Napoli il 07/07/2023, con la quale NOME COGNOME all’esito di giudizio abbreviato, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche, equivalenti alla contestata recidiva, era stato condannato alla pena di anni quattro di reclusione ed euro 18.000,00 di multa, in quanto ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 73, comma 1, d.P.R. n. 309/1990, per aver illecitamente detenuto, a fine di cessione a terzi, sostanza stupefacente del tipo cocaina di cui cedeva singole dosi, dietro corrispettivo in denaro, a molteplici acquirenti, caduta in sequestro unitamente a denaro suddiviso in banconote di piccolo taglio.
Avverso la sentenza della Corte di appello di Napoli, NOME COGNOME a mezzo del difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione, affidandosi a due motivi.
2.1 Con il primo motivo, deduce violazione dell’art. 606, lett. e), cod. proc. pen., per mancanza e illogicità della motivazione in relazione al mancato riconoscimento dell’ipotesi lieve di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990 attraverso la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen.
Lamenta il ricorrente che gli indizi raccolti dimostrano l’esistenza di una attività di spaccio rudimentale, non di una attività di natura organizzata, tanto che veniva sequestrato un modesto quantitativo di cocaina e la perquisizione delle abitazioni degli spacciatori dava esito negativo.
Aggiunge la difesa che l’affermazione dei giudici di merito circa la presenza di una rete di complici a
supporto e la disponibilità di mezzi riconducibili ad una struttura organizzata era frutto di un convincimento basato sul mero sospetto, poichØ gli elementi raccolti dalla attività di indagine non integravano la gravità, la precisione e la concordanza degli indizi richiesti dall’art. 192, comma 2, cod. proc. pen.
2.2 Con il secondo motivo, deduce violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., per erronea applicazione della legge penale in relazione ai presupposti stabiliti dall’art. 240 cod. pen. in tema di confisca penale discrezionale.
Deduce il ricorrente che la confisca del motociclo utilizzato per la commissione del reato non tiene conto della appartenenza del bene a persona estranea al reato e in buona fede e della insussistenza dei presupposti per applicare l’art. 240 cod. pen., mancando il legame di indispensabilità che deve unire il mezzo alle modalità di commissione del fatto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso Ł manifestamente infondato, posto che il mancato riconoscimento dell’ipotesi di cui all’art. 73 comma 5 del d.P.R. n. 309 del 1990 non presenta criticità.
Sul punto occorre richiamare il costante orientamento di questa Corte (cfr. Sez. 6, n. 13982 del 20/02/2018, Rv. 272529), secondo cui, in tema di stupefacenti, la valutazione dell’offensività della condotta non deve essere ancorata al solo dato della quantità di volta in volta ceduta, ma deve essere frutto di un giudizio piø ampio che coinvolga ogni aspetto del fatto nella sua dimensione oggettiva, avuto riguardo, in particolare, alle concrete capacità di azione del soggetto e alle sue relazioni con il mercato di riferimento, all’entità della droga movimentata in un determinato lasso di tempo, al numero di assuntori riforniti, alla rete organizzativa e/o alle peculiari modalità adottate per porre in essere le condotte illecite al riparo da controlli e azioni repressive delle forze dell’ordine.
Tale approdo interpretativo Ł stato sviluppato ulteriormente dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 51063 del 27/09/2018, Rv. 274076, ricorrente COGNOME con cui si Ł precisato che la valutazione degli indici di lieve entità elencati dal comma 5 dell’art. 73 deve essere complessiva, il che significa abbandonare l’idea che gli stessi possano essere utilizzati dal giudice alternativamente, riconoscendo o escludendo, cioŁ, la lieve entità del fatto anche in presenza di un solo indicatore di segno positivo o negativo, a prescindere dalla considerazione degli altri. Ma, allo stesso tempo, ciò significa anche che tali indici non devono tutti indistintamente avere segno positivo o negativo, nel senso che il percorso tracciato dal legislatore impone di considerare anche la possibilità che tra gli stessi si instaurino rapporti di compensazione e neutralizzazione in grado di consentire un giudizio unitario sulla concreta offensività del fatto anche quando le circostanze che lo caratterizzano risultano prima facie contraddittorie in tal senso; il percorso valutativo così ricostruito si riflette nella motivazione della decisione, dovendo il giudice, nell’affermare o negare la tipicità del fatto ai sensi dell’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990, dimostrare di avere vagliato tutti gli aspetti normativamente rilevanti e spiegare le ragioni della ritenuta prevalenza eventualmente riservata solo ad alcuni di essi. Il che significa che il discorso giustificativo deve dar conto non solo dei motivi che logicamente impongono nel caso concreto di valutare un singolo dato ostativo al riconoscimento del piø contenuto disvalore del fatto, ma altresì di quelli per cui la sua carica negativa non può ritenersi bilanciata da altri elementi eventualmente indicativi, se singolarmente considerati, della sua ridotta offensività.
