Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 29695 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 29695 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 13/05/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da COGNOME NOME, nato a Palermo il 26-11-1999, COGNOME NOME, nato a Palermo il 16-09-1993, COGNOME NOME, nato a Palermo il 08-07-1966, COGNOME NOME, nato a Palermo il 20-05-1962, avverso la sentenza del 20-12-2023 della Corte di appello di Palermo; visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott.ssa NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto dei ricorsi; udito l’avvocato NOME COGNOME che, quale difensore di fiducia di Abbate Pietro, ha insistito nell’accoglimento del ricorso; udito l’avvocato NOME COGNOME che, quale sostituto processuale dell’avvocato NOME COGNOME, difensore di fiducia di Abbate Ottavio e COGNOME Salvatore, si è riportato ai ricorsi, chiedendone l’accoglimento; udito l’avvocato NOME COGNOME difensore di fiducia di Cinà, il quale, anche in veste di sostituto processuale dell’avvocato NOME COGNOME ha insistito nell’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 20 dicembre 2023, la Corte di appello di Palermo confermava la decisione resa il 4 novembre 2022, con la quale il G.U.P. del Tribunale di Palermo, nell’ambito di un articolato procedimento penale in materia di stupefacenti, aveva affermato, per quanto in questa sede rileva, la responsabilità penale degli imputati NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME ritenuti colpevoli di una pluralità di episodi del reato di cui all’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990. In particolare, NOME COGNOME rispetto ai reati di cui ai capi 2, 5, 6 (escluso l’episodio del 4 maggio 2019), 7, 8 10, veniva condannato alla pena di anni 5, mesi 8 di reclusione ed euro 60.000 di multa; NOME COGNOME rispetto al reato di cui al capo 8, veniva condannato alla pena di anni 4, mesi 6 di reclusione ed euro 34.000 di multa; NOME COGNOME rispetto ai reati di cui ai capi 1, 10 e 11, veniva condannato alla pena di anni 4, mesi 2 di reclusione ed euro 40.000 di multa; NOME COGNOME rispetto ai reati di cui ai capi 10 e 11, veniva infine condannato alla pena di anni 5, mesi 8 di reclusione ed euro 52.000 di multa; i fatti di causa risultano commessi in un arco temporale compreso tra il dicembre 2018 e l’agosto 2019.
Avverso la sentenza della Corte di appello siciliana, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME tramite i rispettivi difensori di fiducia, hanno proposto distinti ricorsi per cassazione.
2.1. NOME COGNOME ha sollevato sei motivi.
Con il primo, si contesta la conferma del giudizio di colpevolezza dell’imputato in ordine ai reati di cui ai capi 2 e 5, evidenziandosi, quanto al capo 2, che i giudic di merito non hanno chiarito da quali elementi probatori si tragga la dimostrazione che il ricorrente abbia realmente venduto la sostanza stupefacente la sera stessa in cui ha avuto luogo la conversazione captata, non essendo stato accertato né il luogo in cui la sostanza sia stata presumibilmente acquistata, né tantomeno se COGNOME abbia corrisposto effettivamente le presunte somme di denaro, fermo restando che la tipologia della sostanza stupefacente non è stata accertata. Quanto al capo 5, si osserva che pure in tal caso vi sarebbe stato un travisamento della prova, posto che dalla conversazione del 5 marzo 2019, intercorsa tra NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, non si desume affatto che il ricorrente abbia in quegli istanti provveduto al taglio della presunta cocaina, tanto più ove si consideri che nel dialogo captato il coimputato NOME COGNOME si lamenta che in quel periodo vi era penuria di stupefacenti sul mercato cittadino. Né è stata presa in considerazione l’interpretazione alternativa proposta dalla difesa, volte a rimarcare la circostanza che nella conversazione captata ci si è solo limitati a parlare di come andasse tagliata la presunta sostanza drogante.
Il secondo motivo ha ad oggetto il giudizio di colpevolezza dell’imputato rispetto ai reati di cui ai capi 6 e 7, sottolineandosi al riguardo, quanto al capo che né l’episodio del 21 aprile 2019 né quello del 10 maggio 2019 possono ritenersi provati, non essendo dimostrato che il ricorrente abbia consegnato stupefacente al signor COGNOME non essendo stata accertata tale circostanza dalla P.G. e non desumendosi che meri sospetti dalla conversazione di cui al progr. 2495. In ordine al capo 7, invece, si evidenzia che nelle conversazioni intercettate non si è mai fatto riferimento a sostanze stupefacenti, ma solo a un motore e a dei caffè, non avendo gli operanti di P.G. compiuto alcun pedinamento o servizio di osservazione per verificare se davvero ci fosse una compravendita di droga.
Con il terzo motivo, riferito al reato di cui al capo 8, si eccepisce travisamento delle conversazioni intercettate dal 7 al 15 maggio 2019, obiettandosi che dalle acquisizioni probatorie non si ricavano riscontri oggettivi e individualizzanti alla tesi secondo cui NOME COGNOME avesse il proposito, concorrendo con il padre NOME COGNOME, di cedere a terzi lo stupefacente, non essendosi considerato che in realtà la droga in questione, peraltro di non eccessiva entità, era destinata proprio a NOME COGNOME per farne uso personale, come da quest’ultimo spiegato nel corso dell’interrogatorio del 13 aprile 2022. In ogni caso, si deduce la carenza dell’elemento soggettivo in capo a NOME COGNOME, non essendone affatto provata la consapevolezza di realizzare la condotta contestata.
