Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 9156 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 9156 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 20/02/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
COGNOME NOME, nata a Iasi (Romania) il DATA_NASCITA
NOME, nato a San Giuseppe Vesuviano il DATA_NASCITA
NOME, nato a San Giuseppe Vesuviano il DATA_NASCITA
NOME NOME, nato a Milano il DATA_NASCITA
NOME, nato a Milano il DATA_NASCITA
NOME NOME, nata a Milano il DATA_NASCITA
COGNOME NOME, nato in Germania il DATA_NASCITA
COGNOME NOME, nato a Pompei il DATA_NASCITA
COGNOME NOME, nato a San Giuseppe Vesuviano il DATA_NASCITA
COGNOME NOME, nato a Torre Annunziata il DATA_NASCITA
NOME, nato a Pompei il DATA_NASCITA
COGNOME NOME, nato a San Giuseppe Vesuviano il DATA_NASCITA
COGNOME NOME, nata a San Giuseppe Vesuviano il DATA_NASCITA
COGNOME NOME, nato a Pompei il DATA_NASCITA
COGNOME NOME, nato a Castellammare di Stabia il DATA_NASCITA
COGNOME NOME, nato a Pompei il DATA_NASCITA
NOME, nato a Scafati il DATA_NASCITA
NOME NOME, nato a Ottaviano il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 04/10/2022 della Corte di appello di Napoli;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata per COGNOME, COGNOME e COGNOME, previa riqualificazione dei fatti ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, con rinvio per la rideterminazione della pena; l’annullamento con rinvio per COGNOME; l’inammissibilità dei restanti ricorsi;
uditi per gli imputati: l’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, in sostituzione dell’AVV_NOTAIO. NOME COGNOME, per NOME COGNOME; l’AVV_NOTAIO NOME COGNOME per NOME COGNOME; l’AVV_NOTAIO NOME COGNOME per NOME COGNOME; l’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, in sostituzione dell’AVV_NOTAIO. NOME COGNOME, per NOME COGNOME; l’AVV_NOTAIO NOME COGNOME per NOME COGNOME; l’AVV_NOTAIO NOME COGNOME per NOME COGNOME; l’AVV_NOTAIO NOME COGNOME per NOME COGNOME; l’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, in sostituzione dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, per NOME COGNOME; l’AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, in sostituzione dell’AVV_NOTAIO, per NOME COGNOME; e l’AVV_NOTAIO per NOME COGNOME, che hanno concluso chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Napoli riformava parzialmente la pronuncia di primo grado – assolvendo NOME COGNOME dal reato del capo 133; riconoscendo le circostanze attenuanti generiche a tredici degli imputati innanzi elencati e riducendo conseguentemente le pene inflitte; revocando o sostituendo le pena accessorie per taluni imputati; revocando una misura di sicurezza – e confermava nel resto la medesima pronuncia del 4 dicembre 2020 con la quale, all’esito di giudizio abbreviato, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli aveva condannato:
NOME COGNOME in relazione al reato di cui agli artt. 81 e 110 cod. pen., 73 d.P.R. n. 309 del 1990 (capo 24);
NOME COGNOME in relazione ai reati di cui agli artt. 74, commi 2, 3 e 4, d.P.R. cit. (capo 8); di cui artt. 110 e 81 cod. pen., 73 e 80, lett. a), d.P.R. c (capo 118); di cui artt. 110 cod. pen. e 73 d.P.R. cit. (capo 119); di cui artt. 81 cod. pen., 1, 2 e 7 legge n. 895 del 1967 (capo 126); e di cui artt. 110 e 81 cod.