In tale ottica Ł stato sottolineato come anche l’elemento ponderale, quello che piø spesso assume un ruolo centrale nell’apprezzamento giudiziale, non Ł escluso dal percorso valutativo implicito nella formulazione dell’art. 73, comma 5, come rivela proprio il raffronto dello stesso con la disposizione di
cui all’art. 80, comma 2, del d.P.R. n. 309 del 1990. In altri termini, anche la maggiore o minore espressività del dato quantitativo va anch’essa determinata in concreto nel confronto con le altre circostanze del fatto rilevanti secondo i parametri normativi di riferimento. Ferma la possibilità che, nel rispetto delle condizioni illustrate, tale dato possa assumere comunque valore negativo assorbente, ciò significa che anche la detenzione di quantitativi non minimali potrà essere ritenuta non ostativa alla qualificazione del fatto ai sensi dell’art. 73, comma 5, e, per converso, che quella di pochi grammi di stupefacente, all’esito della valutazione complessiva delle altre circostanze rilevanti, risulti non decisiva per ritenere integrata la fattispecie di lieve entità.
Ebbene, la Corte di appello si Ł posta in sintonia con tale impostazione, evidenziando plurimi elementi obiettivi ostativi al riconoscimento della lieve entità del fatto: in particolare, sono stati valorizzati, in senso ostativo al riconoscimento dell’ipotesi di cui all’art. 73 comma 5 del d.P.R. n. 309 del 1990, a) la cessione reiterata di sostanza stupefacente del tipo pesante, b) il viavai di acquirenti notati durante il breve lasso di tempo in cui aveva avuto luogo il servizio di o.c.p. (erano state accertate quattro cessioni di cocaina a consumatori in meno di due ore), c) l’attività illecita si svolgeva nei pressi dell’abitazione del ricorrente e in zona nota per l’ingente attività di spaccio ivi svolta, d) il ricorrente si avvaleva, unitamente al complice, originario coimputato, di mezzi di locomozione per lo svolgimento di detta attività, e) le modalità di spaccio, infine, erano sintomatiche di una predeterminata organizzazione, facente capo al ricorrente e al coimputato, rivelando la capacità di rifornire prontamente i tossicodipendenti e, nel contempo, di tenere occultata la sostanza dalla quale prelevavano le singole dosi di volta in volta consegnate agli assuntori.
L’affermazione si pone in continuità con gli indirizzi affermati da questa Corte, ed in particolare con l’orientamento secondo il quale la reiterazione nel tempo di una pluralità di condotte di cessione della droga, pur non precludendo automaticamente al giudice di ravvisare il fatto di lieve entità, entra in considerazione nella valutazione di tutti i parametri dettati, in proposito, dall’art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309; ne consegue che Ł legittimo il mancato riconoscimento della lieve entità qualora la singola cessione di una quantità modica, o non accertata, di droga costituisca manifestazione effettiva di una piø ampia e comprovata capacità dell’autore di diffondere in modo non episodico, nŁ occasionale, sostanza stupefacente, non potendo la valutazione della offensività della condotta essere ancorata al solo dato statico della quantità volta per volta ceduta, ma dovendo essere frutto di un giudizio piø ampio che coinvolga ogni aspetto del fatto nella sua dimensione oggettiva.
In definitiva, a fronte di un apparato argomentativo non manifestamente illogico e conforme alle indicazioni ermeneutiche tracciate dalla Corte di legittimità (cfr., in particolare, Sez. 3, n. 18370 del 19/01/2024, COGNOME, Rv. 286272; Sez. 6, n. 53167 del 09/05/2018, COGNOME, Rv. 274581), non vi Ł dunque spazio per l’accoglimento delle censure difensive, che, senza invero smentire gli elementi fattuali valorizzati dalla sentenza impugnata, prospettano una differente valutazione di merito, che non Ł consentita in sede di legittimità.
