Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 9706 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 9706 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 13/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
RISO NOME nato a CATANIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 23/03/2023 della CORTE APPELLO di CATANIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG COGNOME
Il PG chiede di annullare la sentenza impugnata, sotto il profilo della riqualificazione della detenzione di marijuana contestata nell’imputazione ai sensi dell’art. 73 c. 5 T.U.L.S., con rinvio alla Corte d’appello competente per nuovo esame.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza del 13 marzo 2023 la Corte di appello di Catania, in parziale riforma della condanna inflitta a NOME COGNOME dal Tribunale di Catania il 1 luglio 2022 all’esito del giudizio abbreviato, ha riqualificato il delitto ex art. 73, comm 1, d.P.R. 309 del 1990 in quello previsto dal comma 5, e ritenuto più grave il reato ex art. 73, comma 4, d.P.R. 309 del 1990, ha rideterminato la pena in 2 anni di reclusione ed euro 5.600 di multa.
NOME COGNOME è stato condannato, in concorso con NOME COGNOME e NOME COGNOME, per la detenzione, al fine di cederla a terzi, di 2 buste di plastica contenenti 190,7 e 72,6 grammi di marijuana, occultate in uno zaino, e di una bustina di cocaina contenente grammi 3,3; in Tremestieri il 24 febbraio 2022.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato.
2.1. Con il primo motivo si deducono i vizi di manifesta illogicità della motivazione e di violazione dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 in relazione alla detenzione della sostanza stupefacente tipo marijuana.
La motivazione della sentenza impugnata sarebbe manifestamente illogica perché la Corte di appello avrebbe rigettato la richiesta di qualificare anche il delitto ex art. 73, comma 4, d.P.R. n. 309 del 1990, in quello di cui al comma 5 solo in base al dato quantitativo; la Corte di appello non avrebbe considerato che il principio attivo della sostanza stupefacente in sequestro è pari a 54,227 grammi che non può essere considerato sintomatico di una rilevante condotta di cessione ma sarebbe espressione di piccolo spaccio.
In punto di diritto si richiamano le sentenze della Corte di cassazione n. 15642 del 2017 e Sez. VI, n. 1572 del 2022, fondata sull’analisi di un dato statistico.
La quantità di sostanza stupefacente in sequestro non avrebbe giustificato l’esclusione della lieve entità.
2.2. Con il secondo motivo si deducono la manifesta illogicità della motivazione ed il vizio di violazione di legge sul trattamento sanzionatorio. La pena finale sarebbe stata determinata con motivazione apparente.
La Corte di appello si sarebbe discostata immotivatamente dal minimo edittale, a differenza del Tribunale, ed avrebbe operato una riduzione per le circostanze attenuanti generiche non nella misura di un terzo, in violazione dell’art. 597, comma 3, cod. proc. pen.
Tale violazione sarebbe avvenuta anche nella determinazione dell’aumento per la continuazione, che è superiore a quello indicato nella sentenza di primo grado. Mancherebbe la motivazione sul complessivo trattamento sanzionatorio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo è infondato, avendo la Corte di appello correttamente applicato l’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 con motivazione immune da vizi logici.
1.1. L’accertamento della lieve entità del fatto implica una valutazione complessiva degli elementi della fattispecie concreta, selezionati in relazione a tutti gli indici sintomatici previsti dalla disposizione (Sez. U, n. 51063 del 27/09/2018, Murolo, Rv. 27407601). Per valutare se il fatto sia di lieve entità il giudice deve, infatti, prendere in esame tutti gli elementi indicati nella norma: quelli concernenti l’azione (mezzi, modalità e circostanze della stessa) e quelli che si riferiscono all’oggetto materiale del reato (quali le caratteristiche qualitative e quantitativ della sostanza stupefacente).