pen., 1, 2, 4 e 7 legge n. 895 del 1967 (capo 138, limitatamente alla detenzione di una “lupara”);
NOME COGNOME in relazione ai reati di cui agli artt. 74, commi 2, 3 e 4, d.P.R. cit. (capo 8); e di cui artt. 110 e 81 cod. pen., 73 d.P.R. cit. (capi 28, 31 38, 42, 54, 67, 71, 81, 85, 87, 92, 96, 120);
NOME COGNOME in relazione ai reati di cui agli artt. 74, commi 2, 3 e d.P.R. cit. (capo 8); e di cui artt. 110 e 81 cod. pen., 73 d.P.R. cit. (capi 96 97);
NOME COGNOME in relazione ai reati di cui agli artt. 81, 110, 629, primo e secondo comma, con riferimento all’art. 628, terzo comma, n. 1 e 3, cod. pen. (capi 2 e 143); di cui agli artt. 81, 648 cod. pen. (capo 7); di cui all’art. 74, commi 1, 2, e 4, d.P.R. cit. (capo 8); di cui artt. 110 e 81 cod. pen., 2 e 7 legge n. 895 del 1967 (capi 123, 128 e 132); di cui artt. 110 e 81 cod. pen., 2, 4 e 7 legge cit. (capi 124, 127 e 136); di cui artt. 110, 81 e 648 cod. pen. (capi 129 e 132); di cui artt. 110 e 81 cod. pen., 73 e 80, comma 2, d.P.R. cit. (capo 142); e di cui artt. 110, 81, 56 e 629 cod. pen. (capo 144);
NOME COGNOME in relazione al reato di cui agli artt. 74, commi 2, 3 e 4, d.P.R. cit. (capo 8);
NOME COGNOME in relazione ai reati di cui agli artt. 110 e 81 cod. pen., 73 d.P.R. cit. (capi 17, 23, 25, 27, 35, 37, 39, 40, 44, 46, 47, 50, 52, 55, 59, 61, 62, 72, 74, 76, 84);
NOME COGNOME in relazione al reato di cui agli artt. 110 e 81 cod. pen., 73 e 80, comma 2, d.P.R. cit. (capo 142);
NOME COGNOME in relazione ai reati di cui agli artt. 74, commi 2, 3 e 4, d.P.R. cit. (capo 8); di cui artt. 110 e 81 cod. pen., 2, 4 e 7 legge n. 895 del 1967 (capi 136 e 139); e di cui artt. 110 e 81 cod. pen., 1, 2, 4 e 7 legge cit. (capo 137, limitatamente ad alcune delle armi elencate nell’imputazione);
NOME COGNOME in relazione ai reati di cui agli artt. 74, commi 2, 3 e 4, d.P.R. cit. (capo 8); e di cui agli artt. 110 e 81 cod. pen., 73 d.P.R. cit. (capi 13, 1 22, 25, 29, 34, 51, 60, 64, 65);
NOME COGNOME in relazione ai reati di cui agli artt. 74, commi 2, 3 e 4, d.P.R. cit. (capo 8); di cui agli artt. 110 e 81 cod. pen., 73 d.P.R. cit. (capi da 88 a 91) di cui artt. 110 e 81 cod. pen., 2, 4 e 7 legge n. 895 del 1967 (capo 127); di cui agli artt. 81, 110, 629, primo e secondo comma, con riferimento all’art. 628, terzo comma, n. 1 e 3, cod. pen. (capo 143); e di cui artt. 110, 81, 56 e 629 cod. pen. (capo 144);
NOME COGNOME in relazione al reato di cui agli artt. 110 e 81 cod. pen., 2, 4 e 7 legge n. 895 del 1967 (capo 124);
NOME COGNOME in relazione al reato di cui agli artt. 110 e 81 cod. pen., 73 d.P.R. cit. (capo 97);
NOME COGNOME in relazione ai reati di cui agli artt. 110 e 81 cod. pen., 73 d.P.R. cit. (capo 26); e di cui artt. 81, 378 cod. pen. (capo 121);
NOME COGNOME in relazione ai reati di cui agli artt. 81, 110, 629, primo e secondo comma, con riferimento all’art. 628, terzo comma, n. 1 e 3, cod. pen. (capo 2); di cui all’art. art. 74, commi 2, 3, 4 e 7, d.P.R. cit. (capo 8); di cui ar 110 e 81 cod. pen., 73 d.P.R. cit. (capi da 9 a 15, da 18 a 22, 24, 25, 30, 32, 36, 43, 45, 48, 49, 53, da 56 a 58, 62, 63, 73, 75, da 77 a 82, 86); di cui artt. 110 cod. pen. e 73 d.P.R. cit. (capo 66); di cui artt. 110 e 81 cod. pen., 2 e 7 legge n. 895 del 1967 (capi 123 e 128); di cui artt. 110 e 81 cod. pen., 1, 2, 4 e 7 legge cit. (capi 124, 127, 131 e 137, per quest’ultimo limitatamente alla detenzione della pistola K9); e di cui artt. 110, 81 e 648 cod. pen. (capo 129); art. 367 cod. pen. (capo 141);
NOME COGNOME in relazione ai reati di cui agli artt. 110 e 81 cod. pen., 73 e 80, comma 2, d.P.R. cit. (capo 142); e di cui artt. 110, 81, 56 e 629 cod. pen. (capo 144);
NOME COGNOME in relazione al reato di cui agli artt. 110 e 81 cod. pen., 73 e 80, comma 2, d.P.R. cit. (capo 142);
NOME COGNOME in relazione ai reati di cui agli artt. 74, commi 2, 3 e 4, d.P.R. cit. (capo 8); e di cui artt. 110 e 81 cod. pen., 73 d.P.R. cit. (capi 99, da 101 a 110, da 112 a 116).
Rilevava la Corte territoriale come le emergenze processuali – pur escludendo la partecipazione di taluni imputati ad un’associazione stampo camorristico attiva nel territorio – avessero dimostrato l’esistenza di un’associazione per delinquere armata, promossa e diretta da NOME COGNOME, composta da più di dieci persone (tra i quali anche familiari del prevenuto), dedita all’acquisto, anche dall’estero, alla commercializzazione e al successivo spaccio al minuto di sostanze stupefacenti del tipo cocaina, marijuana e hashish, operante dal 2013 al 2016 nelle zone di Terzigno, San Giuseppe Vesuviano, Salerno e altri comuni.