Con il quarto motivo, si censura, in ordine al capo 10, il vizio di motivazione e l’inosservanza della legge penale, rilevandosi che non è stato affatto provato, stante l’inattendibilità dei risultati delle intercettazioni eseguite, che NOME COGNOME avesse affidato una propria somma di denaro ad altri coimputati allo scopo di acquistare una partita di stupefacenti in terra campana, non comprendendosi inoltre in base a quale dato probatorio sia stato individuato in 25 chilogrammi il quantitativo di sostanza drogante che si presume sia stata acquistata.
Con il quinto motivo, la difesa contesta, rispetto ai capi 2, 5, 6, 7 e 8, l qualificazione giuridica dei fatti, che ben avrebbero potuto essere inquadrati nella fattispecie di lieve entità, in ragione del modesto disvalore dei fatti, venendo in rilievo, quanto ai capi 2, 5, 6, 7, quantitativi esigui di stupefacente, mentr quanto al capo 8, avente ad oggetto 101,6 grammi di hashish, si osserva che tale quantitativo non era eccessivo per chi ne avrebbe fatto uso per molto tempo, soprattutto alla luce della qualità pessima della sostanza, che non era affatto destinata alla cessione a terzi all’interno della Casa Circondariale di Agrigento. A ciò si aggiunge che i giudici di merito non hanno spiegato perché i fatti di capi 7 e 8 sono stati ritenuti di lieve entità solo in favore del coimputato NOME COGNOME e non anche nei confronti dei coimputati NOME COGNOME e COGNOME
COGNOME, che hanno concorso nei reati apportando il medesimo contributo causale
Il sesto motivo è dedicato al trattamento sanzionatorio, dolendosi la difesa sia del diniego delle attenuanti generiche, sia dell’eccessività della pena, non avendo la Corte territoriale tenuto conto della giovane età e della condizione di incensurato del ricorrente, oltre che del contesto ambientale in cui viveva.
2.2. NOME COGNOME ha sollevato sei motivi.
Con il primo, si contesta la conferma del giudizio di colpevolezza dell’imputato in ordine al reato di cui al capo 1, evidenziandosi che, nonostante il monitoraggio costante da parte della P.G., il fatto contestato resta un’ipotesi di “droga parlata” non suffragata da adeguati elementi probatori, per cui in tal senso sono stati eccepiti sia il vizio di motivazione che la violazione di legge.
Il secondo motivo ha ad oggetto il giudizio di colpevolezza dell’imputato rispetto al reato di cui al capo 10, sottolineandosi al riguardo che il presunto ruolo di corriere di Cinà è smentito proprio dal contenuto delle captazioni in atti, da cui emerge che il ruolo ascrivibile al ricorrente è al più quello di connivente non punibile, non avendo egli fornito alcun apporto alla realizzazione delle condotte contestate e non avendo in alcun modo collaborato con gli altri coimputati, non essendosi altresì considerato che COGNOME si recava abitualmente nel territorio campano sia per motivi di turismo, sia per avere colloqui familiari con il proprio congiunto, detenuto presso la Casa circondariale di Santa Maria Capua Vetere.
Con il terzo motivo, riferito al reato di cui al capo 11, si obietta in primo luog che il fatto oggetto di imputazione non ha oltrepassato la soglia della punibilità, non essendo COGNOME mai entrato in possesso dello stupefacente, non risultando comprovati né la richiesta di droga, né il peso e la tipologia dello stupefacente, né il prezzo concordato per il suo acquisto, non avendo peraltro l’imputato con sé il denaro necessario per pagare la droga che si assume a lui destinato. Invero, l’imputato non è mai stato tratto in arresto e lo stupefacente non è mai stato sequestrato, perché solo dopo la visione delle immagini di videosorveglianza si è accertato che i coniugi COGNOME–COGNOME avevano gettato la droga nei cassonetti. Peraltro, il mancato svolgimento dell’esame tossicologico non ha consentito di conoscere il valore della droga, con conseguente inapplicabilità della circostanza aggravante di cui all’art. 80, comma 2, del d.P.R. n. 309 del 1990, fermo restando che non è emersa alcuna prova che la droga trasportata dai coniugi COGNOME fosse realmente destinata all’odierno ricorrente.
Con il quarto motivo, si censura, in ordine ai capi 10 e 11, la qualificazione giuridica dei fatti che avrebbero potuto essere inquadrati nella fattispecie di lieve entità, atteso che, in relazione al capo 10, gli interlocutori parlan inequivocabilmente di droga di pessima qualità, mentre, con riferimento al capo 11, si rimarca l’assenza dell’esame tossicologico, il che avrebbe impedito di
valutare la qualità della droga e del principio attivo, a ciò aggiungendosi che COGNOME, soggetto incensurato, non è risultato essere dedito ai traffici di stupefacenti.
Con il quinto motivo, riferito ai capi 10 e 11, la difesa contesta l’aggravante del numero delle persone, non avendo la Corte di appello considerato che COGNOME, nella vicenda di cui al capo 10, era a Napoli con un solo soggetto, mentre nella vicenda di cui al capo 11 ha incontrato a Palermo solo COGNOME.
Il sesto motivo è dedicato al diniego delle attenuanti generiche, dolendosi la difesa della natura apodittica delle affermazioni della Corte territoriale, che non ha tenuto in debita considerazione la condizione di incensurato del ricorrente.