Secondo la sentenza Murolo, il giudice, nell’affermare o negare la tipicità del fatto ai sensi del d.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, deve dimostrare di avere vagliato tutti gli aspetti normativamente rilevanti e spiegare le ragioni della ritenuta prevalenza eventualmente riservata a solo alcuni di essi; il discorso giustificativo deve dar conto non solo dei motivi che logicamente impongono nel caso concreto di valutare un singolo dato ostativo al riconoscimento del più contenuto disvalore del fatto ma, altresì, di quelli per cui la sua carica negativa non può ritenersi bilanciata da altri elementi eventualmente indicativi, se singolarmente considerati, della sua ridotta offensività.
Le Sezioni Unite, nella sentenza Murolo, quanto alla valutazione del dato ponderale hanno, altresì, affermato che «… In tale ottica è opportuno sottolineare come anche l’elemento ponderale – quello che più spesso assume un ruolo centrale nell’apprezzamento giudiziale – non è escluso dal percorso valutativo implicito nella formulazione dell’art. 73, comma 5, come rivela ancora una volta proprio il raffronto dello stesso con la già evocata disposizione di cui all’art. 80, comma 2, T.U. stup. In altri termini, anche la maggiore o minore espressività del dato quantitativo deve essere anch’essa determinata in concreto nel confronto con le altre circostanze del fatto rilevanti secondo i parametri normativi di riferimento. Ferma la possibilità che, nel rispetto delle condizioni illustrate, tale dato possa assumere comunque valore negativo assorbente, ciò significa che anche la detenzione di quantitativi non minimali potrà essere ritenuta non ostativa alla qualificazione del fatto ai sensi dell’art. 73, comma 5, e, per converso, che quella di pochi grammi di stupefacente, all’esito della valutazione complessiva delle altre circostanze rilevanti, risulti non decisiva per ritenere integrata la fattispecie questione…».
La fattispecie autonoma di cui al comma 5 dell’art. 73, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, è configurabile nelle ipotesi di c.d. piccolo spaccio, che si caratterizza per una complessiva minore portata dell’attività dello spacciatore e dei suoi eventuali complici, con una ridotta circolazione di merce e di denaro e potenzialità di guadagni limitati, che ricomprende anche la detenzione di una provvista per la vendita che, comunque, non sia tale da dar luogo ad una prolungata attività di spaccio, rivolta ad un numero indiscriminato di soggetti.
1.2. La corretta applicazione della norma deriva dalla valutazione della motivazione complessiva della sentenza impugnata.
1.2.1. La Corte di appello ha analizzato, in primo luogo, gli elementi relativi all’azione: il luogo in cui erano nascoste le sostanze stupefacenti; la commissione del reato da parte di 3 persone; la presenza del ricorrente e di un altro imputato nel luogo destinato alle attività di confezionamento; il sequestro degli strumenti per il confezionamento (i coltelli, il bilancino, il rotolo di alluminio, i sacchet plastica, la pinzatrice).
1.2.2. Quindi, la Corte territoriale, nel rapporto con il peso della cocaina, ha dato prevalenza al dato ponderale costituito non solo dal quantitativo complessivo di marijuana lorda, superiore a 260 grammi ma anche al rapporto con le dosi medie ricavabili. Dunque, la Corte di appello ha dato rilevanza anche all’oggetto materiale del reato, valutando le caratteristiche qualitative e quantitative della sostanza stupefacente.
1.2.3. La Corte territoriale ha effettuato la valutazione complessiva ed ha attribuito valore preponderante al dato ponderale solo dopo l’analisi delle altre circostanze di fatto.
1.3. Orbene, tenuto conto delle modalità di vendita della marijuana, che in genere avviene da dosi da un grammo, il dato ponderale elevato implica che l’attività di cessione era non solo destinata ad un numero indeterminato di soggetti ma anche tale da dar luogo ad una prolungata attività di cessione, senza la ridotta circolazione di merce e di denaro e con potenzialità di guadagni significativi.
