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Fatto di lieve entità e droga: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per detenzione di marijuana. La difesa sosteneva l’uso personale o, in subordine, la qualificazione del reato come fatto di lieve entità. La Corte ha ribadito che la valutazione non può basarsi solo sul dato ponderale, ma deve considerare un insieme di indici, come le modalità di conservazione e l’enorme numero di dosi ricavabili (oltre 1.300), elementi che in questo caso escludevano la lieve entità del fatto, configurando un’attività di spaccio.

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Pubblicato il 28 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Fatto di lieve entità: quando la quantità non è tutto

La distinzione tra grande spaccio e detenzione di modiche quantità di stupefacenti è una delle questioni più dibattute nel diritto penale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione torna sul tema, chiarendo i criteri per l’applicazione dell’ipotesi di reato del fatto di lieve entità. L’analisi della Suprema Corte sottolinea come la valutazione non possa fermarsi al solo dato quantitativo, ma debba estendersi a un esame complessivo delle circostanze del caso concreto, che possono rivelare una realtà ben diversa dal piccolo spaccio.

I Fatti di Causa

Il caso nasce dal ricorso di un uomo condannato dalla Corte d’Appello per il reato di detenzione di sostanza stupefacente. Nello specifico, l’imputato era stato trovato in possesso di un ingente quantitativo di cime di canapa, custodite all’interno di un magazzino ancora allo stato grezzo. Dalla sostanza, che presentava un’efficacia drogante, era possibile ricavare oltre mille dosi.

I Motivi del Ricorso: Uso Personale e Fatto di Lieve Entità

La difesa dell’imputato ha basato il proprio ricorso per Cassazione su due argomentazioni principali. In primo luogo, ha sostenuto che la detenzione fosse finalizzata a un uso esclusivamente personale. In subordine, ha richiesto che il reato venisse riqualificato nell’ipotesi più lieve prevista dall’art. 73, comma 5, del d.P.R. 309/90, ovvero il cosiddetto fatto di lieve entità. La difesa ha insistito su una lettura che, a suo dire, avrebbe dovuto ricondurre la condotta nell’alveo della minore offensività.

La Valutazione Globale del Fatto di Lieve Entità

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo le argomentazioni difensive manifestamente infondate. I giudici di legittimità hanno confermato la solidità della motivazione della Corte d’Appello, la quale aveva già escluso sia l’uso personale sia la lieve entità del fatto.

Secondo la Suprema Corte, la valutazione richiesta dall’art. 73, comma 5, deve essere globale. Non è sufficiente elaborare soglie quantitative predefinite, ma è necessario che l’interprete consideri il peso della sostanza unitamente a tutti gli altri indici sintomatici. Questa conclusione, avvalorata da consolidata giurisprudenza, impedisce di isolare il dato ponderale dal contesto generale.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte ha smontato punto per punto la tesi difensiva. Per quanto riguarda l’uso personale, le modalità di conservazione e occultamento della droga – un ingente quantitativo allocato in un magazzino in attesa di ulteriore lavorazione – sono state ritenute palesemente incompatibili con un consumo meramente domestico.

Ma il fulcro della decisione riguarda il rigetto del fatto di lieve entità. Gli Ermellini hanno evidenziato una serie di elementi sintomatici che, letti congiuntamente, delineavano un’attività di spaccio non trascurabile:

1. Numero di dosi ricavabili: La circostanza che dal principio attivo si potessero confezionare oltre 1.300 dosi medie è stata definita ‘preponderante ed ostativa’ alla configurabilità dell’ipotesi lieve.
2. Modalità di conservazione: L’occultamento in un magazzino è stato interpretato come una fase prodromica alla successiva lavorazione e immissione nel mercato.
3. Valutazione complessiva: Richiamando propri precedenti, la Corte ha ribadito che l’individuazione del fatto lieve non può risolversi nella mera indagine sul dato ponderale. In molteplici occasioni, il Supremo Consesso ha lasciato sullo sfondo il peso per valorizzare le modalità dell’azione e i mezzi impiegati, da cui si può desumere la professionalità e l’ampiezza dell’attività illecita.

In sostanza, la Corte territoriale ha correttamente considerato non solo e non tanto il peso, ma anche e soprattutto il numero di dosi e le modalità dell’azione delittuosa come elementi idonei a dimostrare la non lieve entità del fatto.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame consolida un principio fondamentale in materia di stupefacenti: la qualificazione di un reato come fatto di lieve entità non dipende da un mero calcolo aritmetico basato sul peso della sostanza. Al contrario, il giudice di merito ha il dovere di condurre una valutazione globale che tenga conto di ogni elemento concreto del caso. Le modalità di detenzione, il luogo di custodia, la destinazione al mercato e, soprattutto, l’enorme potenziale di diffusione dello stupefacente, misurato in dosi ricavabili, sono tutti fattori decisivi che possono portare a escludere l’ipotesi attenuata, anche a fronte di un dato ponderale non eccezionale. La decisione finale è stata quindi la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria di 3.000 euro.

Quando la detenzione di droga può essere considerata un ‘fatto di lieve entità’?
La detenzione di droga si considera un ‘fatto di lieve entità’ quando l’analisi complessiva della condotta, basata su mezzi, modalità, circostanze dell’azione, quantità e qualità delle sostanze, indica una minima offensività del reato.

Il solo peso della sostanza stupefacente è sufficiente a escludere il ‘fatto di lieve entità’?
No, secondo la Corte di Cassazione, il solo dato ponderale (il peso) non è sufficiente. La valutazione deve essere globale e considerare tutti gli indici sintomatici, sebbene un quantitativo da cui si possono ricavare moltissime dosi (in questo caso oltre 1.300) sia un elemento preponderante e ostativo.

Quali elementi, oltre alla quantità, considera la Corte per valutare la gravità del reato di detenzione?
La Corte considera le modalità di conservazione e occultamento della sostanza (che possono indicare una destinazione allo spaccio), i mezzi impiegati, e soprattutto il numero di dosi medie ricavabili dal principio attivo, che è un indice diretto della potenziale diffusione della droga.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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