2.3. NOME COGNOME ha sollevato sei motivi.
Con il primo, si censura la conferma del giudizio di colpevolezza dell’imputato in ordine al reato di cui al capo 8, non essendosi considerato che lo stupefacente in questione, di non eccessiva entità, era destinato proprio a NOME COGNOME per farne uso personale, come da quest’ultimo spiegato nel corso dell’interrogatorio del 13 aprile 2022 e come si desume dalle conversazioni intercettate dal 7 al 15 maggio 2019, di cui si eccepisce il travisamento, soprattutto con riferimento ai dialoghi intercorsi tra NOME COGNOME e NOME COGNOME. In ogni caso, si deduce la carenza dell’elemento soggettivo in capo al ricorrente, non essendone affatto provata la consapevolezza di destinare ad altre persone lo stupefacente.
Il secondo motivo ha ad oggetto il mancato riconoscimento della fattispecie di lieve entità, osservandosi che il quantitativo contestato al capo 8 è quello non di un chilo, ma di 101,6 grammi di hashish, quantitativo non eccessivo, ove si consideri che era di pessima qualità e che era destinato non alla cessione a terzi all’interno del carcere di Agrigento, ma all’uso esclusivo di un assuntore abituale di droga, cioè lo stesso NOME COGNOME. A ciò si aggiunge che i giudici di merito non hanno spiegato perché i fatti sono stati ritenuti di lieve entità solo in favor del coimputato NOME COGNOME e non anche nei confronti dei coimputati NOME COGNOME e NOME COGNOME che hanno apportato il medesimo contributo causale, fermo restando che NOME COGNOME è rimasto estraneo a ogni altro addebito.
Con il terzo motivo, si contesta, rispetto al reato di cui al capo 8, il giudiz sulla sussistenza dell’aggravante del numero di persone ex art. 73, comma 6, del d.P.R. n. 309 del 1990, non essendosi i giudici di merito confrontati con l’obiezione difensiva, secondo cui il ricorrente, in forza del suo status detentionis, non era a conoscenza della partecipazione, quale esecutore materiale della cessione, di Bianco, né della presenza di più di tre persone nell’esecuzione del piano criminoso. Al ricorrente potrebbe addebitarsi al più di aver concorso moralmente nella sola detenzione dello stupefacente, ma non anche nella condotta di cessione, attività questa non riconducibile a NOME COGNOME tanto più che lo stupefacente è stato sequestrato prima del suo ingresso nelle mura penitenziarie.
Con il quarto motivo, le critiche difensive investono, sotto il duplice profilo del vizio di motivazione e dell’inosservanza della legge penale, il riconoscimento della contestata recidiva reiterata, non avendo i giudici di merito accertato se la fattispecie per cui si procede sia indicativa o meno di una perdurante inclinazione a commettere un reato che abbia influito quale fattore criminogeno.
Con il quinto motivo, ci si duole del diniego sia delle attenuanti generiche che dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 4 cod. pen., non avendo i giudici di merit tenuto conto del fatto che i guadagni tratti dalla cessione dello stupefacente sarebbero stati limitati e modesti, atteso che la droga era di piccola quantità e di pessima qualità ed era perlopiù destinata all’uso personale del ricorrente, essendo stati altresì ignorati altri fattori, come ad esempio il peculiare contesto ambientale in cui viveva l’imputato, ossia un quartiere degradato privo dei servizi essenziali.
Con il sesto motivo, anch’esso dedicato al trattamento sanzionatorio, la difesa lamenta l’eccessività dell’aumento di pena conseguente al riconoscimento della recidiva e dell’aggravante del numero di persone e la violazione dell’art. 63 cod. pen., non avendo la Corte territoriale comparato le aggravanti al fine di verificare quale fosse la più grave, integrando ciò un profilo di illegalità della pena.
2.4. NOME COGNOME ha sollevato tre motivi.
Con il primo, la difesa contesta la conferma del giudizio di colpevolezza dell’imputato rispetto al capo 10, osservando che la motivazione della sentenza impugnata sarebbe del tutto lacunosa, nella misura in cui si è dato rilievo alla mera comunicazione di COGNOME a NOME COGNOME dell’imminente arrivo a Napoli del nipote NOME COGNOME senza che siano state considerate le conversazioni riportate nell’atto di appello, come quella del 31 luglio 2019, da cui emerge l’assoluto disinteresse di COGNOME in ordine alle vicende relative al traffico illecito.
Con il secondo motivo, oggetto di critica è la conferma del giudizio di colpevolezza dell’imputato in ordine al capo 11, non essendosi i giudici di appello confrontati con i rilievi difensivi, volti a rimarcare che nella controversia sorta seguito del mancato pagamento dello stupefacente finito sotto sequestro, NOME COGNOME non viene mai citato né come debitore, né come responsabile della mancata corresponsione del prezzo della sostanza, come si evince chiaramente dal contenuto della conversazione del 9 agosto 2019 riportata nell’atto di appello. Che l’imputato non fosse coinvolto nell’acquisto della droga si desume ulteriormente anche dal fatto che nel corso delle intercettazioni COGNOME indica quale debitore non NOME COGNOME ma NOME COGNOME per cui al ricorrente non poteva essere ascritta alcuna condotta concorsuale ex art. 110 cod. pen.
Con il terzo motivo, la difesa deduce la violazione dell’art. 99, comma 4, cod. pen. e il vizio di motivazione, non comprendendosi in base a quali elementi il ricorrente sia stato ritenuto al vertice dell’attività di spaccio di stupefacenti.
6 GLYPH
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono infondati.