Contro la sentenza hanno proposto ricorso i diciotto imputati elencati in epigrafe, con atti sottoscritti dai rispettivi difensori.
NOME COGNOME ha dedotto la violazione di legge, in relazione all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, per avere la Corte di appello disatteso la richiesta difensiva di riqualificazione dei fatti in termini di lieve ent considerato che il quantitativo di droga oggetto dell’imputazione non è conosciuto e che l’episodio può essere valutato come espressione di “piccolo
spaccio”, anche per la ridotta circolazione di merce e di denaro, e per l’assenza di una prolungata attività di vendita in favore di un numero indeterminato di soggetti; nonché per avere la Corte territoriale errato nel non qualificare la condotta come una ipotesi di tentativo di spaccio.
NOME COGNOME ha dedotto il vizio di motivazione, per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità, per avere la Corte di appello, pur in presenza di una rinuncia ai “motivi assolutori” formulati con l’impugnazione, omesso di pronunciarsi sulla richiesta difensiva di esclusione delle circostanze aggravanti del numero delle persone e dell’associazione armata, di cui ai commi 3 e 4 dell’art. 74 d.P.R. cit.; nonché per avere omesso di esplicitare le ragioni del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche con giudizio solo di equivalenza e non di prevalenza su quelle aggravanti.
NOME ha dedotto il vizio di motivazione, per mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità, per avere la Corte territoriale omesso di esplicitare le ragioni per negare il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulle contestate aggravanti.
NOME COGNOME ha dedotto i seguenti motivi.
5.1. Violazione di legge, in relazione all’art. 125 cod. proc. pen., e mancanza di motivazione, per avere la Corte distrettuale omesso di pronunciarsi sulla richiesta difensiva di riconoscimento delle attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti, in ragione del buon comportamento processuale e dello stato di incensuratezza.
5.2. Violazione di legge, in relazione all’art. 133 cod. proc. pen., e mancanza di motivazione, per avere la Corte di merito omesso di chiarire le ragioni per la determinazione della pena base per il reato di cui all’art. 74 d.P.R. cit. in misura superiore al minimo edittale, a differenza di quanto stabilito per altri imputati.
NOME COGNOME ha dedotto la mancanza di motivazione, per avere la Corte di appello omesso di pronunciarsi sulla richiesta con la quale la difesa aveva domandato di riqualificare il suo ruolo come quello di mero partecipe e non come quello di promotore dell’associazione per delinquere contestata nel capo d’imputazione 8.
NOME COGNOME ha dedotto il vizio di motivazione, per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità, per avere la Corte di appello, pur in presenza di una rinuncia ai “motivi assolutori” formulati con l’impugnazione,
omesso di esplicitare le ragioni del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche con giudizio solo di equivalenza e non di prevalenza sulle contestate aggravanti.
NOME COGNOME ha dedotto, con quattro distinti punti, la violazione di legge e il vizio di motivazione, per illogicità, per avere la Corte di appello confermato la condanna in relazione ai reati ascritti, benché risultasse dimostrato che egli era stato mero consumatore della droga e non aveva mai spacciato lo stupefacente in favore di terzi; nonché per avere la Corte omesso di riconoscergli tutti i benefici di legge.
NOME COGNOME ha dedotto i seguenti motivi.
9.1. Violazione di legge, in relazione all’art. 533 cod. proc. pen., e vizio di motivazione, per illogicità, per avere la Corte di appello confermato la pronuncia di condanna di primo grado per il reato contestato al capo 142, benché non fosse stato chiarito quale era stato il suo contributo concorsuale, avendo egli al più favorito la posizione di un coimputato ovvero tenuto una condotta costituente al più un post factum rispetto all’importazione di stupefacente che non era stata portata a termine.
9.2. Violazione di legge, in relazione agli artt. 546 cod. proc. pen. e 80, comma 2, d.P.R. n. 309 del 1990, e vizio di motivazione, per avere la Corte territoriale omesso di spiegare le ragioni della decisione di ritenere sussistente l’aggravante contestata dell’ingente quantitativo di droga.
9.3. Violazione di legge, in relazione all’art. 56 cod. pen., e vizio d motivazione, per avere la Corte distrettuale disatteso la richiesta con la quale la difesa aveva domandato la derubricazione del reato nella forma del tentativo, considerato che gli imputati non avevano mai conseguito la materiale disponibilità né il controllo della cocaina che doveva essere importata in Italia e che, invece, era stata sequestrata nel gennaio 2015 nel porto di Rotterdam.
