Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 4526 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 4526 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a LIVORNO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 10/05/2022 della CORTE APPELLO di FIRENZE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Firenze ha confermato la sentenza del Tribunale di Livorno del 27 aprile 2021, emessa a seguito di giudizio abbreviato, con cui NOME era stato condannato alla pena di anni due di reclusione ed euro quattromila di multa.
Il COGNOME, a mezzo del proprio difensore, ricorre per Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello, proponendo tre motivi di impugnazione.
2.1. Vizio di motivazione della sentenza impugnata in quanto meramente riproduttiva di quella di primo grado e priva di risposta agli specifici motivi di appello prospettati.
2.2. Violazione di legge in ordine all’affermazione di responsabilità, all’esclusione della destinazione ad uso personale delle sostanze stupefacenti e, in via subordinata, alla mancata riqualificazione del reato nell’ipotesi di lieve entità di cui all’art. comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990.
2.3. Violazione di legge con riferimento all’ingiustificato diniego delle circostanze attenuanti generiche.
3. Il ricorso è inammissibile.
In relazione al primo motivo di ricorso, va richiamato il principio giurisprudenziale, secondo cui in tema di motivazione della sentenza, è legittima la reiterazione di parti della sentenza di primo grado (persino mediante il ricorso alla tecnica redazionale del c.d. copia e incolla), laddove agevoli la riproduzione della fonte contribuendo ad evitarne il travisamento, quando sia accompagnata dalla dovuta analisi dei contenuti e dall’esplicitazione delle ragioni alla base del convincimento espresso in sede decisoria (Sez. 2, n. 13604 del 28/10/2020, dep. 2021, Torcasio, Rv. 281127 – 01).
Tanto premesso sull’onere motivazionale del giudice di appello, la Corte territoriale appare aver scrutinato analiticamente ciascuna doglianza. La sentenza non risulta mancante di alcuna parte necessaria, avendo dato completa giustificazione delle determinazioni assunte nel perimetro delle deduzioni rilevanti.
Il ricorso sul punto appare aspecifico, in quanto non individua le ragioni dell’asserita rilevanza dei motivi di gravame non esaminati dai giudici di appello.
In ordine al secondo motivo di ricorso, quanto alle censure sulla riferibilità dell’intero quantitativo di droga rinvenuto al Ria, la Corte di merito ha evidenziato,
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con motivazione logica ed immune da censure, l’assoluta genericità delle prospettazioni difensive finalizzate a contestare tale dato. Anche l’analoga censura di cui al ricorso di Cassazione appare del tutto apodittica e non autosufficiente.
Con riferimento agli ulteriori profili di doglianza, da trattare congiuntamente per ragioni di ordine logico, va premesso il consolidato principio per cui, in materia di stupefacenti, la valutazione in ordine alla destinazione della droga, ogni qualvolta la condotta non appaia indicativa della immediatezza del consumo, deve essere effettuata dal giudice di merito, tenendo conto di tutte le circostanze oggettive e soggettive del fatto, secondo parametri di apprezzamento sindacabili in sede di legittimità soltanto sotto il profilo della mancanza o della manifesta illogicità della motivazione (Sez. 4, n. 7191 del 11/01/2018, Gjoka, Rv. 272463).
Per effetto della sentenza del 12 febbraio 2014, n. 32 della Corte costituzionale, che ha dichiarato, tra l’altro, l’illegittimità costituzionale dell’art. 4-bis, D.L. 3 cembre 2005, n. 272, è stato ripristinato il testo dell’art. 73 d.P.R. 309 del 1990 anteriore alla sostituzione disposta dall’art. 4-bis del D.L. n. 272 del 2005 dichiarata incostituzionale. Successivamente, il legislatore ha introdotto il comma 1-bis dell’art. 75 del d.P.R. n. 309 del 1990 reintroducendo, per il collegamento dell’art. 73 all’art. 75, la rilevanza amministrativa della sola destinazione ad uso esclusivamente personale.
Il comma 1-bis dell’art. 75, in vigore dal 21 maggio 2014, ha individuato i parametri, le circostanze di fatto – che rispecchiano gli indici elaborati dalla giurisprudenza nell’originario tessuto normativo e quelli già previsti nell’art. 73, comma 1-bis, lett. a), d.P.R. n. 309 del 1990, nel testo dichiarato incostituzionale – per l’accertamento della destinazione ad uso esclusivamente personale della sostanza stupefacente. Tali parametri, al contrario, devono essere adoperati per escludere l’uso esclusivamente personale e quindi per determinare la rilevanza penale della condotta.
Il primo parametro, sub a), è quello quantitativo: la quantità di sostanza stupefacente o psicotropa detenuta non deve essere superiore ai limiti massimi indicati con decreto del Ministro della salute.
Le altre circostanze di fatto indicate dalla norma sono relative alla modalità di presentazione delle sostanze stupefacenti o psicotrope, al peso lordo complessivo, al confezionamento frazionato; il giudice può prendere in esame poi le altre circostanze dell’azione, da cui risulti che le sostanze sono destinate ad un uso esclusivamente personale.