1. Prima di soffermarsi sul contenuto degli odierni ricorsi e in particolare sulle censure in punto di responsabilità, si ritiene utile premettere che, come emerge dalle due conformi sentenze di merito, la genesi del procedimento è stata costituita dalla denuncia di un giornalista televisivo, NOME COGNOME, candidatosi come Sindaco alle elezioni comunali di Palermo, che aveva evocato fenomeni di scambio elettorale politico-mafioso riferibili, in particolare, alla persona di NOME COGNOME Sono state così avviate intense attività investigative che, tramite plurime intercettazioni di conversazioni telefoniche e ambientali e mediante servizi mirati di osservazione e pedinamento, hanno consentito di delineare l’esistenza di un capillare sistema di traffici illeciti di stupefacenti nel quartiere “Kalsa” di Paler in cui risultavano coinvolti alcuni componenti della famiglia COGNOME, tra cui i ricorrenti NOME NOME e NOME COGNOME, oltre a NOME COGNOME, nipote di NOME COGNOME. A carico di costoro sono state elevate 8 distinte imputazioni aventi ad oggetto il reato ex art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990, risalendo gli episodi contestati al periodo compreso tra il 10 dicembre 2018 e il 3 agosto 2019. In particolare, all’esito dei giudizi di merito, NOME COGNOME è stato ritenuto colpevole dei reati di cui ai capi 1, 10 e 11, NOME COGNOME è stato ritenuto colpevole dei reati di cui ai capi 10 e 11; NOME COGNOME è stato ritenuto colpevole del reato di cui al capo 8, mentre NOME COGNOME è stato ritenuto colpevole dei reati di cui ai capi 2, 5, 6 (escluso l’episodio del 4 maggio 2019), 7, 8 e 10.
2. Operata questa breve premessa introduttiva, è ora possibile passare all’esame delle doglianze in punto di responsabilità, che sono suscettibili di essere trattate in maniera unitaria, sia perché tra loro sostanzialmente sovrapponibili, sia perché accomunate dalla loro tendenza a sollecitare, al cospetto di un impianto argomentativo non manifestamente illogico, differenti apprezzamenti di merito che tuttavia esulano dal perimetro del giudizio di legittimità; in proposito occorre infat richiamare la costante affermazione della giurisprudenza di questa Corte (cfr. Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, Rv. 280601 e Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Rv. 265482), secondo cui, in tema di giudizio di cassazione, a fronte di un apparato argomentativo privo di profili di rrazionalità, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamen decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri d ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiorm plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adot giudice del merito. Non sono infatti deducibili innanzi a questa Corte cen attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dall
contraddittorietà e dalla sua illogicità ove non manifesta su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo, sicché sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probator del singolo elemento (cfr. Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, Rv. 280747).
A ciò deve poi aggiungersi che, come più volte affermato da questa Corte (cfr. ex multis Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, Rv. 282337, Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, Rv. 268389 e Sez. Un., n. 22471 del 26/02/2015, Rv. 263715), in materia di intercettazioni telefoniche e ambientali, costituisce questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità, se non nei limiti della manifesta illogicità irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite.
Alla stregua di tali coordinate interpretative, le doglianze difensive non possono trovare accoglimento, avendo i giudici di merito compiuto, per ciascuna imputazione, un’adeguata disamina delle rispettive posizioni processuali.
3.1. In particolare, quanto al capo 1, sia il G.U.P. (pag. 9 ss. della sentenza di primo grado) che la Corte di appello (pag. 24 ss. della decisione impugnata) hanno richiamato le intercettazioni del 10 dicembre 2018, da cui è emerso che NOME COGNOME, titolare della pizzeria “RAGIONE_SOCIALE“, telefonava ad NOME COGNOME per chiedergli la consegna di una dose di sostanza stupefacente che gli sarebbe stata consegnata da NOME COGNOME, non essendo spiegabile diversamente, in ragione dei pregressi legami tra le parti e del fatto che NOME COGNOME ha precisato a Monforte che doveva andare alla “Kalsa”, quartiere dove veniva gestito lo spaccio, il riferimento alla “carica di 20 euro”, tanto più ove si consideri che non vi era alcuna ragione per cui COGNOME avrebbe dovuto procedere a una ricarica telefonica, peraltro su richiesta non dell’interessato, ma di una terza persona, mentre è significativo che COGNOME e COGNOME, a fronte della scarsa chiarezza della richiesta, non abbiano avuto esitazioni nell’individuare l’oggetto dell’insolit “ordinazione”, così mostrando di sapere bene ciò di cui stava parlando Monforte.
Analogamente, quanto al capo 2, i giudici di merito (pag. 12 ss. della sentenza di primo grado e pag. 28 ss. della decisione impugnata) hanno valorizzato il chiaro contenuto della conversazione intercorsa 1’8 marzo 2019 tra NOME COGNOME e NOME COGNOME nel corso della quale i due interlocutori discutono di una partita di 350 grammi di sostanza stupefacente (materialmente detenuta da tale “NOME“), che serviva per rifornire le piazze di spaccio il venerdì sera.
Quanto al capo 5, invece, il G.U.P. (pag. 29 SS. della sentenza di primo grado) e la Corte territoriale (pag. 33 ss. della decisione gravata) hanno analizzato le conversazioni intercettate il 5 marzo 2019, da cui è emerso che NOME COGNOME e NOME COGNOME, in un momento in cui vi era una grave carenza di stupefacenti, avevano la disponibilità di 150 grammi di cocaina, che era stata in precedenza “tagliata” con la mannite insieme a tale NOME COGNOME ciò in vista della programmata cessione della droga a uno spacciatore rimasto non identificato.
