Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 21563 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 21563 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 13/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato il 01/11/1997
avverso l’ordinanza del 27/11/2024 del TRIBUNALE di PALERMO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del PG NOME COGNOME che ha chiesto annullarsi con rinvio il provvedimento impugnato .
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza indicata nel preambolo, il Tribunale di Palermo, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha dichiarato inammissibile la richiesta con cui NOME COGNOME aveva chiesto il riconoscimento della circostanza attenuante della lieve entità del fatto, in riferimento al reato di cui all’art. 628 cod. pen. giudicato con la sentenza n. 8145 del 2019, divenuta irrevocabile in data 1.7.2023 – a seguito dell’intervento della Corte costituzionale n. 86 del 2024 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma incriminatrice, nella parte in cui non prevede tale attenuante comune.
Il Giudice dell’esecuzione, nel respingere la richiesta, ha escluso che la valutazione richiestagli possa essere compiuta in sede esecutiva avendo ad
oggetto la cognizione sulla sussistenza dei presupposti per la concessione di una circostanza attenuante. In sede esecutiva non è, infatti, possibile né ricostruire la vicenda per cui vi è stata condanna in termini diversi da quelli definiti con la sentenza divenuta irrevocabile né valutare i fatti in modo difforme da quanto ritenuto dal giudice della condizione.
Propone tempestivo ricorso per cassazione il difensore di NOME COGNOME deducendo un unico motivo per inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e per vizio di motivazione.
Secondo il ricorrente, il giudice dell’esecuzione avrebbe dovuto accertare la sussistenza degli estremi del ‘ fatto di lieve entità ‘ e, conseguentemente, procedere all’invocata diminuzione della pena in conformità ai principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità, anche a sezioni unite , secondo cui, in costanza del rapporto esecutivo e fino al suo esaurimento, gli effetti della norma dichiarata costituzionalmente illegittima devono essere rimossi dal giudice dell’esecuzione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato.
Risulta dagli atti che l’ odierno ricorrente, con sentenza divenuta irrevocabile in data 1.7.2023, è stato condannato alla pena di anni 3 mesi 4 di reclusione ed euro 620,00 di multa per il reato previsto dall’art. 628, secondo comma, cod. pen. e che la pena inflittagli è in corso di esecuzione.
Successivamente al l’irrevocabilità d ella sentenza di condanna, la Corte Costituzionale, con decisione n. 86 del 16/04/2024, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 628, comma 2, cod. pen. «nella parte in cui non prevede che la pena da esso comminata è diminuita in misura non eccedente un terzo quando per la natura, la specie, i mezzi, le mo dalità o circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità».
Secondo il giudice delle leggi, «in presenza di una fattispecie astratta connotata, da intrinseca variabilità atteso il carattere multiforme degli elementi costitutivi ‘violenza o minaccia’, ‘cosa sottratta’, ‘possesso’, ‘impunità’, e tuttavia assoggettata a un minimo edittale di rilevante entità, il fatto che non sia prevista la possibilità per il giudice di qualificare il fatto reato come di lieve entità in relazione alla natura, alla specie, ai mezzi, alle modalità o circostanze dell’azione, ovvero alla particolare tenuità del danno o del pericolo, determina la violazione, ad un tempo, del primo e del terzo comma dell’art. 27 C ost.».
Richiamando la sentenza n. 120 del 2023 emessa dalla stessa Corte Costituzionale con riguardo alla fattispecie di estorsione di cui all’art. 629 cod. pen., dichiarato illegittimo per le medesime ragioni nella parte in cui non prevedeva analoga diminuente, la Consulta ha ribadito che «gli indici dell’attenuante di lieve entità del fatto estemporaneità della condotta, scarsità dell’offesa personale alla vittima, esiguità del valore sottratto, assenza di profili organizzativi -garantiscono che la rid uzione della pena ‘sia riservata alle ipotesi di lesività davvero minima, per una condotta che pur sempre incide sulla libertà di autodeterminazione della persona ‘ ».
