Fatto di Lieve Entità: Quando la Quantità di Droga Esclude lo Sconto di Pena
L’applicazione della norma sul fatto di lieve entità nel contesto dei reati legati agli stupefacenti è spesso oggetto di dibattito nelle aule di tribunale. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ribadisce un principio fondamentale: la quantità della sostanza detenuta gioca un ruolo cruciale nel determinare la gravità del reato. In questo caso, il considerevole numero di dosi ricavabili ha reso impossibile qualificare la condotta come meno grave, portando alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso.
I Fatti alla Base della Decisione
Il caso riguarda un giovane condannato dalla Corte d’Appello per detenzione di sostanze stupefacenti. Nello specifico, l’imputato era stato trovato in possesso di 12 grammi di hashish e 67 grammi di marijuana. Dalle analisi era emerso che da tali quantitativi si sarebbero potute ricavare oltre 276 dosi. La difesa aveva presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che la detenzione fosse finalizzata all’uso personale e, in ogni caso, che la condotta dovesse essere inquadrata nella fattispecie attenuata del fatto di lieve entità, prevista dall’articolo 73, comma 5, del d.P.R. 309/1990.
La Valutazione del fatto di lieve entità da parte della Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. I giudici hanno chiarito che le argomentazioni difensive non introducevano questioni di legittimità, ma miravano a ottenere una nuova valutazione dei fatti, un’attività preclusa in sede di Cassazione. La Corte d’Appello, con una motivazione considerata logica e coerente, aveva già stabilito che la droga era destinata alla cessione a terzi e non al mero uso personale. Inoltre, aveva correttamente escluso la possibilità di applicare l’ipotesi del fatto di lieve entità proprio in virtù del dato quantitativo.
Le motivazioni
La Corte di Cassazione ha basato la sua decisione su due pilastri fondamentali. In primo luogo, ha riaffermato i limiti del proprio giudizio, il cosiddetto “sindacato di legittimità”. La Cassazione non può riesaminare le prove o sostituire la propria valutazione a quella dei giudici di merito, ma può solo verificare se la legge è stata applicata correttamente e se la motivazione della sentenza impugnata è esente da vizi logici.
In secondo luogo, e più specificamente sul merito della questione, la Corte ha ritenuto che la decisione della Corte territoriale fosse inattaccabile. La scelta di escludere il fatto di lieve entità era pienamente giustificata dal dato oggettivo della quantità di stupefacente e del numero di dosi ricavabili. Un quantitativo così ingente, secondo i giudici, è di per sé indicativo di una condotta non marginale e, pertanto, incompatibile con la minore offensività richiesta dalla norma.
Le conclusioni
L’ordinanza consolida un orientamento giurisprudenziale chiaro: nella valutazione del fatto di lieve entità, il criterio quantitativo assume un peso preponderante. Sebbene la legge richieda una valutazione complessiva di tutti gli elementi (modalità dell’azione, mezzi, qualità e quantità delle sostanze), un quantitativo di droga che supera in modo significativo la soglia dell’uso personale e permette di confezionare centinaia di dosi è un ostacolo quasi insormontabile per ottenere il riconoscimento dell’ipotesi attenuata. La decisione serve da monito: non è possibile utilizzare il ricorso in Cassazione come un terzo grado di giudizio per rimettere in discussione l’accertamento dei fatti operato nei gradi precedenti, soprattutto quando la motivazione appare logica e ben argomentata.
 
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché le argomentazioni proposte miravano a una rivalutazione dei fatti, attività non consentita alla Corte di Cassazione, la quale si limita a un controllo di legittimità sulla corretta applicazione della legge e sulla logicità della motivazione.
Per quale motivo non è stato riconosciuto il “fatto di lieve entità”?
Il “fatto di lieve entità” non è stato riconosciuto principalmente a causa del dato quantitativo dello stupefacente detenuto (12 gr. di hashish e 67 gr. di marijuana), dal quale era possibile ricavare oltre 276 dosi, ritenuto incompatibile con la minore gravità del reato.
Qual è la differenza tra uso personale e destinazione alla cessione secondo la Corte?
La Corte territoriale, con argomentazioni ritenute logiche dalla Cassazione, ha accertato che la destinazione dello stupefacente era la cessione a terzi e non il mero uso personale. La Cassazione non riesamina nel merito tale distinzione, ma si limita a confermare la coerenza logica del ragionamento del giudice precedente, che si è basato sul notevole quantitativo di droga.
 
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 6102 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7   Num. 6102  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 08/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a MESSINA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 09/06/2023 della CORTE APPELLO di MESSINA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
visti gli atti e la sentenza impugnata; esaminati i motivi del ricorso; dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
Ritenuto che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile perché proposto per motivi non consentiti dalla legge dal momento che la prospettazione difensiva svolta con i motivi di ricorso sulla mancata qualificazione dei fatti ai sensi dell’art 73, comma 5, d.P.R. 309/1990 è volta a conseguire una rivalutazione meramente in fatto estranea al sindacato di legittimità, in presenza di argomentazioni non illogiche con le quali la Corte territoriale ha ritenuto accertata la destinazione alla cessione dello stupefacente, piuttosto che al mero uso personale e che correttamente ha escluso potesse essere sussunto nel fatto lieve di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 309/1990 in ragione del dato quantitativo dello stupefacente detenuto (costituito da 12 gr. di hashish e 67 gr. di marjuana dai quali erano ricavabili oltre 276 dosi).
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 8 gennaio 2024 Il Consigliere relatore COGNOME
Il Presflente