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Fatto di lieve entità e attenuanti: no della Cassazione

Un individuo, condannato per spaccio di stupefacenti, ricorre in Cassazione chiedendo il riconoscimento del fatto di lieve entità e delle attenuanti. La Corte dichiara il ricorso inammissibile, confermando le condanne precedenti. La decisione si basa sulla notevole quantità e diversità delle sostanze, sulle modalità organizzate della detenzione e sui precedenti penali dell’imputato, elementi ritenuti incompatibili con la minore gravità del reato.

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Pubblicato il 29 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Fatto di Lieve Entità: Quando Quantità e Precedenti Escludono lo Sconto di Pena

Nel diritto penale, la valutazione della gravità di un reato è cruciale per determinare la giusta pena. Un concetto fondamentale in materia di stupefacenti è il fatto di lieve entità, previsto dall’art. 73, comma 5, del D.P.R. 309/1990, che consente una sensibile riduzione della sanzione per i casi di spaccio considerati minori. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 4526/2024) chiarisce i limiti di applicazione di questa norma, sottolineando come la combinazione di ingenti quantitativi di droga, modalità organizzate e precedenti penali specifici possa precludere tale beneficio.

Il Caso: Dalla Condanna in Appello al Ricorso in Cassazione

La vicenda giudiziaria ha origine dalla condanna di un individuo a due anni di reclusione e quattromila euro di multa, emessa dal Tribunale e successivamente confermata dalla Corte d’Appello. L’accusa era quella di detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti. Insoddisfatto della decisione di secondo grado, l’imputato, tramite il suo difensore, ha proposto ricorso per Cassazione, basando la sua difesa su tre argomentazioni principali.

I Motivi del Ricorso: Una Difesa a Tre Punte

Il ricorrente ha contestato la sentenza d’appello sotto diversi profili:
1. Vizio di motivazione: Si lamentava che la Corte d’Appello si fosse limitata a riprodurre la sentenza di primo grado senza fornire una risposta autonoma e specifica ai motivi di impugnazione proposti.
2. Errata qualificazione giuridica: Si sosteneva che la condotta dovesse essere ricondotta all’uso personale e, in subordine, qualificata come fatto di lieve entità.
3. Diniego delle attenuanti generiche: Si criticava il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, ritenuto ingiustificato.

La Decisione della Cassazione: Perché il Ricorso sul Fatto di Lieve Entità è stato Respinto

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo infondati tutti i motivi proposti. Gli Ermellini hanno smontato punto per punto la linea difensiva, confermando la correttezza del percorso logico-giuridico seguito dai giudici di merito.

La Corte ha ribadito che la reiterazione di parti della sentenza di primo grado da parte del giudice d’appello è legittima, a condizione che sia accompagnata da un’analisi critica dei motivi di gravame, cosa che nel caso di specie era avvenuta. I giudici hanno inoltre giudicato le censure del ricorrente come generiche e non in grado di scalfire la solidità dell’impianto accusatorio.

Le Motivazioni

Il cuore della decisione risiede nell’analisi del secondo e terzo motivo di ricorso. La Corte di Cassazione ha evidenziato come i giudici di merito avessero correttamente escluso sia l’uso personale sia l’ipotesi del fatto di lieve entità. La valutazione si è basata su una serie di elementi oggettivi ritenuti incompatibili con una minore gravità del reato:

* Quantitativi e Tipologia: La presenza di elevati quantitativi di stupefacenti di diversa tipologia è stato un indice fondamentale.
* Modalità di Occultamento: Le droghe erano state nascoste in luoghi diversi, suggerendo un’attività non occasionale.
* Materiale per il Confezionamento: Il possesso di materiale per pesare, frazionare e confezionare la droga è stato interpretato come un chiaro segnale di un’attività destinata allo spaccio organizzato e sistematico.

Questi elementi, valutati complessivamente, delineavano un quadro di un’attività criminale strutturata, ben lontana dalla minima offensività richiesta per il riconoscimento del fatto di lieve entità. Per quanto riguarda le circostanze attenuanti generiche, la Corte ha confermato la decisione dei giudici di merito di negarle, valorizzando la non trascurabile offensività della condotta e i precedenti penali specifici dell’imputato, considerati fattori preponderanti e negativi.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame offre importanti spunti di riflessione. In primo luogo, riafferma che la qualificazione di un reato di spaccio come fatto di lieve entità non dipende solo dal dato quantitativo, ma da una valutazione complessiva di tutti gli indici previsti dalla norma (mezzi, modalità, circostanze dell’azione). In secondo luogo, chiarisce che la presenza di un’attività organizzata e la disponibilità di strumenti per il confezionamento sono elementi che, di regola, escludono la possibilità di accedere al trattamento sanzionatorio più mite. Infine, la decisione ribadisce che i precedenti penali, soprattutto se specifici, costituiscono un valido motivo per negare le circostanze attenuanti generiche, in quanto indicatori di una personalità incline al delitto.

Quando la detenzione di droga non può essere considerata ‘fatto di lieve entità’?
Secondo la Corte, non si può parlare di fatto di lieve entità quando sono presenti indicatori di un’attività organizzata e non occasionale, come elevati quantitativi di stupefacenti di diversa tipologia, l’occultamento in luoghi diversi e il possesso di materiale per il confezionamento, la pesatura e il frazionamento della droga.

È sufficiente avere precedenti penali per vedersi negare le circostanze attenuanti generiche?
La Corte chiarisce che il giudice, nel decidere sulle attenuanti generiche, può limitarsi a considerare l’elemento che ritiene prevalente. In questo caso, i precedenti penali per reati analoghi, uniti alla non trascurabile offensività della condotta, sono stati ritenuti sufficienti per giustificare il diniego del beneficio.

Una Corte d’Appello può confermare una sentenza di primo grado semplicemente ‘copiandola’?
Sì, ma a determinate condizioni. La Corte di Cassazione ha ribadito il principio secondo cui è legittima la reiterazione di parti della sentenza di primo grado (il cosiddetto ‘copia e incolla’) solo se è accompagnata da una dovuta analisi dei motivi di appello, esplicitando le ragioni alla base del convincimento del giudice di secondo grado.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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