9.4. Violazione di legge, in relazione all’art. 62-bis cod. pen., e vizio di motivazione, per apparenza, per avere la Corte di merito ingiustificatamente negato all’imputato il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, benché egli, sottoposto a misura cautelare, avesse rispettato le prescrizioni imposte e più di recente fosse stato autorizzato ad allontanarsi dall’abitazione, ove era stato posto agli arresti, per poter svolgere attività lavorativa.
NOME COGNOME ha dedotto i seguenti motivi.
10.1. Vizio di motivazione, per mancanza, apparenza, travisamento e illogicità, per avere la Corte di appello confermato la pronuncia di condanna di primo grado
per il reato associativo del capo 8, benché non fossero stati acquisiti elementi di prova dimostrativi di una sua appartenenza all’indicato sodalizio criminale, ovvero una sua adesione ad un comune pactum sceleris anziché un mero “stile di vita improntato alla commissione di illeciti”: essendo stato escluso che avesse sostituito il COGNOME quale factotum del capo dell’associazione NOME COGNOME; che si fosse occupato “in maniera assidua” del recupero dei crediti del gruppo o che per questo si fosse interessato a commettere reati in materia di armi; essedo stato confermato, invece, che si era solo interessato di traffici illeciti in proprio ovvero “in autonomia” o per conto di altri soggetti (quale un tal “COGNOMECOGNOME, suo fornitore): ciò senza che possa essere sopravvalutato il dato dell’impiego di particolari modalità nelle comunicazioni con il COGNOME o il contenuto delle informazioni che aveva dato al COGNOME, con il quale egli aveva, in ogni caso, “lavorato” per proprio conto.
10.2. Violazione di legge, in relazione all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, e vizio di motivazione, per avere la Corte territoriale omesso di rispondere alle specifiche questioni poste con l’atto di appello in ordine all’assenza di elementi sintomatici di un suo inserimento in una struttura organizzativa ovvero di una relazione funzionale e dinamica con l’associazione de qua, capace di integrare il contestato “fare parte” della condotta illecita punibile o lo stabile contributo alla vita della organizzazione.
10.3. Vizio di motivazione, per illogicità e contraddittorietà, per avere la Corte distrettale confermato la condanna per i reati dei capi d’imputazione 136, 137 e 139, valorizzando il contenuto di conversazioni registrate dagli inquirenti dal tenore criptico o “vago”, al pari di quanto accaduto per i fatti del capo 133 dai quali significativamente egli era stato mandato assolto: non essendo stato possibile accertare il tipo o il calibro delle armi indicate ed essendo stato verificato che egli si fosse occupato, al più, della compra-vendita di armi di cui, però, non aveva avuto il materiale possesso o che erano state oggetto di transazioni mai definite; senza trascurare che l’addebito concernente la detenzione di una pistola era stato duplicato nei capi 137 e 139, e che egli ricorrente potrebbe avere solamente millantato il possesso di talune armi.
10.4. Vizio di motivazione, in relazione agli artt. 62-bis e 133 cod. pen., per avere la Corte di merito ingiustificatamente disatteso le richieste difensive tese al riconoscimento delle attenuanti generiche e alla riduzione delle pene inflitte verso i limiti edittali minimi, anche tenuto conto del positivo comportamento processuale.
10.5. Con motivi aggiunti trasmessi ai sensi dell’art. 585, comma 4, cod. proc. pen., richiamando gli elementi fattuali già segnalati con il primo e il secondo motivo del ricorso, il difensore del COGNOME è tornato a lamentare la illogicità,
la contraddittorietà e la mancanza della motivazione con particolare riferimento al travisamento della prova, per avere la Corte di appello date per dimostrate come sussistenti condotte non realizzate, ritenendo indicativo della partecipazione associativa ciò che in realtà non lo era o che addirittura costituiva contegno incompatibile con la partecipazione all’associazione di cui all’imputazione.
NOME COGNOME ha dedotto il vizio di motivazione, per mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità, per avere la Corte territoriale omesso di esplicitare le ragioni per negare il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulle contestate aggravanti.
NOME COGNOME ha dedotto il vizio di motivazione, per mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità, per avere la Corte territoriale omesso di esplicitare le ragioni per negare il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulle contestate aggravanti.
NOME COGNOME ha dedotto la violazione di legge, in relazione agli artt. 99 e 178 cod. pen., e vizio di motivazione, per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità, per avere la Corte territoriale omesso di pronunciarsi sulla richiesta difensiva di esclusione della recidiva contestata per intervenuta riabilitazione rispetto alla precedente condanna.
NOME COGNOME ha dedotto la violazione di legge, in relazione all’art. 546 cod. proc. pen., e il vizio di motivazione, per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità, per avere la Corte di appello disatteso la richiesta difensiva di qualificazione della condotta tenuta dalla prevenuta in termini di “connivenza non punibile”, anziché del contestato concorso nell’attività illecita del di le marito, NOME COGNOME, con riferimento alla contestata cessione ad un terzo di un imprecisato quantitativo di sostanza stupefacente del tipo cocaina.
