Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 8623 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 8623 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME NOMECOGNOME nata a Napoli il 14/02/1991
avverso la sentenza del 15/12/2023 della Corte di appello di Napoli visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 24/10/2017 il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha condannato NOME COGNOME alla pena di anni sei e mesi sei di reclusione ed euro 30.000 di multa per il reato di cui all’art. 73, comma 1-bis, d.P.R. n. 309/1990, per avere detenuto n. 968 pastiglie di ecstasy e n. 741 pastiglie di anfetamina.
Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte di appello di Napoli ha confermato la sentenza di primo grado, modificando il solo trattamento sanzionatorio.
Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputata denunciando i motivi di annullamento, di seguito sintetizzati conformemente al disposto dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo di ricorso vengono dedotti i vizi di violazione di legge e di difetto di motivazione in ordine alla sussistenza dell’elemento psicologico del reato contestato. La ricorrente, come da lei stessa dichiarato, deteneva le pastiglie per conto di NOME COGNOME nella convinzione che non si trattasse di stupefacente. Sotto questo profilo, la Corte di appello ha travisato il contenuto delle dichiarazioni rese il 23/08/2010 e il 20/10/2010, in quanto l’imputata non ha mai ritenuto che NOME COGNOME fosse uno spacciatore e, in occasione sia della prima che efella seconda consegna, aveva creduto alle sue rassicurazioni. Sul punto la motivazione della sentenza impugnata è contraddittoria, perché esclude la credibilità dell’imputata in riferimento alla seconda consegna mentre profila dubbi in relazione alla prima consegna.
In secondo luogo il difensore deduce che non sono state adeguatamente valutate le risultanze degli accertamenti tecnici e le considerazioni svolte nella memoria difensiva depositata e per l’udienza di appello, in cui si evidenziava che, poiché dalle 741 compresse di anfetamina si potevano trarre 15,215 gr. di principio attivo, ciascuna pastiglia non aveva il quantitativo di principio attivo idoneo a determinare un effetto psicotropo. Anche ciascuna delle 968 compresse contenenti ecstasy non aveva la quantità di principio attivo idoneo a produrre effetto psicotropo.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso si deducono i vizi di violazione di legge e di difetto di motivazione in relazione all’art. 73, comma 5, d. P.R. n. 309/1990, in quanto la Corte ha escluso la riconducibilità del fatto all’ipotesi lieve avendo riguardo al solo dato ponderale, senza considerare gli altri indici previsti dalla norma.
2.3. Con il terzo motivo di ricorso si deduce l’assenza di motivazione in relazione all’applicazione dell’attenuante di cui all’art. 73, comma 7, d.P.R. n. 309/1990.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo ricorso è infondato.
Nella sentenza impugnata si rileva che, anche a voler dare credito alle dichiarazioni rese dall’imputata alla polizia giudiziaria il 23/08/2010, solo in occasione della prima consegna di stupefacente ella sarebbe stata rassicurata sul fatto che le pastiglie non avevano effetto drogante, mentre, in occasione della seconda consegna, nulla le sarebbe stato specificato sul punto; anzi, NOME
Parnoffi le avrebbe confidato che affidava le pastiglie a lei e al suo fidanzato perché era sicuro che non ne avrebbero fatto uso. Pertanto, per stessa ammissione della ricorrente, in questa seconda occasione, le fu palesato che si trattava di sostanze attive e non innocue.
In ogni caso, la versione dei fatti fornita -di aver detenuto le pastiglie, dietro compenso in denaro, per conto di NOME COGNOME, ignorando che avessero effetto drogante- non è stata ritenuta verosimile in sé, tanto più che l’imputata ha dichiarato di essere stata a conoscenza che costui svolgeva attività di spacciatore.
Tale motivazione, logica e immune da vizi, sfugge al sindacato di legittimità.