Va poi ricordato che le Sezioni Unite di questa Corte (S.U., n. 51063 del 27/09/2018, COGNOME, non massimata sul punto) hanno precisato che, ai fini dell’operazione di qualificazione del fatto, non può essere attribuito agli elementi positivamente indicati nella norma incriminatrice un aprioristico significato negativo assorbente e, quindi, a priori ed in astratto, carattere ostativo alla qualificazione del fatto
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come di lieve entità, dovendo emergere, come detto, una siffatta conclusione dalla valutazione complessiva dello stesso e dalla riscontrata incapacità degli altri indici selezionati dal comma 5 dell’art. 73 di neutralizzarne la carica negativa. Fra questi indici anche la valenza del dato ponderale, al di fuori dei casi nei quali assume valore preponderante negativo per la sua significatività, deve essere determinata in concreto, al confronto con le altre circostanze del fatto rilevanti.
Al riguardo, la fattispecie autonoma di cui al comma quinto cit. è così configurabile nelle ipotesi di cosiddetto piccolo spaccio, che si caratterizza per una complessiva minore portata dell’attività dello spacciatore e dei suoi eventuali complici, con una ridotta circolazione di merce e di denaro nonché di guadagni limitati e che ricomprende anche la detenzione di una provvista per la vendita che, comunque, non sia superiore – tenendo conto del valore e della tipologia della sostanza stupefacente a dosi conteggiate a “decine” (Sez. 6, n. 15642 del 27/01/2015, Driouech, Rv. 263068).
E’ stato altresì affermato che, in tema di stupefacenti, la qualificazione del fatto ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, non può essere ricavata sulla base del solo parametro quantitativo, desunto dal dato statistico relativo alle pronunce rese in un determinato ufficio giudiziario che hanno riconosciuto la minore gravità del fatto, posto che, per l’accertamento della lieve entità, si deve far riferi mento all’apprezzamento complessivo degli indici che la norma richiama (Sez. 6, n. 7464 del 28/11/2019, dep. 2020, Riccio, Rv. 278615).
In linea coi suesposti principi, la Corte territoriale ha escluso la possibilità d riconoscere l’ipotesi di uso personale non punibile o di riqualificare la vicenda nell’ipotesi più lieve di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, sulla base delle seguenti considerazioni: a) gli elevati quantitativi di stupefacenti, di diversa tipologia, nascosti in luoghi diversi; b) l’incompatibilità tra tali quantitativi e la precostituzio di una scorta personale; c) il possesso di materiale destinato al confezionamento, alla pesatura e al frazionamento della droga.
Per tali ragioni nella sentenza impugnata il reato in questione è stato logicamente considerato quale espressione di un’attività organizzata connotata di gravità e non occasionale, di spaccio di stupefacenti da reperire e da diffondere in modo sistematico.
La Corte distrettuale ha svolto un’analitica valutazione di tutti i parametri richiamati espressamente dall’art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309 del 1990, sia quelli concernenti l’azione (mezzi, modalità e circostanze della stessa), sia quelli attinenti all’oggetto materiale del reato (quantità e qualità delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa), escludendo con motivazione immune da censure l’ipotesi della lieve entità. Dall’esauriente apparato argomentativo emergono con evidenza le ragioni dell’impossibilità di considerare la fattispecie di minima offensività.
Il ricorrente si limita a prospettare una interpretazione alternativa dei medesimi elementi fattuali; i rilievi difensivi, tuttavia, si sviluppano tutti nell’orbita delle ce di merito. I motivi di censura, quindi, difettano di una critica valutativa avverso i provvedimento attaccato e l’indicazione delle ragioni della sua decisività rispetto al percorso logico seguito dal giudice di merito, non confrontandosi con tutte le argomentazioni del provvedimento impugnato (Sez. 4, n. 38202 del 07/07/2016, COGNOME, Rv. 267611; Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, NOME, Rv. 254584).
5. In relazione al terzo motivo di ricorso, va ricordato che, in tema di circostanze attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché non sia contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269, fattispecie nella quali la Corte ha ritenuto sufficiente, ai fini dell’esclusione delle attenuanti generiche, il richiamo in sentenza ai numerosi precedenti penali dell’imputato).
Nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, infatti, non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli fac riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altr disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 7, Ord. n. 39396 del 27/05/2016, Jebali, Rv. 268475; Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, COGNOME, Rv. 265826; Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, NOME, Rv. 259899; Sez. 2, n. 2285 dell’11/10/2004, dep. 2005, Alba, Rv. 230691).
Al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può risultare all’uopo sufficiente (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549).
Tanto premesso sui principi giurisprudenziali operanti in materia, la Corte di appello non ha concesso le circostanze attenuanti generiche alla luce della non trascurabile offensività della condotta e dei precedenti penali per reati analoghi.
Il ricorrente non si confronta con l’ampio apparato argomentativo, con cui era illustrata la sussistenza di molteplici fattori negativi, che non consentivano il riconoscimento delle circostanze attenuanti ex art. 62 bis cod. pen..
Per tali ragioni il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non sussistendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in euro tremila, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen..
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila alla Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma il 17 gennaio 2024.