NOME COGNOME ha dedotto i seguenti motivi.
15.1. Violazione di legge e vizio di motivazione, per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità, per avere la Corte di appello confermato la condanna dell’imputato per il reato del capo 26, omettendo di chiarire per quale ragione la sostanza asseritamente ceduta non potesse essere qualificata come droga “leggera”; perché egli non potesse essere prosciolto per la natura amministrativa dell’illecito ovvero perché la sua condotta non potesse essere
qualificata come di lieve entità ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990.
15.2. Violazione di legge, in relazione agli artt. 533 cod. proc. pen. e 81 cod. pen., e vizio di motivazione, per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità, per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto che tra i due reati posti in continuazione il più grave fosse quello del capo 121 e non anche quello del capo 26.
15.3. Violazione di legge, in relazione agli artt. 304 cod. proc. pen. e 159 cod. pen., e vizio di motivazione, per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità, per avere la Corte distrettuale disatteso la richiesta difensiva d declaratoria di estinzione per prescrizione del reato del capo 121, facendo riferimento al periodo di sospensione della decorrenza del termine di prescrizione dovuto alla prolungata sospensione – durante il periodo per il deposito della motivazione della sentenza di primo grado – dei termini di durata della custodia cautelare, cui erano stati sottoposti altri imputati ma non anche il COGNOME.
15.4. Violazione di legge, in relazione agli artt. 62-bis e 133 cod. pen., e vizio di motivazione, per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità, per avere la Corte di merito rigettato la richiesta con la quale la difesa aveva domandato il riconoscimento delle attenuanti generiche per la incensuratezza dell’imputato e, comunque, una ulteriore riduzione della pena inflitta, peraltro calcolata senza rispettare i limiti edittali stabiliti per il reato di cui all’art. 378 cod. pen.
16. NOME COGNOME, con quattro distinti punti, ha dedotto la violazione di legge e il vizio di motivazione, per avere la Corte di appello omesso di dichiarare l’intervenuta estinzione per prescrizione del reato di cui all’art. 367 cod. pen., così riqualificato il fatto contestato al capo 141; nonché per avere mancato di pronunciarsi sulle richieste, formulate con l’atto di impugnazione, di applicazione della massima estensione della circostanza attenuante di cui all’art. 74, comma 7, d.P.R. cit.; di riqualificazione dei fatti ai sensi del comma 6 del predetto art. 74; nonché di esclusione della circostanza aggravante di cui al comma 4 dello stesso art. 74.
Con motivi nuovi trasmessi ai sensi dell’art. 585, comma 4, cod. proc. pen., il difensore del COGNOME, oltre a sviluppare gli argomenti già posti a fondamento del secondo e del terzo motivo del ricorso, ha lamentato la violazione di legge per avere la Corte territoriale erroneamente calcolato la pena, determinata in aumento su quella base, in relazione ai reati satellite posti in continuazione.
NOME COGNOME ha dedotto la violazione di legge, in relazione all’art. 81 cod. pen., e mancanza di motivazione, per avere la Corte distrettuale omesso
di indicare le ragioni per le quali era stata determinato in mesi due di reclusione l’aumento della pena per la continuazione con il reato di cui al capo 144.
NOME COGNOME ha dedotto la violazione di legge, in relazione all’art. 125 cod. proc. pen., e il vizio di motivazione, per avere la Corte di appello omesso di esaminare le emergenze processuali che avrebbero consentito di pervenire al suo proscioglimento per l’assenza di prova di un concorso nella commissione del reato contestato.
NOME COGNOME ha dedotto il vizio di motivazione, per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità, per avere la Corte di appello, pur in presenza di una rinuncia ai “motivi assolutori” formulati con l’impugnazione, omesso di pronunciarsi sulla richiesta difensiva di esclusione delle circostanze aggravanti del numero delle persone e dell’associazione armata, di cui ai commi 3 e 4 dell’art. 74 d.P.R. cit.; nonché per avere omesso di esplicitare le ragioni del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche con giudizio solo di equivalenza e non di prevalenza su quelle aggravanti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso presentato nell’interesse di NOME COGNOME va accolto, per le ragioni e con gli effetti di seguito precisati.
La doglianza relativa alla omessa “derubricazione” del fatto di reato in termini di tentativo è inammissibile perché avente ad oggetto una specifica questione proposta per la prima volta solo con il ricorso per cassazione: peraltro, alla odierna ricorrente non è stata addebitata una condotta di spaccio, tale da poter essere astrattamente qualificata nella forma del tentativo, bensì la detenzione illegale e il trasporto dello stupefacente.
La principale censura formulata dal ricorso, relativa all’applicazione della disciplina dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, è, invece, fondata.