La circostanza, poi, che ciascuna pastiglia non avesse il quantitativo di principio attivo idoneo a determinare un effetto psicotropo/è irrilevante.
Infatti, a fronte dell’appurata destinazione allo spaccio della droga / assume rilievo il quantitativo di principio attivo complessivamente rinvenuto all’interno della sostanza in sequestro: rileva in tal caso la possibilità concreta che proprio in sede di cessione a terzi le modalità della vendita, suscettibile di comprendere più pastiglie, portino, oltre che a detenere, anche a cedere quantitativi e, quindi, dosi di sostanza dotata di efficacia psicotropa (Sez. 3, n. 43418 del 12/09/2019, COGNOME, Rv. 277178).
2. Anche il secondo motivo di ricorso è infondato.
I parametri che l’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990 considera sintomatici di una offesa attenuata agli interessi protetti dalla norma, ovvero la salute collettiva e l’ordine e la sicurezza pubblici, riguardano, per un verso, l’oggetto materiale del reato (quantità e qualità delle sostanze) e, per altro verso, i mezzi, le modalità e le circostanze dell’azione.
Le Sezioni unite (sentenza n. 51063 del 27/09/2018, P.M. in proc. COGNOME, Rv.274076) hanno precisato che la minore offensività del fatto deve essere valutata considerandolo nella sua concreta singolarità mediante la globale valutazione di tutti i dati sintomatici descritti dalla norma e delle relazioni intercorrenti tra gli stessi.
Ciò significa che la valutazione degli indici di lieve entità elencati dal comma 5 dell’art. 73 deve essere complessiva, «riconoscendo od escludendo la lieve entità del fatto anche in presenza di un solo indicatore di segno positivo o negativo, a prescindere dalla considerazione degli altri. Ma allo stesso tempo anche che tali indici non debbano tutti indistintamente avere segno positivo o negativo. Il percorso tracciato dal legislatore impone di considerare, infatti, anche la possibilità che tra gli stessi si instaurino rapporti di compensazione e neutralizzazione in grado di consentire un giudizio unitario sulla concreta offensività del fatto anche
quando le circostanze che lo caratterizzano risultano prima facie contraddittorie in tal senso».
All’esito della valutazione globale di tutti gli indici che determinano il profilo tipico del fatto di lieve entità, è, poi, possibile che uno di essi assuma in concreto valore assorbente e, cioè, che la sua intrinseca espressività sia tale da non poter essere compensata da quella di segno eventualmente opposto di uno o più degli altri.
(1)
La Corte di appello nel caso di specie ha fatto corretta applicazione di tali principi, in quanto, dopo aver richiamato le Sezioni unite COGNOME, ha ritenuto che bgLezenzclUDZR il dato ponderale sia talmente importante (quasi mezzo chilo di pastiglie, da cui sono ricavabili più di duecento dosi) da configurarsi come del tutto assorbente rispetto ai restanti aspetti della condotta.
Il terzo motivo di ricorso attiene alla mancata applicazione dell’attenuante di cui all’art. 73, comma 7, d.P.R. n. 309/1990.
Va premesso che per l’applicabilità di tale circostanza non è sufficiente il mero dato della offerta delle informazioni possedute, ma occorre che dette informazioni siano in grado di consentire il perseguimento di un risultato utile di indagine che, senza la collaborazione stessa, non si sarebbe potuto perseguire.
Deduce la difesa che la sentenza impugnata non contiene alcuna motivazione in ordine alla insussistenza delle condizioni per l’applicazione dell’attenuante.
La censura è infondata, in quanto il rigetto della deduzione difensiva risulta dalla complessiva struttura argomentativa della sentenza, che ha ritenuto inattendibile l’imputata e non veritiero il suo narrato, per cui non sussiste alcuno degli elementi richiesti per il cd. ravvedimento operoso di cui all’art. 73, comma 7, d.P.R. n. 309 del 1990.
In conclusione, il ricorso va rigettato con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 23/01/2025