Rispetto ai capi 6 e 7, aventi ad oggetto varie cessioni di stupefacente da parte di NOME COGNOME a tale NOME COGNOME, detto “NOME“, i giudici di merito (pag. 43 ss. della pronuncia di primo grado e pag. 39 ss. della sentenza gravata) hanno posto l’accento su una pluralità di conversazioni intercettate il 21 aprile, il 10 e il 12 maggio 2019, da cui è emerso che nelle predette date NOME COGNOME ha rifornito COGNOME, suo abituale cliente, in un caso (cessione del 12 maggio 2019, capo 7) con la complicità di un suo uomo di fiducia, NOME COGNOME (detto “u luongu”). La vicenda di cui al capo 8 è stata invece ricostruita attentamente nelle sentenze di merito (pag. 53 ss. della decisione di primo grado e pag. 47 ss. della pronuncia di appello) sulla scorta delle conversazioni captate il 7, 1’8, il 9, il 10, 1’11, il 13, il 14 e il 15 maggio 2019, dalle quali si è desunto che NOME COGNOME, detenuto presso il carcere di Agrigento, aveva ideato nei minimi dettagli un piano criminoso, poi attuato dal figlio NOME COGNOME e dal correo NOME COGNOME, finalizzato a favorire l’ingresso di droga nella struttura penitenziaria; i dialoghi monitorat hanno trovato ampia conferma sia nei servizi di appostamento della P.G., sia nel sequestro di 101,6 grammi di hashish trovati nella disponibilità di NOME COGNOME il cui figlio NOME NOME era in quel momento co-detenuto ad Agrigento insieme a NOME COGNOME; questi, dall’interno della Casa circondariale, aveva organizzato con il figlio NOME l’appuntamento funzionale alla consegna dello stupefacente e di due schede sim, anch’esse sequestrate, destinate a essere recapitate a NOME COGNOME, tramite NOME, all’interno del carcere con il panetto di hashish, la cui entità era incompatibile con un utilizzo esclusivamente personale, essendo evidente che lo stupefacente era destinato allo spaccio nel carcere. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
In relazione al capo 10, ascritto, per quanto in questa sede rileva, a NOME COGNOME, a NOME COGNOME e a NOME COGNOME, sia il G.U.P. (pag. 99 ss. della pronuncia di primo grado) che la Corte di appello (pag. 54 ss. della sentenza impugnata) hanno ricostruito minuziosamente le tappe salienti della vicenda, culminata nell’acquisto di 25 chilogrammi di hashish al prezzo di 50.000 euro.
La disamina delle intercettazioni effettuate dal 2 maggio 2019 in poi ha in particolare consentito dì accertare che le operazioni di acquisto sono state curate da NOME COGNOME il quale è entrato in contatto con i fornitori campani avvalendosi dell’intermediazione di NOME COGNOME, soprannominato “COGNOME“.
COGNOME ha inoltre svolto le funzioni di corriere dello stupefacente, essendosi recato personalmente nel territorio partenopeo, insieme a NOME COGNOME al fine di acquistare la droga dai fornitori partenopei (cfr. progr. 2525 del 2 maggio 2019).
All’acquisto hanno attivamente compartecipato anche NOME COGNOME e NOME COGNOME: il primo è stato il mandante dell’intera attività illecita, essendo egli proprietario del denaro (50.000 euro) investito nella compravendita, come desumibile dalle conversazioni di cui ai progr. 1144 e 4519 del 4 maggio 2019, essendosi il ricorrente attivato anche nelle trattative finalizzate al ristoro d pregiudizio subito, nel momento in cui si è appurato che COGNOME aveva effettuato il pagamento della sostanza prima ancora di verificarne la (scarsa) qualità, comportamento questo che suscitato la disapprovazione della famiglia COGNOME.
In ordine alla posizione di NOME COGNOME è stato sottolineato che lo stesso ha anch’egli cooperato all’acquisto dello stupefacente, agevolandone la realizzazione: l’imputato il 2 maggio 2019 ha infatti informato COGNOME dell’imminente arrivo a Napoli del nipote, evidentemente nella piena consapevolezza dell’obiettivo della trasferta, interloquendo poi sempre con COGNOME al fine di conseguire la restituzione del denaro a fronte della cattiva qualità della droga, ciò a riprova dell’attivo coinvolgimento del ricorrente nella vicenda illecita in esame.
Infine, quanto al capo 11, deve osservarsi che nelle decisioni di merito (pag. 163 ss. della decisione di primo grado e pag. 68-69 ss. della sentenza impugnata) sono state valorizzate le conversazioni captate dal 4 luglio 2019 in poi, da cui è emerso che NOME COGNOME e NOME COGNOME, grazie all’intermediazione di NOME COGNOME, vero e proprio tramite la domanda palermitana e l’offerta napoletana di droga, hanno acquistato circa 45 kg. di hashish al prezzo di 100.000 euro da NOME COGNOME, avendo Cinà effettuato la trasferta a Napoli il 2 agosto 2019 dove ha trattato l’acquisto della droga che poi è stata portata a Palermo: qui, presso il parcheggio del “San Paolo INDIRIZZO“, il 3 agosto 2019, venivano rinvenuti e sequestrati i 45 chili di hashish, che non erano stati ancora pagati dalla fazione palermitana, il che generava le proteste della fazione napoletana.