Costituisce espressione di un orientamento interpretativo consolidato nella giurisprudenza di legittimità il principio secondo il quale, in materia di sostanze stupefacenti, ai fini del riconoscimento o meno della fattispecie del fatto di lieve entità di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. cit., il giudice, al fine di consentire a Corte di cassazione il sindacato che le è proprio, deve fornire un’adeguata valutazione complessiva del fatto, considerando in particolare mezzi, modalità e circostanze dell’azione, oltre alla qualità e quantità della sostanza, perché solo in questo modo è possibile formulare un concreto giudizio sulla lieve offensività del reato (in questo senso, tra le tante, Sez. 6, n. 38606 del 08/02/2018, Sefar, Rv.
273823; conf., in seguito, Sez. 6, n. 46607 del 01/12/2021, COGNOME, Rv. 282391; Sez. 6, n. 7464 del 28/11/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278615); in ogni caso, la fattispecie autonoma di cui al comma 5 del suddetto art. 73 è configurabile solamente nei casi che si caratterizzano per una complessiva minore portata dell’attività, con una ridotta circolazione dì merce e di denaro e potenzialità di guadagni limitati (in questo senso Sez. 6, n. 45061 del 03/11/2022, COGNOME, Rv. 284149-02).
Nel caso della COGNOME i giudici di merito non hanno fatto corretta applicazione di tali regulae iuris, in quanto, a differenza del convivente NOME COGNOME (risultato direttamente coinvolto in una vorticosa ampia attività di commercializzazione di sostanze stupefacenti), risulta evidente come il fatto contestato alla prevenuta vada qualificato ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, tenuto conto che l’imputata è stata chiamata a rispondere di un unico ed isolato episodio di detenzione illegale di un imprecisato ma ridotto quantitativo di cocaina (“…c’è un ovetto kinder… questi due cosi…”): attività peraltro compiuta, con mille remore e timori, esclusivamente perché il compagno le aveva telefonicamente chiesto di accompagnarlo per far sì che, per la presenza in un’auto anche di una donna, fosse minore il rischio che egli potesse essere fermato da una pattuglia delle forze dell’ordine.
Né è di ostacolo all’applicazione per la COGNOME della richiamata disposizione, pur in presenza di un’attività del convivente per la quale si è esclusa una più benevola considerazione, tenuto conto che le Sezioni Unite di questa Cassazione hanno recentemente chiarito che, in tema di concorso di persone nel reato di cessione di sostanze stupefacenti, il medesimo fatto storico può essere ascritto a un concorrente a norma dell’art. 73, comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990 e a un altro concorrente a norma dell’art. 73, comma 5, del medesimo d.P.R. (Sez. U, n. RG. 27140/23 del 14/12/2023, COGNOME, notizia di decisione).
Sulla base degli elementi di prova a disposizione, non utilmente integrabili in un eventuale giudizio di rinvio, data l’assenza di ulteriori dati da valutare (come desumibile dall’analisi del contenuto delle due sentenze dei giudici di merito), lo svolgimento di tale giudizio risulta superfluo in relazione alla corretta qualificazione giuridica, che può essere disposta da questa Corte. La sentenza impugnata va, perciò, annullata nei confronti dell’COGNOME, previa riqualificazione del fatto accertato ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. cit., con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli per nuovo giudizio esclusivamente finalizzato alla rideterminazione della pena.
2. I ricorsi presentati nell’interesse di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME,
NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME sono inammissibili.
2.1. I motivi di tali ricorsi dedotti in termini di mancata pronuncia sull questioni che erano state poste con gli atti di appello in ordine alle ragioni della condanna, alla configurabilità delle aggravanti contestate nel capo d’imputazione 8 e alla recidiva, al riconoscimento di una circostanza attenuante o alla qualificazione giuridica della condotta associativa, sono manifestamente infondati.
Costituisce ius receptum nella giurisprudenza di questa Corte di cassazione il principio secondo il quale la rinuncia a tutti i motivi di appello afferent all’affermazione della responsabilità penale ovvero ai motivi c.d. “assolutori”, ad esclusione soltanto di quelli riguardanti la misura della pena, la concessione delle attenuanti generiche ed il bilanciamento delle circostanze, comprende anche i motivi concernenti la qualificazione del reato e la sussistenza delle aggravanti o della recidiva, in quanto punti della decisione distinti e autonomi rispetto a quello afferente al trattamento sanzionatorio (in questo senso, tra le tante, Sez. 4, n. 46150 del 15/10/2021, COGNOME, Rv. 282413; Sez. 2, n. 47698 del 18/09/2019, COGNOME, Rv. 278006; Sez. 4, n. 827 del 21/11/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 271750; Sez. 3, n. 50750 del 15/06/2016, COGNOME, Rv. 268385; e, con riferimento alla recidiva, Sez. 6 , n. 54431 del 25/10/2018, COGNOME, Rv. 274315; Sez. 2, n. 11761 del 30/01/2014, COGNOME, Rv. 259825).