2. Il secondo motivo di ricorso Ł manifestamente infondato.
A fronte della deduzione che il bene appartiene a persona in buona fede, estranea al reato, deve allora rilevarsi che il ricorrente difetti di legittimazione, non potendo vantare alcun diritto alla restituzione, non essendo titolare del diritto di proprietà o di altro diritto reale sul bene (Sez. 3, n. 11618 del 13/03/2024, COGNOME; Sez. 5, n. 27050 del 30/04/2021, COGNOME, Rv. 281627), nØ essendo sufficiente ad instaurare quella relazione qualificata con la res , tale da attribuire il diritto alla restituzione, la mera utilizzazione libera, non occasionale e non temporanea del bene (Sez. U, n. 14484 del 19/01/2012, COGNOME, Rv. 252030).
In ogni caso, questa Corte ha avuto modo di affermare che, in ipotesi di confisca facoltativa ex art.
240, comma 1, cod. pen., il giudice non può motivare, con formula astratta, il provvedimento, che ne dispone l’applicazione in relazione al bene utilizzato per commettere un reato, con la sola indicazione della finalità di prevenire la commissione di altri reati, ma Ł tenuto ad argomentare, in concreto, la ritenuta sussistenza del nesso di strumentalità fra il bene ablato e il reato commesso, valutando sia il ruolo effettivamente rivestito dal primo nel compimento dell’illecito, sia le modalità di realizzazione del reato (ex multis Sez. 3, n. 33432 del 3/07/2023, COGNOME, Rv. 285062). Si Ł anche precisato che, ai fini dell’applicazione della confisca facoltativa di cui all’art. 240, comma 1, cod. pen., per la dimostrazione di tale nesso di strumentalità in concreto tra la cosa e il commesso reato, non sono richiesti requisiti di “indispensabilità”, volti a configurare un rapporto causale diretto ed immediato tra l’una e l’altro, tale per cui la prima debba apparire come indispensabile per l’esecuzione del secondo (Sez. 2, n. 10619 del 24/11/2020, dep. 2021, Fortuna, Rv. 280991). Come ulteriore corollario dei principi esposti Ł stato affermato, ai fini della confisca di un’autovettura utilizzata per il trasporto della droga ai sensi del comma primo dell’art. 240 cod. pen., che non Ł necessaria la modifica strutturale del mezzo: ciò che Ł richiesto Ł il collegamento stabile del veicolo con l’attivtà criminosa, che può essere evinto, ad esempio, da modifiche strutturali apportate al veicolo stesso ma che può trarsi anche da altre circostanze (Sez. 6, n. 44536 del 19/11/2024, COGNOME).
Tanto premesso, nel caso in esame, la sentenza impugnata, nel confermare la confisca del mezzo, ha posto in evidenza che il ricorrente e il coimputato utilizzavano ripetutamente i veicoli confiscati durante le operazioni di spaccio, per avvicinare i clienti e per prelevare lo stupefacente, ritenendo così provato l’asservimento dei veicoli allo svolgimento dell’attività illecita di spaccio e la probabilità che detta attività si ripeta nel tempo.
La Corte distrettuale ha quindi ritenuto esistente uno stretto ed evidente nesso di strumentalità dei mezzi con il contestato delitto, atteso che era emerso che l’imputato abitualmente si era servito del motociclo in sequestro per lo svolgimento dell’attività di spaccio. In tal modo la sentenza impugnata ha correttamente dato atto della sussistenza dei requisiti richiesti per la confisca, avendo evidenziato che gli elementi emersi portavano a ritenere che il motociclo era un bene abitualmente destinato a commettere reati in materia di stupefacenti.
All’inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in assenza di profili idonei ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che appare equo determinare in euro tremila, esercitando la facoltà introdotta dall’art. 1, comma 64, l. n. 103 del 2017, di aumentare oltre il massimo la sanzione prevista dall’art. 616 cod. proc. pen. in caso di inammissibilità del ricorso, considerate le ragioni dell’inammissibilità stessa come sopra indicate.
P.Q.M
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così Ł deciso, 05/03/2025 Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente
NOME COGNOME