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Fatto di lieve entità: la richiesta in appello

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 43419/2024, ha rigettato il ricorso di un imputato per rapina che lamentava la mancata applicazione della nuova attenuante del fatto di lieve entità, introdotta dalla Corte Costituzionale. La Suprema Corte ha chiarito che, sebbene la nuova norma fosse applicabile, l’imputato avrebbe dovuto richiederne l’applicazione durante il giudizio di rinvio in appello. Non avendolo fatto, gli è precluso sollevare la questione per la prima volta in Cassazione, poiché il mancato esercizio del potere officioso del giudice non costituisce un vizio di motivazione.

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Pubblicato il 13 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Fatto di lieve entità: quando e come va richiesto per ottenerlo?

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 43419/2024) offre un importante chiarimento procedurale sull’applicazione della nuova circostanza attenuante del fatto di lieve entità per il reato di rapina, introdotta dalla Corte Costituzionale con la pronuncia n. 86/2024. La decisione sottolinea un principio cruciale: le novità normative o giurisprudenziali favorevoli all’imputato devono essere tempestivamente sollevate nel corso del giudizio di merito, altrimenti si rischia di perdere la possibilità di farle valere. Analizziamo insieme il caso.

I Fatti del Processo

Il caso trae origine da una condanna per il reato di rapina. La Corte di appello di Firenze, in qualità di giudice di rinvio a seguito di un precedente annullamento da parte della Cassazione, aveva rideterminato la pena a carico di un imputato in due anni, due mesi e venti giorni di reclusione, oltre a una multa.

L’imputato decideva di ricorrere nuovamente in Cassazione, basando la sua difesa su un unico motivo: la Corte di appello non aveva tenuto conto della sentenza n. 86/2024 della Corte Costituzionale. Tale pronuncia aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 628 c.p. nella parte in cui non prevedeva una diminuzione di pena per i casi di rapina di lieve entità.

Il Ricorso in Cassazione e l’attenuante del fatto di lieve entità

Il ricorrente sosteneva che la Corte di appello, nel rideterminare la pena, avrebbe dovuto applicare la nuova attenuante del fatto di lieve entità. La sentenza della Consulta, infatti, era stata pubblicata durante lo svolgimento del giudizio di rinvio e, secondo la difesa, il giudice avrebbe dovuto prenderne atto, anche d’ufficio.

La questione centrale, quindi, non era se l’attenuante fosse applicabile, ma se la sua mancata applicazione da parte del giudice di rinvio potesse essere contestata per la prima volta davanti alla Corte di Cassazione come un vizio di motivazione.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso infondato, rigettandolo sulla base di un solido ragionamento processuale. Il punto chiave della decisione risiede nel principio di preclusione.

I giudici hanno spiegato che, poiché la sentenza della Corte Costituzionale era stata pubblicata durante il giudizio di rinvio, l’imputato aveva la piena possibilità di chiedere al giudice di appello di applicare la nuova attenuante. Non avendolo fatto, ha perso l’opportunità di sollevare la questione. Presentare la doglianza per la prima volta in sede di legittimità è, pertanto, inammissibile.

La Corte ha inoltre affrontato il tema del potere officioso del giudice, previsto dall’art. 597, comma 5, c.p.p., che consente al giudice di appello di applicare d’ufficio le circostanze attenuanti. Tuttavia, questo potere è discrezionale, non un obbligo. Il suo mancato esercizio, soprattutto quando non vi è stata una sollecitazione da parte della difesa, non integra un vizio di motivazione censurabile in Cassazione. In altre parole, non si può rimproverare al giudice di non aver fatto qualcosa che non gli è stato chiesto, quando la legge gli conferisce solo una facoltà.

Infine, la Corte ha osservato, quasi a margine, che i fatti del caso difficilmente sarebbero rientrati nella nozione di fatto di lieve entità. Gli elementi emersi nel processo indicavano infatti:

* Un danno/profitto non irrisorio (1.259,00 euro).
* Modalità violente, con aggressione fisica (spintoni, calci e pugni) ai poliziotti intervenuti.
* Esecuzione del reato in concorso con un’altra persona.

Questi fattori, nel loro insieme, delineavano una condotta di una certa gravità, incompatibile con la qualifica di “lieve entità”.

Conclusioni

La sentenza n. 43419/2024 è un monito importante per la pratica forense. Insegna che le opportunità processuali vanno colte al momento giusto. L’introduzione di una norma favorevole o di una declaratoria di incostituzionalità deve essere immediatamente portata all’attenzione del giudice del merito. Confidare nel solo potere officioso del giudice è una strategia rischiosa, poiché il suo mancato esercizio non è, di norma, sindacabile in Cassazione. La diligenza processuale della difesa è fondamentale per garantire che l’imputato possa beneficiare di tutte le tutele e le attenuanti previste dall’ordinamento.

È possibile chiedere l’applicazione dell’attenuante del fatto di lieve entità per la prima volta in Cassazione se è stata introdotta durante il giudizio di appello?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che se la sentenza della Corte Costituzionale che introduce l’attenuante viene pubblicata durante il giudizio di appello (o di rinvio), la richiesta di applicazione deve essere fatta in quella sede. La mancata richiesta preclude la possibilità di sollevare la questione per la prima volta davanti alla Cassazione.

Il Giudice di appello è obbligato ad applicare d’ufficio l’attenuante del fatto di lieve entità?
No, l’applicazione d’ufficio di circostanze attenuanti è un potere discrezionale del giudice di appello, non un obbligo. Secondo la sentenza, il suo mancato esercizio, specialmente se non sollecitato dalla parte, non costituisce un vizio di motivazione che può essere fatto valere in Cassazione.

Quali elementi ha considerato la Corte per escludere implicitamente il fatto di lieve entità nel caso specifico?
La Corte ha implicitamente escluso la lieve entità del fatto basandosi su tre elementi: il valore del danno/profitto, considerato non irrisorio (1.259,00 euro); le modalità violente della condotta (spintoni, calci e pugni contro i poliziotti); e l’esecuzione del reato in concorso con un’altra persona.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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