I dialoghi captati e i paralleli accertamenti di P.G., in ogni caso, hanno consentito di delineare i ruoli dei due ricorrenti, essendo cioè emerso che COGNOME si è recato a Napoli per incontrare direttamente i fornitori, ha organizzato una sorta di staffetta per portare il carico di droga in Sicilia e si è assunto anche il compito di ritirare stupefacente nel frattempo trasportato con un’altra auto a Palermo, non riuscendo in tale intento per il tempestivo intervento della P.G., che traeva in arresto COGNOME e sequestrava la droga lasciata nel parcheggio dell’hotel da COGNOME.
Peraltro, la mancata consegna della droga e del denaro è stata correttamente ritenuta non ostativa alla consumazione del reato, che era stato già integrato dal perfezionamento dell’accordo tra le parti, avendo questa Corte in proposito
affermato (cfr. Sez. 4, n. 34754 del 20/11/2020, Rv. 280244 – 03 e Sez. 6, n. 39110 del 16/09/2014, Rv. 260463) che la condotta criminosa di offerta di sostanze stupefacenti si perfeziona nel momento in cui l’agente manifesta la disponibilità a procurare ad altri droga, indipendentemente dall’accettazione del destinatario, a condizione, tuttavia, che, come avvenuto nel caso di specie, si tratti di un’offerta collegata a una effettiva disponibilità, sia pure non attuale, del droga, per tale intendendosi la possibilità di procurare lo stupefacente ovvero di smistarlo in tempi ragionevoli e con modalità che garantiscano il cessionario.
Parimenti coinvolto nella vicenda è risultato inoltre NOME COGNOME il quale è stato contattato da Mormone (conversazione delle 9.44 del 3 agosto 2019) al fine di accogliere in terra siciliana NOME COGNOME, proveniente da Napoli dopo la definizione dell’accordo volto all’acquisto della droga, avendo COGNOME manifestato la sua disponibilità in tal senso (“a me quando mi chiama, qua sono”). NOME COGNOME è stato anche la prima persona con cui COGNOME si è incontrato non appena giunto a Palermo di ritorno da Napoli ed è pure colui che, messo a conoscenza dell’arresto di COGNOME, suo nipote, ha immediatamente contattato NOME COGNOME affinchè questi desse disposizioni i suoi uomini sul da farsi (“esce dall’albergo, c’è il Conad, di farsi trovare là davanti, però subito”), prima di andarsene via. Ancora, all’indomani del sequestro della droga, NOME COGNOME ha nuovamente interloquito con COGNOME, il quale gli ha palesato i “malumori” e i propositi ritorsivi della fazione napoletana per il mancato pagamento del prezzo dello stupefacente.
3.2. Orbene, in quanto sorrette da considerazioni non illogiche e non distoniche rispetto alle acquisizioni probatorie, correttamente intese nella loro valenza dimostrative e razionalmente correlate tra loro, le valutazioni compiute dai giudici di merito rispetto all’ascrivibilità delle condotte ascritte ai ricorrenti non prest il fianco alle obiezioni difensive che, come anticipato, rispetto a ciascuna vicenda sollecitano differenti apprezzamenti di merito estranei al sindacato di legittimità. Di qui l’infondatezza di tutte le censure concernenti i giudizi di responsabilità.
3.3. Resta solo da precisare che, rispetto al capo 8, correttamente è stata ritenuta ravvisabile la contestata aggravante di cui all’art. 73, comma 6, del d.P.R. n. 309 del 1990 (“se il fatto è commesso da tre o più persone in concorso tra loro, la pena è aumentata”); in proposito la Corte territoriale ha infatti evidenziato (cfr pag. 83 della sentenza impugnata), in modo pertinente, che hanno concorso nella medesima attività illecita numerose persone, ovvero NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME NOME e NOME COGNOME tutti animati dall’intento di far entrare nella Casa circondariale di Agrigento una partita di hashish, avendo la compartecipazione di più soggetti acuito l’offensività del fatto. Analogo discorso è stato fatto rispetto alla condotta di approvvigionamento di droga contestata al
capo 10, che ha visto la compartecipazione di una pluralità di soggetti, ossia NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME. Rispetto al capo 11, invece, deve rilevarsi che all’operazione illecita hanno cooperato, oltre a COGNOME, COGNOME e NOME COGNOME, anche NOME COGNOME e NOME COGNOME coinvolti nella staffetta da Napoli a Palermo insieme a COGNOME.
Parimenti immune da censure è la qualificazione giuridica dei fatti contestati ai capi 2, 5, 6, 7, 8, 10 e 11, apparendo legittimo il diniego da parte dei giudici d merito della fattispecie di cui all’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990.
Sul punto occorre innanzitutto richiamare il costante orientamento di questa Corte (cfr. Sez. 6, n. 13982 del 20/02/2018, Rv. 272529 e Sez. 3, n. 6871 del 08/07/2016, dep. 2017, Rv. 269149), secondo cui, in tema di stupefacenti, la valutazione dell’offensività della condotta non deve essere ancorata al solo dato della quantità di volta in volta ceduta, ma deve essere frutto di un giudizio più ampio che coinvolga ogni aspetto del fatto nella sua dimensione oggettiva, avuto riguardo, in particolare, alle concrete capacità di azione del soggetto e alle sue relazioni con il mercato di riferimento, all’entità della droga movimentata in un determinato lasso di tempo, al numero di assuntori riforniti, alla rete organizzativa e/o alle peculiari modalità adottate per porre in essere le condotte illecite al ripar da controlli e azioni repressive delle forze dell’ordine.
