Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 18737 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 18737 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a REGGIO CALABRIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 30/05/2023 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RILEVATO IN FATTO
Con sentenza in data 28/09/2022 il GUP presso il Tribunale di Reggio Calabria condannava, in esito a rito abbreviato, NOME COGNOME alla pena di anni 2 mesi 6 di reclusione e 3.000 euro di multa in riferimento ai reati di cui agli articoli 385 cod. pen. (c A), 73 d.P.R. 309/90 (Capo B), 624-625 cod. pen. (Capo C) e 697 cod. pen. (Capo D)..
Con sentenza in data 30/05/2023, la Corte di appello di Reggio Calabria, in parziale riforma della sentenza di primo grado, dichiarava non doversi procedere in relazione al Capo C) per mancanza di querela, e rideterminava la pena inflitta all’imputato in anni 2 mesi 3 giorni 15 di reclusione ed euro 3.000,00 di multa.
Avverso la sentenza di appello ricorre il COGNOME.
3.1. &n il primo motivo lamenta violazione di legge in riferimento all’omesso riconoscimento della fattispecie di cui all’articolo 73, comma 5, d.P.R. 309/1990.
3.2. Con il secondo motivo denuncia, genericamente, violazione degli articoli 62-bis, 81 e 133 cod. pen..
RITENUTO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Il primo motivo è del pari inammissibile per genericità, non confrontandosi affatto l’atto di impugnazione con i contenuti del provvedimento impugnato.
La sentenza di appello, con motivazione non illogica, evidenzia come: la perizia sullo stupefacente desse contezza del sequestro di gr. 27,729 di principio attivo (THC) da cui potevano ricavarsi 1.109,6 dosi singole; all’interno dell’abitazione dell’imputato fosse stat rinvenuta una vera e propria «piantagione» di cannabis indica, composta da 110 piante di varia grandezza, oltre a strumenti per il confezionamento.
Elementi, tutti, da cui la Corte territoriale ricavava – con un giudizio certamente no illogico – una «non lieve» entità del fatto.
Il Collegio evidenzia che il fatto di lieve entità può essere riconosciuto solamente in ipotes di minima offensività penale della condotta, deducibile dal dato quali-quantitativo e dagli alt parametri richiamati dalla disposizione quali mezzi, modalità e circostanze dell’azione, con la conseguenza che ove uno degli indici previsti dalla legge risulti negativamente assorbente, ogni altra considerazione resta priva di incidenza sul giudizio (Sez. U, n. 35737 del 24/06/2010, Rico, Rv. 247911), come avvenuto nel caso concreto.
Il secondo motivo è inammissibile per totale difetto di specificità, non avendo i ricorrente sviluppato in alcun modo il censurato vizio di violazione di legge, solo genericamente enunciato.
In ogni caso, quanto al trattamento sanzionatorio (tra l’altro appena di poco superiore al minimo edittale), la sentenza impugnata ha correttamente evidenziato che l’imputato risulta gravato da numerosi precedenti penali per cui è stato già dichiarato recidivo e che ha realizzato la condotta in contestazione durante la sottoposizione alla misura alternativa della detenzione domiciliare presso il luogo prescelto per scontare la predetta misura, dunque a rischio di controlli da parte delle Forze dell’ordine e in evidente dispregio delle regole, tale da esclud che la presente vicenda possa essere considerata un’occasionale ricaduta del reo nel delitto.
Anche gli aumenti per continuazione sono minimi (circostanza che – per costante giurisprudenza della corte, esenta il giudice da ponderosa motivazione), nè alcun elemento positivo è stato indicato per valutare l’eventuale riconoscimento delle attenuanti di cui all’ 62-bis cod. pen. (laddove il venir meno della contestazione del reato di furto aggravato, e quindi della circostanza aggravante di cui all’art. 61 n. 2 cod. pen., trova sola origine n novella processuale).
Ritenuto, pertanto, che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile stante la complessiva manifesta infondatezza dell’impugnazione, che neppure si confronta appieno col percorso motivazionale della sentenza impugnata, e rilevato che alla declaratoria dell’inammissibilità consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese de procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in tremila euro
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 23/02/2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente