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Fatto di lieve entità: i criteri di valutazione

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 9706/2024, interviene su un caso di detenzione di stupefacenti. Viene confermato che la qualificazione di un ‘fatto di lieve entità’ non dipende solo dalla quantità della droga, ma da una valutazione complessiva di tutti gli elementi. La Corte ha però annullato la sentenza per difetto di motivazione riguardo alla pena inflitta, sottolineando l’obbligo del giudice di giustificare le proprie scelte sanzionatorie.

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Pubblicato il 5 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Fatto di Lieve Entità: La Cassazione tra Valutazione Complessiva e Obbligo di Motivazione

La recente sentenza della Corte di Cassazione n. 9706 del 2024 offre importanti chiarimenti su due aspetti cruciali del diritto penale in materia di stupefacenti: i criteri per definire un fatto di lieve entità e l’obbligo del giudice di motivare adeguatamente la pena inflitta. La Corte, pur confermando la qualificazione del reato decisa in appello, ha annullato la sentenza per vizi legati proprio al trattamento sanzionatorio, ribadendo principi fondamentali a garanzia dell’imputato.

I Fatti del Caso: La Detenzione di Stupefacenti

Il caso trae origine da una condanna per detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti. Gli imputati erano stati trovati in possesso di due buste di marijuana per un totale di oltre 260 grammi e di una bustina di cocaina di 3,3 grammi. In primo grado, il reato era stato qualificato come ipotesi ordinaria di spaccio. La Corte d’Appello, in parziale riforma, aveva riqualificato la detenzione di marijuana come fatto di lieve entità (art. 73, comma 5, d.P.R. 309/1990), ma aveva considerato più grave il reato relativo alla cocaina (art. 73, comma 4), rideterminando la pena complessiva.

Il Ricorso in Cassazione: Due Punti Chiave

La difesa ha presentato ricorso in Cassazione lamentando due principali vizi della sentenza d’appello:
1. L’errata esclusione della lieve entità anche per la detenzione di cocaina, sostenendo che la Corte si fosse basata unicamente sul dato quantitativo senza una valutazione complessiva.
2. L’illogicità e l’illegittimità del trattamento sanzionatorio, poiché la Corte d’Appello si era discostata dal minimo edittale e aveva applicato una riduzione per le attenuanti generiche inferiore a quella del primo grado, senza una motivazione adeguata.

La Valutazione del Fatto di Lieve Entità secondo la Cassazione

La Corte di Cassazione ha respinto il primo motivo di ricorso, confermando la correttezza della decisione dei giudici d’appello. Richiamando l’autorevole precedente delle Sezioni Unite (sentenza Murolo), ha ribadito che la valutazione del fatto di lieve entità non può basarsi su un singolo elemento, come il peso della sostanza. Al contrario, il giudice deve compiere un’analisi globale che tenga conto di:
* Mezzi, modalità e circostanze dell’azione: nel caso di specie, la presenza di tre persone, il sequestro di strumenti per il confezionamento (coltelli, bilancino, sacchetti) e le modalità di occultamento.
* Caratteristiche qualitative e quantitative della sostanza: non solo il peso lordo (superiore a 260 grammi di marijuana), ma anche il numero di dosi medie ricavabili.

La Cassazione ha chiarito che solo dopo aver analizzato tutti questi elementi il giudice può attribuire un valore preponderante a uno di essi, come il dato quantitativo. In questo caso, la quantità elevata e le altre circostanze indicavano un’attività di spaccio non occasionale, incompatibile con la lieve entità.

Le Motivazioni: L’Annullamento Parziale della Sentenza

Il secondo motivo di ricorso è stato invece accolto. La Corte ha riscontrato un vizio di motivazione nella determinazione della pena. I giudici di secondo grado, pur avendo modificato la struttura del reato continuato, avevano l’obbligo di spiegare le ragioni delle loro scelte sanzionatorie. Nello specifico, la sentenza d’appello era carente su due punti:
1. Mancata motivazione sulla pena base: La pena era stata fissata in una misura superiore al minimo edittale senza alcuna giustificazione, neanche un generico richiamo ai parametri dell’art. 133 c.p. (gravità del reato e capacità a delinquere).
2. Motivazione insufficiente sulle attenuanti generiche: La riduzione per le attenuanti era stata inferiore a quella concessa in primo grado, dove era stata giustificata sulla base del comportamento processuale e dell’assenza di precedenti specifici. La Corte d’Appello non ha spiegato perché queste circostanze non giustificassero più la stessa riduzione.

Questo difetto di motivazione ha portato all’annullamento della sentenza limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio ad un’altra sezione della Corte d’Appello per un nuovo giudizio su questo punto.

Le Conclusioni: Principi di Diritto e Implicazioni Pratiche

La sentenza ribadisce due principi fondamentali. Primo, la qualificazione di un fatto di lieve entità richiede un’indagine approfondita e complessiva che vada oltre il semplice dato numerico del peso della sostanza. Secondo, e di cruciale importanza, ogni decisione del giudice sulla pena deve essere sorretta da una motivazione logica, completa e trasparente. Non è sufficiente applicare una pena: è necessario spiegare il perché di quella scelta, garantendo che la sanzione sia equa, proporzionata e non arbitraria.

Quando un reato di spaccio può essere considerato un ‘fatto di lieve entità’?
Un reato di spaccio viene considerato di lieve entità quando il giudice, attraverso una valutazione complessiva di tutti gli elementi, riconosce una minima offensività della condotta. I parametri da considerare includono i mezzi e le modalità dell’azione, le circostanze, la qualità e la quantità della sostanza. Il solo dato del peso non è sufficiente, ma deve essere analizzato nel contesto generale.

Perché la Cassazione ha annullato la sentenza pur ritenendo corretta la qualificazione del reato?
La sentenza è stata annullata limitatamente al trattamento sanzionatorio perché la Corte d’Appello non ha fornito una motivazione adeguata per la pena inflitta. In particolare, non ha spiegato perché ha scelto una pena base superiore al minimo legale né perché ha concesso una riduzione per le circostanze attenuanti inferiore a quella decisa in primo grado.

Un giudice d’appello può modificare la pena decisa in primo grado senza violare il divieto di ‘reformatio in peius’?
Sì, in casi specifici come il reato continuato. Se in appello cambia la struttura del reato (ad esempio, un reato diverso da quello originario viene considerato il più grave), il giudice può ricalcolare le singole componenti della pena. Tuttavia, la pena finale complessiva non può mai essere peggiore per l’imputato rispetto a quella del primo grado, salvo che vi sia stato appello anche del pubblico ministero.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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