Tale approdo interpretativo è stato sviluppato ulteriormente dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 51063 del 27/09/2018, Rv. 274076, ricorrente COGNOME con cui si è precisato che la valutazione degli indici di lieve entità elencati dal comma 5 dell’art. 73 deve essere complessiva, il che significa abbandonare l’idea che gli stessi possano essere utilizzati dal giudice alternativamente, riconoscendo o escludendo, cioè, la lieve entità del fatto anche in presenza di un solo indicatore di segno positivo o negativo, a prescindere dalla considerazione degli altri. Ma, allo stesso tempo, ciò significa anche che tali indici non devono tutti indistintamente avere segno positivo o negativo, nel senso che il percorso tracciato dal legislatore impone di considerare anche la possibilità che tra gli stessi si instaurino rapporti di compensazione e neutralizzazione in grado di consentire un giudizio unitario sulla concreta offensività del fatto, anche quando le circostanze che lo caratterizzano risultano prima facie contraddittorie in tal senso, con la conseguenza che anche la maggiore o minore espressività del dato quantitativo deve essere anch’essa determinata in concreto nel confronto con le altre circostanze del fatto rilevanti secondo i parametri normativi di riferimento. Orbene, la Corte di appello si è posta in sintonia con tale impostazione, valorizzando innanzitutto, in senso ostativo al riconoscimento dell’ipotesi di cui all’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990, la pregnante circostanza che i fatti di causa si inseriscono in una qualificata attività di spaccio gestita in maniera
professionale all’interno del quartiere “Kalsa” da un gruppo familiare organizzato, capace di trattare diverse tipologie di sostanze stupefacenti anche di rilevante entità, come dimostrano le vicende di cui ai capi 10 e 11, aventi ad oggetto operazioni di acquisto relative, rispettivamente, a 25 e a 45 kg. di hashish, il che ha giustificato per tali imputazioni il riconoscimento della contestata aggravante dell’ingente quantità, e ciò a prescindere dalla qualità delle sostanze acquistate. La valutazione di lieve entità del fatto è stata ragionevolmente esclusa anche per le altre imputazioni elevate a carico degli odierni ricorrenti, i quali, a differenz di NOME COGNOME che ha assunto un ruolo di scarso rilievo all’interno del contesto criminoso, sono risultati esponenti di punta del sistema illecito in esame, agendo con ruoli di primo piano nei traffici illeciti di stupefacenti che, pur se considera singolarmente, si sono tutti rivelati di non trascurabile rilevanza, non solo in ragione dei quantitativi trattati, ma anche alla luce delle modalità accurate di realizzazione delle condotte contestate, risultate peraltro reiterate nel tempo. A ciò deve solo aggiungersi, rispetto al capo 8, che l’errore della Corte di appello circa il quantitativo di hashish ceduto a NOME COGNOME (1 kg. invece che 101,6 grammi), non vale a inficiare il giudizio sulla mancata applicazione dell’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990, sia perché il quantitativo resta comunque non lieve, sia perché, in ogni caso, il fatto in questione è tutt’altro che marginale, essendosi in presenza di un’operazione gestita all’interno di un carcere da un detenuto che si proponeva, con il concorso di più persone, di far entrare nella struttura penitenziare circa 100 grammi di hashish da destinare allo spaccio.
Residuano infine le censure in punto di trattamento sanzionatorio.
5.1. In primo luogo, a dolersi del diniego delle attenuanti generiche e dell’eccessività della pena, sono stati i ricorrenti NOME COGNOME (sesto motivo), NOME COGNOME (quinto motivo) e NOME COGNOME (sesto motivo).
Orbene, nell’affrontare unitariamente la questione sulla concedibilità delle attenuanti ex art. 62 bis cod. pen. e sull’eventuale mitigazione della pena, la Corte di appello (pag. 88-89 della sentenza impugnata), con motivazione cumulativa per tutti gli imputati, la cui legittimità è stata già avallata da questa Corte (cfr. 3, n. 21690 del 20/02/2013, Rv. 255773), ha rimarcato, in senso ostativo all’accoglimento delle richieste difensive, non solo la negativa personalità degli imputati, ma anche e soprattutto l’intensità del dolo, rivelata dalle modalità professionali delle condotte, sintomatiche della dimestichezza a commettere reati dei ricorrenti, i quali peraltro non hanno avuto atteggiamenti collaborativi, non rivelando i nomi dei soggetti dai quali era stato acquistato lo stupefacente.
Ora, tale valutazione di merito, in quanto scevra da profili di irrazionalità, no appare censurabile in sede di legittimità, avendo questa Corte precisato che, in tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la
cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione (cfr. Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Rv. 271269), essendosi altresì precisato (cfr. Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Rv. 279549 – 02) che, al fine di ritenere o escludere le attenuanti generiche, il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente e atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato e alle modalità di esecuzione di esso può risultare all’uopo sufficiente.
Né appare inconferente il richiamo al mancato contegno collaborativo degli imputati, essendo nella giurisprudenza di legittimità costante l’affermazione secondo cui la condotta processuale dell’imputato che mantenga un atteggiamento “non collaborativo” può giustificare il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, posto che se l’esercizio del diritto di difesa non comporta affatto il compimento di scelte collaborative, essendo anzi non penalmente perseguibili le dichiarazione false rese a sua difesa dall’imputato, ciò tuttavia non equivale a rendere questo tipo di pur legittime iniziative difensive del tutto irrilevanti per valutazione giudiziale del comportamento tenuto durante lo svolgimento del processo, agli effetti e nei limiti di cui all’art. 133 cod. pen. (cfr. Sez. 5, n. 3 del 24/09/2020, Rv. 279778 e Sez. 2, n. 28388 del 21/04/2017, Rv. 270339).