2.2. I motivi dei ricorsi proposti dai suddetti imputati, dedotti in termini omessa motivazione sul giudizio di bilanciamento operato tra circostanze attenuanti e aggravanti, sono generici.
Nella giurisprudenza di legittimità si è avuto modo di sottolineare che il requisito della specificità dei motivi implica non soltanto l’onere di dedurre le censure che la parte intenda muovere in relazione ad uno o più punti determinati della decisione, ma anche quello di indicare, in modo chiaro e preciso, gli elementi che sono alla base delle censure medesime, al fine di consentire al giudice dell’impugnazione di individuare i rilievi mossi ed esercitare il proprio sindacato (così, tra le tante, Sez. 3, n. 5020 del 17/12/2009, COGNOME, Rv. 245907).
Nel caso di specie i ricorrenti si sono limitati ad enunciare, in forma molto indeterminata, il dissenso rispetto alle valutazioni compiute dalla Corte territoriale, senza specificare gli aspetti di criticità dei passaggi giustificativi d decisione, cioè omettendo di confrontarsi realmente con la motivazione della sentenza gravata: pronuncia nella quale era stato spiegato come il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche in favore di una serie di imputati potesse giustificarsi in considerazione della loro scelta di rinunciare ai
“motivi assolutori”, da intendersi come “sintomo di possibile resipiscenza, di (un) almeno iniziale rivisitazione critica del proprio vissuto criminale”; aggiungendo, in maniera non censurabile in questa sede di legittimità, come tanto dovesse comportare un bilanciamento in termini di equivalenza tra circostanze di segno contrario, sì da arrivare ad “un minor rigore quoad poenam (…) nell’ambito della corretta valutazione di condotte delinquenziali di gravità indubbiamente molto rilevante, nonché in presenza di un corposo corredo di pregiudizi penali” (v. pag. 39 sent. impugn.).
2.3. Va aggiunto che il secondo motivo del ricorso di NOME COGNOME, formulato in termini di omessa pronuncia sulle ragioni della determinazione della pena base per il più grave reato tra quelli per i quali è stato riconosciuto il vincolo della continuazione, è manifestamente infondato: la Corte di appello di Napoli ha puntualizzato quali fossero le ragioni per cui, nella determinazione del trattamento sanzionatorio per il prevenuto, la pena base dovesse essere fissata misura superiore al minimo edittale, in considerazione del ruolo svolto dal NOME e della rilevanza del suo contributo causale alla operatività del sodalizio criminale del quale era stato partecipe (v. pag. 41 sent. impugn.).
2.4. Gli ulteriori motivi dedotti con i ricorsi di NOME COGNOME e NOME COGNOME sono inammissibili perché, oltre ad essere stati formulati in maniera generica, afferiscono a punti della decisione oggetto di rinuncia dell’appello.
2.5. Il primo motivo del ricorso di NOME COGNOME è privo di pregio, in quanto, nel prospettare l’estinzione per prescrizione del reato di cui al capo d’imputazione 141, asseritamente intervenuta prima della pronuncia della sentenza di secondo grado, la difesa ha omesso di dialogare con la motivazione della sentenza gravata da cui risulta che – a norma dell’art. 159, primo comma, cod. pen. – il decorso del termine di prescrizione di tutti i reati (compreso quello del capo 141), indicato come consumato il 7 febbraio 2014) era stato sospeso per effetto dell’adozione, durante il giudizio di primo grado, del provvedimento di sospensione dei termini di custodia cautelare durante il periodo previsto per la stesura della motivazione della relativa sentenza, e nel successivo periodo “aggiunto” ex art. 154, comma 4-bis, disp. att. cod. proc. pen.; nonché in conseguenza della emissione, durante il giudizio di secondo grado, di altra ordinanza di sospensione di quei termini per la particolare complessità del giudizio di impugnazione (v. pag. 159 sent. irnpugn.; v. anche infra il punto 6.2).
Per il Fabbrocino va aggiunto che il secondo e il terzo nuovo motivo dedotti ai sensi dell’art. 585, comma 4, cod. proc. pen., sono privi di pregio per le ragioni già innanzi esposte con riferimento ai collegati motivi formulati con l’originario atto di appello; mentre il primo motivo nuovo, riguardante una asserita
violazione dell’art. 81 cod. pen. nel calcolo della pena per il reato continuato, è inammissibile perché afferente ad un punto della decisione non enunciato nell’iniziale atto di impugnazione.
Il ricorso presentato nell’interesse di NOME COGNOME va accolto.
