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Fatto di lieve entità: la Cassazione sul caso del prete

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna di un cappellano penitenziario per cessione di stupefacenti, detenzione di armi e ricettazione. Il ricorso, che chiedeva la riqualificazione del reato di spaccio in ‘fatto di lieve entità’, è stato respinto. La Corte ha ritenuto la condotta incompatibile con la fattispecie attenuata, data la gravità del contesto (un carcere), il ruolo ricoperto dall’imputato e l’ingente quantitativo di droga (equivalente a 393 dosi). È stata inoltre confermata la confisca dei beni per sproporzione.

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Pubblicato il 30 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Fatto di Lieve Entità: No Sconti per il Cappellano che Spaccia in Carcere

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 20379/2025, ha affrontato un caso delicato che intreccia il ruolo spirituale con gravi reati, stabilendo principi chiari sull’applicabilità del fatto di lieve entità nel contesto carcerario. La Suprema Corte ha confermato la condanna di un cappellano penitenziario per aver introdotto e ceduto droga a un detenuto, escludendo categoricamente che tale condotta potesse essere considerata di minima offensività. Analizziamo la decisione e le sue implicazioni.

I Fatti del Processo

L’imputato, un sacerdote che svolgeva la funzione di cappellano presso un istituto penitenziario, è stato condannato in primo e secondo grado per una serie di reati gravi:

* Cessione di sostanza stupefacente (hashish, per un peso di 75,45 grammi) a un detenuto, aggravata dall’essere stata commessa all’interno del carcere e abusando del suo ruolo.
* Detenzione di un’arma clandestina (revolver con matricola abrasa) e di un fucile a canne mozze.
* Ricettazione dell’arma.
* Detenzione di un vasto munizionamento e di strumenti atti allo scasso.

La difesa aveva presentato ricorso in Cassazione, basandosi su tre motivi principali: la richiesta di riqualificare la cessione di droga come fatto di lieve entità ai sensi dell’art. 73, comma 5, del D.P.R. 309/1990; la richiesta di concessione delle attenuanti generiche e di un trattamento sanzionatorio più mite; e la revoca della confisca di somme di denaro e altri beni.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando integralmente la sentenza della Corte d’Appello. I giudici di legittimità hanno ritenuto le motivazioni dei giudici di merito logiche, coerenti e giuridicamente corrette, respingendo punto per punto le doglianze della difesa.

Fatto di lieve entità nello spaccio: le motivazioni

Il punto centrale della sentenza riguarda il rigetto della richiesta di qualificare il reato come fatto di lieve entità. La Cassazione ha sottolineato che la valutazione deve essere complessiva, tenendo conto di tutti i parametri indicati dalla norma: mezzi, modalità, circostanze dell’azione e dati qualitativi e quantitativi della sostanza.

Nel caso specifico, gli elementi ostativi erano schiaccianti:

1. Il ruolo dell’autore: L’imputato non era un soggetto qualunque, ma il cappellano del carcere, una figura che dovrebbe offrire supporto spirituale e morale e che invece ha tradito la fiducia istituzionale e personale.
2. Il luogo del reato: Il fatto è avvenuto all’interno di un penitenziario, un ambiente dove l’introduzione di droga è particolarmente pericolosa e destabilizzante.
3. Il quantitativo: Sebbene il peso lordo fosse di 75,45 grammi, il principio attivo era sufficiente a confezionare 393 dosi medie singole, una quantità ritenuta “affatto irrisoria” e indicativa di un’elevata offensività.

La Corte ha ribadito che, anche se un solo indice (come la quantità) è negativo, questo può essere sufficiente a escludere la lieve entità se la valutazione complessiva della condotta porta a ritenerla di notevole gravità. Sfruttare il proprio ruolo per introdurre droga in carcere è una condotta che, per sua natura, non può essere considerata di minima offensività.

Il rigetto delle attenuanti e la confisca: le motivazioni

Anche la richiesta di concessione delle attenuanti generiche è stata respinta. La Corte ha evidenziato la gravità intrinseca della condotta di un membro del clero che commette reati così gravi all’interno di un carcere. Inoltre, il comportamento processuale dell’imputato, che ha fornito dichiarazioni ritenute “equivoche, approssimative, fuorvianti, distorsive della realtà”, è stato valutato negativamente, in quanto indice di una personalità ambigua e non incline a una seria resipiscenza.

Infine, è stata confermata la confisca per sproporzione (art. 240-bis c.p.p.). L’imputato non era stato in grado di giustificare la legittima provenienza di un’ingente somma di denaro (oltre 26.500 euro) trovata nella sua stanza del convento. Una conversazione intercettata con la sorella, in cui ammetteva di temere i controlli bancari, è stata considerata una prova della sua consapevolezza dell’origine illecita del denaro.

Le conclusioni

La sentenza ribadisce un principio fondamentale: la valutazione del fatto di lieve entità non è un mero calcolo matematico basato sulla quantità di droga, ma un giudizio complesso sulla gravità complessiva della condotta. Il contesto, le modalità e il ruolo dell’autore del reato sono elementi determinanti. Commettere un reato approfittando di una posizione di fiducia, specialmente in un ambiente sensibile come un carcere, eleva il grado di offensività a un livello incompatibile con qualsiasi beneficio o attenuante, giustificando pienamente la severità della risposta sanzionatoria e patrimoniale dello Stato.

Quando può essere escluso il “fatto di lieve entità” per spaccio di droga?
La qualifica di fatto di lieve entità può essere esclusa quando la valutazione complessiva della condotta rivela un’elevata offensività. Nel caso di specie, sono stati decisivi il ruolo di cappellano ricoperto dall’imputato, il luogo del reato (un carcere) e la quantità di stupefacente, sufficiente per 393 dosi, elementi ritenuti incompatibili con una minima gravità.

Perché non sono state concesse le circostanze attenuanti generiche al ricorrente?
Le attenuanti generiche sono state negate a causa dell’eccezionale gravità della condotta, posta in essere da un sacerdote che ha abusato della sua funzione all’interno di un penitenziario. Inoltre, il suo comportamento processuale, volto a sviare le indagini con dichiarazioni fuorvianti, ha rivelato una personalità negativa e l’assenza di una reale resipiscenza.

Su quale base è stata confermata la confisca dei beni?
La confisca è stata confermata ai sensi dell’art. 240 bis del codice penale (confisca per sproporzione), poiché l’imputato non ha saputo giustificare la legittima provenienza di un’ingente somma di denaro (oltre 26.500 euro) rinvenuta nella sua disponibilità, valore ritenuto sproporzionato rispetto al suo reddito. La consapevolezza dell’origine illecita del denaro è emersa anche da una conversazione intercettata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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