Nell’interpretazione degli effetti prodotti sui rapporti esecutivi in corso dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 86 del 2024 sull’art. 628 cod. pen. non vi è motivo di discostarsi dall’orientamento ermeneutico formatosi a seguito della già citata sentenza n. 120 del 2023 relativa all’art. 629 cod. pen. (cfr. Sez. 1, n. 45891 del 11/09/2024, D., Rv. 287398 -01; Sez. 1, n. 14861 del 16/02/2024, n.m.).
Ne segue che anche il condannato per il delitto di rapina all’esito di giudizio definito con sentenza irrevocabile prima che fosse dichiarato illegittimo l’art. 628 cod. pen., nella parte in cui non prevede la possibilità di diminuire la pena in caso di lieve entità del fatto, può chiedere al giudice dell’esecuzione di riconoscere la circostanza attenuante, rideterminando il trattamento sanzionatorio, salvo che si versi in un caso di rapporto esaurito.
In questo senso depongono i principi fissati da Sez. U, n. 42858 del 29 maggio 2014, Gatto, secondo cui la declaratoria d’illegittimità costituzionale di una norma inficia fin dall’origine la disposizione impugnata, affetta da un’invalidità originaria, e determina la cessazione di efficacia della norma che ne è oggetto (nella sua integralità o in parte), facendo sorgere l’obbligo per il giudice di non applicarla, salvo che si versi in un caso di rapporto esaurito in modo definitivo e irrevocabile e non più suscettibile di alcuna azione o rimedio (così, prima ancora,). Pertanto, la conformità della pena a legalità in fase esecutiva deve ritenersi costantemente sub iudice (in tal senso, già Sez. U., n. 18821 del 24/10/2013, dep. 2014, Ercolano), quando per effetto della declaratoria, anche solo parziale, d’illegittimità costituzionale di una norma penale sostanziale, sia in atto l’esecuzione di una pena che si riveli illegittima: “garante della legalità della pena in fase esecutiva è il giudice dell’esecuzione, cui compete, se richiesto ex art. 666 cod. proc. pen., di ricondurre la pena inflitta a legittimità” (così Sez. U, n. 42858 del 29/5/2014, Gatto)
D’altra parte, l’art. 30 L. n. 87 del 1953 impone l’eliminazione di qualsiasi effetto pregiudizievole derivante da una condanna assunta sulla base di una
norma poi dichiarata incostituzionale anche solo nella parte incidente sul trattamento sanzionatorio.
Il terzo comma dell’art. 30 cita, in particolare, pone il divieto di applicazione (ovvero l’obbligo di disapplicazione) della norma dichiarata incostituzionale e si rivolge a tutti i giudici, compreso il giudice dell’esecuzione nel momento in cui viene chiamato da una delle parti legittimate dall’art. 666 cod. proc. pen.: «ciò vuol dire che se, per effetto della sentenza della Corte costituzionale (…) è venuta meno la norma applicata per la determinazione della pena inflitta o di parte di essa, deve cessare l’esecuzione della pena o della parte di pena che ha trovato fondamento nella norma dichiarata incostituzionale» (Sez. U, n. 42858 del 29/5/2014, COGNOME, in motivazione).
Investito della questione il giudice de ll’esecuzione , pertanto, deve verificare – seguendo lo schema procedimentale generale previsto dall’art. 666, comma 2, cod. proc. pen., quindi previa fissazione dell’ udienza di trattazione -se nella fattispecie sottoposta al suo vaglio vi siano elementi, rilevanti per la concessione dell’atten uante del fatto di lieve entità, che non siano stati già presi in considerazione dal giudice della cognizione e quindi già assorbiti nella sua valutazione, fermo restando che tale attenuante «postula una valutazione del fatto nel suo complesso» (Sez. 2, n. 47610 del 22/10/2024, L., Rv. 287350 01). E’ sufficiente, quindi, che vi sia uno degli elementi della concreta manifestazione dell’illecito che impedisca di considerare lieve il fatto per giungere ad un giudizio congruo di insussistenza dei presupposti per l’applicazione della diminuente.
In conclusione, l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuovo giudizio sul punto al Tribunale di Palermo che si atterrà ai principi sin qui evidenziati .
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Palermo.
Così deciso, in Roma 13 marzo 2025