Fatto di Lieve Entità: No se la Droga è Tanta e Pura
Quando un reato legato agli stupefacenti può essere considerato un fatto di lieve entità? Questa domanda, centrale nel diritto penale, ha ricevuto un’ulteriore chiarificazione da una recente ordinanza della Corte di Cassazione. La Corte ha stabilito che la notevole quantità, l’elevata purezza della sostanza e le modalità di confezionamento sono elementi decisivi che escludono l’applicazione di questa attenuante. Analizziamo insieme la decisione per capirne la portata.
I Fatti del Caso
La vicenda giudiziaria inizia con la condanna di un individuo da parte del Giudice per le indagini preliminari, confermata successivamente dalla Corte di Appello di Firenze. La pena inflitta era di due anni e dieci mesi di reclusione e 14.000 euro di multa per il reato di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti. All’imputato erano state riconosciute le attenuanti generiche e la pena era stata ridotta per la scelta del rito abbreviato.
Nonostante ciò, la difesa ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo un unico motivo: la violazione di legge per la mancata riqualificazione del reato nell’ipotesi più lieve prevista dall’articolo 73, comma 5, del D.P.R. 309/1990, ovvero il cosiddetto “fatto di lieve entità“.
La Decisione della Corte: perché non è un fatto di lieve entità
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. Secondo i giudici supremi, le censure mosse dalla difesa erano generiche e non si confrontavano adeguatamente con la motivazione della sentenza d’appello. La Corte di merito aveva infatti fornito una spiegazione logica e giuridicamente corretta, basata su prove concrete, per escludere l’ipotesi lieve.
I giudici hanno ribadito i principi consolidati dalla giurisprudenza per l’applicazione di questa attenuante, che richiede una valutazione complessiva di tutti gli elementi indicati dalla norma. Questi elementi includono:
* L’azione: i mezzi, le modalità e le circostanze del reato.
* L’oggetto materiale: la quantità e la qualità delle sostanze stupefacenti.
La valutazione concreta del fatto di lieve entità
Nel caso specifico, la Corte d’Appello aveva correttamente considerato non solo la quantità e la tipologia delle droghe sequestrate (18,66 grammi di hashish e ben 111,08 grammi di cocaina), ma anche altri fattori cruciali:
1. Confezionamento: La sostanza era già in parte suddivisa in 28 bustine, un chiaro indice dell’attività di spaccio.
2. Purezza: La percentuale di principio attivo era altissima, pari al 98%, indicando una sostanza di elevata qualità e pericolosità.
Questi elementi, valutati nel loro insieme, sono stati ritenuti incompatibili con la nozione di “lieve entità”, che presuppone una minima offensività della condotta.
Le Motivazioni
La motivazione della Cassazione si fonda sul principio che il ricorso per violazione di legge deve essere specifico e non può limitarsi a una generica contestazione. La difesa non ha offerto una critica argomentata alla sentenza impugnata, ma si è limitata a riproporre una diversa qualificazione giuridica del fatto, già motivatamente esclusa nei precedenti gradi di giudizio.
La Corte ha sottolineato che la sentenza d’appello era pienamente conforme ai canoni interpretativi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità, incluse le Sezioni Unite. La valutazione complessiva dei dati oggettivi (quantità, qualità, purezza, confezionamento) ha correttamente portato ad escludere che il fatto potesse rientrare nell’alveo della lieve entità. Pertanto, il ricorso è stato dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza.
Le Conclusioni
Questa ordinanza riafferma un punto fondamentale: la qualificazione di un reato di droga come fatto di lieve entità non è automatica e dipende da una rigorosa analisi di tutti gli indicatori previsti dalla legge. Una quantità significativa di stupefacente, specialmente se di elevata purezza e già preparata per la vendita al dettaglio, costituisce un ostacolo quasi insormontabile all’applicazione di questa attenuante. La decisione della Cassazione serve come monito: le impugnazioni devono essere fondate su critiche specifiche e argomentate alla decisione contestata, non su generiche richieste di una diversa valutazione. A seguito dell’inammissibilità, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.
Quali elementi impediscono di qualificare un reato di droga come fatto di lieve entità?
Secondo la sentenza, elementi ostativi sono la notevole quantità e tipologia dello stupefacente (nel caso specifico, 111,08 gr di cocaina e 18,66 gr di hashish), l’elevata percentuale di principio attivo (98%) e le modalità di confezionamento (già suddiviso in 28 bustine), che indicano un’attività di spaccio strutturata e non marginale.
Perché il ricorso dell’imputato è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile perché le censure erano generiche, aspecifiche e non si confrontavano criticamente con la motivazione della sentenza impugnata. In sostanza, la difesa non ha sollevato vizi di legittimità, ma ha richiesto un riesame dei fatti già correttamente valutati dai giudici di merito.
Cosa succede quando un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Come stabilito dall’art. 616 del codice di procedura penale, la dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che in questo caso è stata fissata in 3.000 euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 22995 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 22995 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 10/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato il 24/09/1999
avverso la sentenza del 28/10/2024 della CORTE APPELLO di FIRENZE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Firenze ha confermato la pronuncia emessa il 6 luglio 2023 dal Gup del Tribunale locale, con cui NOME COGNOME è stato condannato, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, alla pena di anni due, mesi dieci di reclusione ed euro 14.000 di multa, già ridotta per la scelta del rito abbreviato in relazione al reato di cui agli artt. 81 cod. pen. e 73, commi 1 e 4, D.P.R. n. 309/1990.
Avverso tale sentenza l’imputato, a mezzo del proprio difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione, deducendo, con unico motivo, ai sensi dell’art. 606, co. 1, lett. b) cod. proc. pen., violazione di legge relativamente alla mancata riqualificazione del fatto nell’ipotesi di cui al comma 5 dell’art. 73 D.P.R. n. 309/1990.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, poiché il profilo di doglianza si concreta in censure non consentite dalla legge in questa sede di legittimità assolutamente in tutto generiche e aspecifiche e non si confronta con la sentenza impugnata che, invece, reca appropriata motivazione, basata su definite e significative acquisizioni probatorie ed immune da vizi logico-giuridici e omette di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso.
La pronuncia è pienamente rispettosa dei canoni interpretativi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità, che richiedono, per l’applicazione dell’art. 73, co. 5, d.P.R. 309/1990, di valutare tutti gli elementi indicati dalla norma, sia quelli concernenti l’azione (mezzi, modalità e circostanze della stessa), sia quelli che attengono all’oggetto materiale del reato quali la quantità e qualità delle sostanze stupefacenti (cfr.Sez.6, n. 45694 del 28/09/2016,Rv. 268293; Sez. U. n. 51063 del 27/09/2018, COGNOME, Rv.274076).
La Corte non ha mancato di prendere in considerazione non solo la quantità e la tipologia di stupefacente (18,66 gr. di tipo hashish e 111,08 gr. di tipo cocaina), già in parte confezionata in 28 bustine ma anche la percentuale di principio attivo pari al 98% e ha escluso, con motivazione conforme ai principi giurisprudenziali sanciti da questa Corte in materia, che il fatto potesse inquadrarsi nell’alveo della lieve entità.
Alla inammissibilità del ricorso a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla somma di euro 3.000, in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni di esonero (Corte Cost., sent. n. 186/2000).
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spes processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Deciso il 10 giugno 2025