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Fatto di lieve entità: i criteri per l’esclusione

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per spaccio di 70 grammi di cocaina, che chiedeva il riconoscimento del fatto di lieve entità. La Corte ha confermato che l’ipotesi attenuata deve essere esclusa quando elementi come la notevole quantità di stupefacente, le modalità organizzate dell’attività e gli ingenti guadagni risultano incompatibili con la minore gravità del reato, rendendo irrilevanti altri fattori potenzialmente favorevoli.

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Pubblicato il 18 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Fatto di Lieve Entità: Quando Quantità e Organizzazione Escludono l’Attenuante

La qualificazione di un reato legato agli stupefacenti come fatto di lieve entità rappresenta uno snodo cruciale nel processo penale, potendo modificare radicalmente l’entità della pena. Un’ordinanza recente della Corte di Cassazione offre un importante chiarimento sui criteri che guidano questa valutazione, sottolineando come alcuni elementi possano, di per sé, precludere l’applicazione di questa fattispecie attenuata. L’analisi del provvedimento evidenzia il rigore con cui i giudici devono considerare non solo la quantità dello stupefacente, ma anche il contesto organizzativo e i profitti che ne derivano.

I Fatti al Centro del Ricorso

Il caso trae origine dal ricorso presentato da un uomo condannato dalla Corte d’Appello per detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti. La difesa contestava la decisione dei giudici di merito di non aver qualificato il reato ai sensi del comma 5 dell’art. 73 del D.P.R. 309/90, ovvero come fatto di lieve entità. L’imputato era stato trovato in possesso di 70 grammi di cocaina, una quantità che la Corte d’Appello, unitamente ad altri fattori, aveva ritenuto incompatibile con la minore gravità del reato. Il ricorso in Cassazione mirava a censurare tale valutazione, sostenendo una lettura diversa degli elementi probatori.

La Valutazione del Fatto di Lieve Entità e i Parametri di Legge

L’articolo 73, comma 5, del Testo Unico Stupefacenti, introduce una circostanza attenuante speciale per i reati legati alla droga, qualora i fatti, per i mezzi, la modalità o le circostanze dell’azione, ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, appaiano di lieve entità. La giurisprudenza consolidata, richiamata anche in questa ordinanza, stabilisce che il giudice deve compiere una valutazione globale di tutti questi parametri.

Tuttavia, la Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale: se anche uno solo di questi indici risulta ‘negativamente assorbente’, ovvero di una gravità tale da escludere a priori la lieve entità, ogni altra considerazione (anche potenzialmente favorevole all’imputato) perde di rilevanza ai fini della decisione.

Le motivazioni della decisione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo le censure proposte del tutto generiche e la motivazione della Corte d’Appello corretta e priva di vizi logici. Secondo gli Ermellini, i giudici di secondo grado hanno correttamente applicato i principi di diritto.

Nello specifico, sono state considerate decisive due circostanze, oltre al dato ponderale già significativo (70 grammi di cocaina):

1. Le modalità organizzate dello spaccio: L’attività non appariva come occasionale o rudimentale, ma inserita in un contesto strutturato.
2. Gli ingenti guadagni: I proventi derivanti dall’attività illecita sono stati giudicati di notevole entità.

Questi elementi, valutati nel loro complesso, sono stati ritenuti incompatibili con la figura del fatto di lieve entità. La Corte ha inoltre sottolineato l’assenza di altri fattori favorevoli che potessero giustificare una diversa qualificazione giuridica. Anche le ulteriori censure, relative al porto ingiustificato di un’accetta e al diniego della continuazione tra i reati, sono state respinte in quanto la Corte d’Appello aveva fornito una motivazione congrua e adeguata.

Conclusioni

L’ordinanza in esame conferma un orientamento giurisprudenziale rigoroso: la valutazione del fatto di lieve entità non è un mero esercizio matematico basato sulla quantità di droga, ma un’analisi completa del contesto criminale. Elementi indicativi di una professionalità e di una capacità organizzativa nel traffico di stupefacenti, così come la prospettiva di guadagni elevati, possono essere sufficienti a escludere l’applicazione dell’attenuante, anche a fronte di altri elementi non particolarmente allarmanti. La decisione impone quindi agli operatori del diritto una riflessione sulla necessità di argomentare in modo puntuale l’eventuale assenza di tali indicatori di gravità per poter sperare nel riconoscimento della fattispecie più lieve.

Come valuta il giudice se un reato di spaccio è di ‘lieve entità’?
Il giudice deve effettuare una valutazione complessiva basata su tutti i parametri indicati dalla legge: i mezzi, le modalità e le circostanze dell’azione, nonché la quantità e la qualità delle sostanze stupefacenti. Non si tratta di una valutazione basata su un solo elemento, ma sull’insieme delle caratteristiche del fatto concreto.

Una notevole quantità di droga è sufficiente per escludere il fatto di lieve entità?
Sì, secondo l’orientamento confermato in questa ordinanza, un singolo indice, come una quantità particolarmente significativa di droga, può essere considerato ‘negativamente assorbente’. Ciò significa che la sua gravità è tale da rendere irrilevanti altri elementi e da escludere di per sé la possibilità di qualificare il reato come di lieve entità.

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
Come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale, la dichiarazione di inammissibilità del ricorso comporta che la Corte non esamini il merito della questione. Inoltre, condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, che in questo caso è stata fissata in 3000 euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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