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Fatto di lieve entità: la Cassazione fa chiarezza

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato che chiedeva la riqualificazione del reato di spaccio in fatto di lieve entità. La Corte ha stabilito che la valutazione deve essere complessiva, considerando l’organizzazione, la continuità e il tipo di droga, elementi che nel caso di specie escludevano la lieve entità nonostante il numero di cessioni non fosse eccezionale.

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Pubblicato il 9 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Fatto di lieve entità nello spaccio: la valutazione complessiva della condotta

La recente sentenza della Corte di Cassazione, numero 541 del 2025, offre un importante chiarimento sui criteri per l’applicazione dell’ipotesi attenuata del fatto di lieve entità nel reato di spaccio di sostanze stupefacenti. La Suprema Corte ha ribadito la necessità di una valutazione globale e non frammentaria di tutti gli elementi della condotta, respingendo un ricorso che si basava su una considerazione isolata di alcuni aspetti, come il numero di cessioni. Questa decisione conferma un orientamento consolidato, sottolineando che l’organizzazione e la continuità dell’attività criminale sono fattori decisivi che possono escludere l’applicazione del beneficio.

I fatti del caso

Il caso trae origine da un’ordinanza del Tribunale del riesame di Firenze, che aveva confermato una misura cautelare dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria nei confronti di un soggetto indagato per spaccio di stupefacenti, ai sensi dell’art. 73 del DPR 309/90. La difesa dell’indagato aveva impugnato tale decisione, chiedendo alla Corte di Cassazione di annullarla e di riqualificare il reato nell’ipotesi più lieve prevista dal comma 5 dello stesso articolo.

Il ricorso e la richiesta di riqualificazione per fatto di lieve entità

Il ricorrente lamentava una violazione di legge e un vizio di motivazione da parte del tribunale. Secondo la difesa, la decisione di non concedere la riqualificazione in fatto di lieve entità era illogica. Si sosteneva che il numero di cessioni contestate era imprecisato o comunque limitato (35 micro-cessioni in un capo d’imputazione), e che la valorizzazione del tipo di droga (cocaina) e della continuità dell’attività di spaccio fosse incongrua. La difesa evidenziava che né la continuità né la collaborazione con altri soggetti sono, di per sé, elementi incompatibili con la fattispecie del fatto di lieve entità.

La decisione della Cassazione sulla valutazione del fatto di lieve entità

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile. I giudici hanno chiarito che le argomentazioni della difesa si traducevano in una richiesta di rivalutazione del merito dei fatti, non consentita in sede di legittimità. La motivazione del tribunale del riesame è stata invece ritenuta corretta e in linea con i principi giuridici consolidati.

La valutazione non atomistica dei fatti

Il punto centrale della decisione è il richiamo alla necessità di una valutazione complessiva e non “atomistica” degli indici previsti dall’art. 73, comma 5. Il giudice non deve considerare separatamente i singoli elementi (mezzi, modalità, circostanze, quantità e qualità della sostanza), ma deve ricostruire una “cornice complessiva” per determinare la gravità effettiva della condotta. Nel caso di specie, il tribunale aveva correttamente tenuto conto di una pluralità di condotte criminali, ben organizzate, reiterate nel tempo, e relative a una droga pesante come la cocaina. Questi elementi, visti nel loro insieme, erano idonei a escludere un giudizio di lieve entità.

Il peso dei singoli indici negativi

Richiamando una precedente sentenza delle Sezioni Unite (n. 51063/2018), la Corte ha ribadito che anche una sola circostanza particolarmente negativa può essere sufficiente a escludere la qualificazione del fatto come di lieve entità, qualora la sua carica negativa non sia neutralizzata da altri indici di segno contrario. L’organizzazione, la professionalità e la serialità delle cessioni sono state considerate dalla Corte come fattori ostativi all’applicazione del beneficio.

Le motivazioni

La motivazione della Suprema Corte si fonda sul principio che la qualificazione di un reato di spaccio come fatto di lieve entità non può derivare da un’analisi parziale e frammentaria degli elementi. Il ricorso è stato giudicato inammissibile perché, invece di denunciare una violazione di legge, tentava di ottenere una nuova e diversa lettura delle prove, compito che spetta esclusivamente ai giudici di merito (Tribunale e Corte d’Appello). La Corte ha ritenuto che il Tribunale del riesame avesse logicamente motivato la propria decisione, valorizzando correttamente elementi come la pluralità delle condotte, l’organizzazione dell’attività di spaccio e il coinvolgimento in una rete criminale, tutti fattori che delineano una gravità complessiva incompatibile con l’ipotesi attenuata.

Le conclusioni

La sentenza in esame rafforza un principio fondamentale in materia di stupefacenti: la valutazione del fatto di lieve entità deve essere globale e sintetica. Non è sufficiente isolare aspetti apparentemente meno gravi, come un numero limitato di cessioni, se il contesto generale rivela una condotta organizzata, continuativa e professionale. Questa pronuncia serve da monito per gli operatori del diritto, ricordando che la concessione del beneficio previsto dal comma 5 dell’art. 73 non è automatica ma frutto di un attento bilanciamento di tutti gli indicatori previsti dal legislatore, finalizzato a distinguere lo spaccio episodico e modesto da attività criminali più strutturate e pericolose.

Un numero non elevato di cessioni di droga è sufficiente per qualificare il reato come fatto di lieve entità?
No, secondo la sentenza, il numero di cessioni è solo uno degli elementi da considerare. La qualificazione dipende da una valutazione complessiva che include mezzi, modalità, circostanze, organizzazione e continuità dell’attività, elementi che nel loro insieme possono escludere la lieve entità anche a fronte di un numero di vendite non particolarmente alto.

La professionalità e la collaborazione con altri spacciatori sono compatibili con il fatto di lieve entità?
No, la Corte ha ritenuto che elementi come la professionalità, l’organizzazione e la collaborazione con altri soggetti siano indici di una maggiore gravità. Questi fattori, valutati nel contesto generale, tendono a escludere la configurabilità del reato come fatto di lieve entità perché indicano una condotta criminale strutturata e non meramente occasionale.

Cosa intende la Corte di Cassazione per ‘valutazione non atomistica’ ai fini del riconoscimento del fatto di lieve entità?
Per ‘valutazione non atomistica’ si intende che il giudice non deve analizzare ogni singolo elemento (es. quantità, numero di cessioni) in modo isolato, ma deve ricostruire una ‘cornice complessiva’ del fatto. È necessario considerare le interazioni e le correlazioni tra tutti gli indici previsti dalla legge per giungere a un giudizio unitario sulla gravità della condotta criminale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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