Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 21073 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 21073 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 28/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a ROSARNO il 10/06/1958
avverso la sentenza del 15/10/2024 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Ritenuto che COGNOME NOMECOGNOME condannato in primo e secondo grado alla pena di anni due di reclusione ed euro 6.000,00 di multa per il reato di cui all’ar 73, comma 4, del d.P.R. n. 309 del 1990 – perché, senza autorizzazione, deteneva illecitamente, al fine di cederla a terzi, 494,08 grammi di Marijuana – ha proposto ricorso per cassazione;
che, con un primo motivo di doglianza, si lamenta il difetto motivazionale in ordine alla mancata qualificazione del fatto nella fattispecie di lieve entità di all’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990, tenuto conto delle modalità della condotta nonché del fatto che l’imputato non aveva collegamenti con reti di spaccio, né capacità economiche tali da sostenere un’attività di spaccio professionale;
che, con un secondo motivo di ricorso, si contesta il vizio di motivazione, con riguardo alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche di cui all’art. 62-bis, non essendo stati considerati la dinamica dei fatti, l’atteggiamen collaborativo dell’imputato, le sue dichiarazioni autoaccusatorie ed il contesto emotivo in cui ha avuto luogo la condotta.
Considerato che il ricorso è inammissibile;
che il primo motivo di doglianza, relativo alla mancata qualificazione del fatto nella fattispecie di lieve entità di cui all’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 1990, è inammissibile, giacché meramente riproduttivo di doglianze già esaminate e motivatamente disattese nel giudizio di secondo grado, diretto altresì a sollecitare una rivalutazione di merito, preclusa in sede di legittimità, sulla base un’alternativa “rilettura” del quadro probatorio, già adeguatamente valutato dai giudici di merito, con coerenti e conformi argomentazioni;
che il provvedimento impugnato risulta pienamente sufficiente e logicamente coerente, laddove giustifica la mancata qualificazione del fatto ai sensi dell’art. 73 comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990 alla luce del fatto che l’imputato, soggetto già gravato da precedenti specifici, detenesse un quantitativo non trascurabile di stupefacente, chiaramente non rivolto ad uso personale, attraverso modalità dimostrative di una, seppur rudimentale, professionalità, visto che l’occultamento dello stupefacente era avvenuto in un locale non formalmente riconducibile all’odierno appellante ed altresì interdetto all’accesso altrui;
che l’assenza di emergenze ulteriori, in particolar modo quelle idonee a disvelare la rete d’affari dell’imputato, sia dal lato dei fornitori, sia da quello acquirenti, non scalfisce la tenuta della ricostruzione operata da in sentenza;
che, in ordine al trattamento sanzionatorio, nessun profilo di illegittimità ravvisabile nella sentenza di secondo grado, allorché si consideri il riferimento, da parte del giudice dell’appello, ai precedenti specifici dell’imputato, nonché al fat
2 GLYPH
\
che al momento della perquisizione egli si trovasse agli arresti domiciliari, i mancanza di elementi positivi di giudizio ai fini del riconoscimento delle circostanze
attenuanti generiche;
che la prospettata collaboratività dell’imputato, non trova, in realtà, riscont nei fatti, atteso che il COGNOME ha inizialmente disconosciuto la proprietà del
marijuana e, solo nel corso dell’udienza di convalida, ha sostenuto di detenere la sostanza all’inverosimile fine di uso personale (pag. 7 del provvedimento);
che, tenuto conto della sentenza del 13 giugno 2000, n. 86, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere
che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima
consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa
delle ammende, equitativamente fissata in C 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 28 marzo 2025.