5.2. Parimenti infondato è il quinto motivo del ricorso di NOME COGNOME nella parte riferita al mancato riconoscimento dell’attenuante ex art. 62 n. 4 cod. pen. Al riguardo, occorre premettere che le Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 24990 del 30/01/2020, Rv. 279499) hanno riconosciuto che la circostanza attenuante del lucro e dell’evento di speciale tenuità ex art. 62, n. 4, cod. pen. è applicabile, indipendentemente dalla natura giuridica del bene oggetto di tutela, a ogni tipo di delitto commesso per un motivo di lucro, ivi compresi i delitti in materia di stupefacenti. Tanto premesso, le Sezioni Unite, nella richiamata pronuncia n. 24990 del 2020, hanno però chiarito che il riconoscimento di tale attenuante nel caso concreto resta pur sempre affidato a una puntuale ed esaustiva verifica, della quale il giudice di merito deve offrire adeguata giustificazione, che dia consistenza sia all’entità del lucro perseguito o effettivamente conseguito dall’agente, che alla gravità dell’evento dannoso o pericoloso prodotto dalla condotta considerata: dovendosi tale ultimo elemento riferire alla nozione di evento in senso giuridico, esso è infatti idoneo a comprendere qualsiasi offesa penalmente rilevante, purché essa, come concretamente accertata, si riveli di tale particolare modestia da risultare “proporzionata” alla tenuità del vantaggio patrimoniale che l’autore del fatto si proponeva di conseguire o ha in effetti conseguito. Ciò posto, i giudici d
merito hanno escluso l’applicabilità dell’attenuante invocata dalla difesa all’esito di un percorso argomentativo tutt’altro che illogico, rimarcando a tal fine (pag. 87 della sentenza impugnata) il rilevantissimo giro di affari illeciti organizzato dall famiglia COGNOME che aveva a disposizione ingenti capitali da investire nell’acquisto della droga, pari, in un caso, a 50.000 euro e, in un altro, a 100.000 euro.
5.3. Alcuna criticità motivazionale, ancora, è ravvisabile rispetto al giudizio sulla sussistenza della recidiva contestata a NOME COGNOME e a NOME COGNOME.
In via preliminare, occorre richiamare l’affermazione di questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 33299 del 16/11/2016, Rv. 270419), secondo cui, ai fini della rilevazione della recidiva, intesa quale elemento sintomatico di un’accentuata pericolosità sociale del prevenuto, e non come fattore meramente descrittivo dell’esistenza di precedenti penali per delitto a carico dell’imputato, la valutazione del giudice non può fondarsi esclusivamente sulla gravità dei fatti e sull’arco temporale in cui questi risultano consumati, essendo egli tenuto a esaminare in concreto, in base ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., il rapporto esistente tra il fatto per procede e le precedenti condanne, verificando se e in quale misura la pregressa condotta criminosa sia indicativa di una perdurante inclinazione al delitto che abbia influito quale fattore criminogeno per la commissione del reato sub iudice.
Nel caso di specie, tale valutazione può ritenersi adeguatamente compiuta dalla Corte territoriale che, rispetto alla posizione di NOME COGNOME ha evidenziato (pag. 85 della sentenza impugnata) come lo stesso, con la condotta perpetrata, abbia disvelato la sua rilevantissima caratura criminale, già rivelata peraltro dai suoi numerosi precedenti penali, alcuni anche relativi a reati della stessa indole, avendo il ricorrente confermato la sua pericolosità imbastendo un sistema volto a eludere i controlli carcerari, il che gli ha consentito di gestire i traffici deli della sua cella e di provare a far entrare la droga nella struttura dove era recluso. Analogamente, quanto alla posizione di NOME COGNOME è stato sottolineato che il predetto imputato, gravato da pregresse condanne per reati non lievi, come ricettazione, tentata estorsione, evasione e tentata truffa, ha parimenti dato prova di un’accresciuta pericolosità, avendo egli ricoperto un ruolo di primo piano nella vicenda, non solo impegnandosi nell’organizzazione delle trasferte dei suoi familiari nel territorio napoletano, ma occupandosi anche in via principale di dirimere le controversie insorte con i fornitori della sostanza stupefacente.
Anche in tal caso, in presenza di considerazioni non irrazionali, non vi è dunque spazio per l’accoglimento delle obiezioni difensive, finalizzate a sollecitare diverse valutazioi di merito, che tuttavia non sono consentite in questa sede.
5.4. Da ultimo, devono escludersi profili di illegalità nella determinazione della pena irrogata a NOME COGNOME posto che l’aggravante ex art. 73, comma 6, d.P.R. n. 309 del 1990 non è a effetto speciale, per cui, in applicazione del comma
2 dell’art. 63 cod. pen., dopo l’aumento per la recidiva, ha avuto legittimamente luogo l’autonomo e ulteriore aumento di pena per tale aggravante (effettuato
peraltro in misura di mesi 1 ed euro 1.000, di molto inferiore a un terzo).
6. In conclusione, stante l’infondatezza delle doglianze sollevate e in sintonia con le conclusioni del Procuratore generale, i ricorsi di NOME COGNOME, NOME
NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME devono essere rigettati, con conseguente onere per ciascun ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di
sostenere le spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 13.05.2025