1.4. Non può poi condividersi il richiamo alla giurisprudenza indicata nel ricorso, posto che non solo il campione statistico analizzato dalla sentenza citata dalla difesa è del tutto esiguo, ma non vi è alcun riferimento alla natura del quantitativo e, soprattutto, non è in linea con la valutazione complessiva degli elementi indicati nell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990.
Va, quindi, ribadito, in tema di stupefacenti, che la qualificazione del fatto ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, non può effettuarsi in base al solo dato quantitativo, risultante dalla ricognizione statistica su un campione di sentenze che hanno riconosciuto la minore gravità del fatto, posto che, per l’accertamento della stessa, è necessario fare riferimento
all’apprezzamento complessivo degli indici richiamati dalla norma (Sez. 3, n. 12551 del 14/02/2023, Pascale, Rv. 284319 – 01).
È manifestamente infondato il secondo motivo laddove si sostiene che la Corte di appello avrebbe dovuto applicare il minimo della pena, come avvenuto in primo grado.
2.1. Il Tribunale individuò quale reato più grave quello ex art. 73, comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990, tenuto conto dei limiti edittali.
Poiché la Corte di appello ha qualificato tale reato in quello di cui al comma 5, ha del tutto mutato la struttura del reato continuato, sicché per il delitto ex art 73, comma 4, d.P.R. n. 309 del 1990, ritenuto più grave, non aveva alcun obbligo di applicare il minimo della pena inflitto in primo grado con riferimento al comma 1 dell’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990: doveva procedere alla rideterminazione della pena base in base ai parametri ex art. 133 cod. pen.
2.2. È infondato il motivo sulla determinazione dell’aumento per la continuazione.
Le Sezioni Unite, con la sentenza n. 16208 del 27/03/2014, C., Rv. 258653 01, hanno affermato il principio per cui «Non viola il divieto di reformatio in peius previsto dall’art. 597 cod. proc. pen. il giudice dell’impugnazione che, quando muta la struttura del reato continuato (come avviene se la regiudicanda satellite diventa quella più grave o cambia la qualificazione giuridica di quest’ultima), apporta per uno dei fatti unificati dall’identità del disegno criminoso un aumento maggiore rispetto a quello ritenuto dal primo giudice, pur non irrogando una pena complessivamente maggiore».
Tale principio è stato ribadito da Sez. 2, n. 48538 del 21/10/2022, Tiscione, Rv. 284214 – 01 secondo cui non viola il divieto di reformatio in peius previsto dall’art. 597 cod. proc. pen. il giudice dell’impugnazione che, quando muta la struttura del reato continuato (come avviene se la regiudicanda satellite diviene quella più grave o cambia la qualificazione giuridica di quest’ultima), apporta per uno dei fatti unificati dall’identità del disegno criminoso un aumento maggiore rispetto a quello ritenuto dal primo giudice, pur non irrogando una pena complessivamente maggiore.
2.3. Il secondo motivo è, però, fondato quanto al vizio della motivazione sulla determinazione concreta della pena inflitta. Ed invero la determinazione della pena base, superiore al minimo edittale, è avvenuta senza alcuna motivazione, neanche mediante il richiamo ai parametri ex art. 133 cod. pen. o a riferimenti alla gravità o equità della pena.
Anche il diverso criterio adoperato per la riduzione per le circostanze attenuanti generiche è immotivato, posto che in primo grado l’applicazione delle
circostanze attenuanti generiche e la riduzione massima di un terzo della pena base era stata fondata sul comportamento processuale, per la parziale ammissione dei fatti, e per l’assenza di precedenti specifici in capo all’imputato: la Corte d appello non ha indicato perché tali circostanze di fatto, valutabili anche nel caso di rimodulazione della pena per la modifica della struttura del reato continuato, non giustificassero la riduzione già applicata in primo grado.
Pertanto, la sentenza impugnata deve essere annullata, limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Catania. Si rigetta nel resto il ricorso.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Catania. Rigetta nel resto il ricorso. Così deciso il 13/02/2024.