3.1. Le doglianze difensive riguardanti violazioni di legge, dedotte nel primo e nel secondo motivo del ricorso, non superano il vaglio preliminare di ammissibilità in quanto è pacifico, nella giurisprudenza di legittimità, che la violazione degli artt. 192, 530, 533 o 546 cod. proc. pen., non comporta ex se la operatività di alcune delle sanzioni processuali previste dall’art. 606, comma 1, lett. c) dello stesso codice di rito, mentre in presenza di doglianze che riguardano la ricostruzione del fatto e non anche una reale assenza della motivazione, le relative questioni refluiscono nell’esame dei prospettati vizi di motivazione (in questo senso, tra le tante, Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, Filardo, Rv. 280027-04).
3.2. Manifestamente infondato è il secondo motivo del ricorso, versato in termini di violazione di legge, poiché la decisione dei giudici di merito di ritenere sussistente la circostanza aggravante dell’ingente quantità in relazione alla fattispecie esaminata, riguardante l’importazione di una partita del peso netto di 39,99 kg. di cocaina, divisa in 40 panetti di un chilo circa ciascuno, proveniente dal Sud America e rinvenuta su una nave dalla polizia olandese – del valore nella vendita al dettaglio di 12.800.000 euro – si pone in linea con l’indirizzo ermeneutico di questa Corte di cassazione per il quale, in tema di produzione, traffico e detenzione illecita di sostanze stupefacenti, l’aggravante della ingente quantità di cui all’art. 80, comma 2, d.P.R. n. 309 del 1990, è di norma ravvisabile quando la quantità sia pari o superiore a 2.000 volte il valore massimo in milligrammi (valore-soglia) determinato per ogni sostanza nella tabella allegata al d.rn. 11 aprile 2006 (Sez. U, n. 36258 del 24/05/2012, COGNOME, Rv. 253150): valore-soglia, nel caso della cocaina, pari a 750 mg., con la conseguenza che, ai fini della configurabilità della aggravante in argomento, il limite da superare per tale stupefacente è quello di 1,5 kg. di sostanza pura, ragionevolmente di gran lunga inferiore a quantitativo presente in quella rilevantissima partita di droga, dell’indicato elevato valore commerciale, importata dal Sud America per essere poi ulteriormente tagliata e rivenduta a terzi (v. pag. 64 sent. impugn.; pag. 409 sent. Gip).
3.3. Manifestamente infondate sono le ulteriori, lamentate violazioni delle norme di diritto penale sostanziale prospettate nel terzo motivo del ricorso.
Costituisce espressione di un consolidato orientamento interpretativo di questa Corte il principio secondo il quale, ai fini della consumazione del delitto di
mportazione di sostanze stupefacenti, è sufficiente la conclusione dell’accordo finalizzato all’importazione dello stupefacente, senza necessità dell’acquisizione dell’autonoma detenzione della sostanza stupefacente: sicché solo nella fase antecedente all’incontro delle volontà può configurarsi il tentativo in ragione delle trattative intercorse, univoche e idonee a conseguire seriamente il reciproco consenso all’effettivo trasferimento dello stupefacente nel territorio nazionale (in questo senso, tra le altre, Sez. 4, n. 6498 del 26/01/2021, COGNOME, Rv. 280932; Sez. 3, n. 29655 del 29/01/2018, COGNOME, Rv. 273717).
Di tale criterio ermeneutico i giudici di merito hanno fatto corretta applicazione, tenuto conto del contestato concorso nella commissione del reato consistito nell’aver importato in Italia un rilevantissimo quantitativo di cocaina di 40 kg. trasportato su una nave, spostatasi dal porto di Salerno, dove i correi non erano riusciti a recuperare la droga, in quello di Rotterdam, dove le forze di polizia aveva trovato e sequestrato quella sostanza.
3.4. I motivi dedotti in termini di vizi di motivazione nei primi tre punti de ricorso sono, invece, fondati.
La motivazione contenuta nella sentenza impugnata risulta inficiata da una inadeguata valutazione degli elementi di prova a disposizione e da un percorso argomentativo caratterizzato da incongruenze logiche.
In particolare, la Corte di appello ha sostenuto come il concorso del predetto imputato nella commissione del delitto del capo 142 fosse stato dimostrato dal tenore delle conversazioni che il prevenuto aveva intrattenuto con i correi, dalle quali era stato possibile accertare che egli aveva discusso con gli altri della raccolta del denaro da restituire ai componenti dell’organizzazione criminale, che avevano finanziato l’operazione di importazione di quella partita di stupefacente, ed aveva anche ricevuto dai compagni il consiglio di non parlare al telefono e di rendersi “irrintracciabile”, ovvero di disfarsi del cellulare per evitare controlli d parte delle forze dell’ordine (v. pagg. 55-63 sent. impugn.; pagg. 312 e segg. sent. Gip).
Tuttavia, nonostante nella motivazione della sentenza gravata vi sia un accenno ad un non meglio definito coinvolgimento del COGNOME in una pregressa operazione di importazione di tabacchi lavorati esteri di contrabbando, i giudici di merito non hanno affatto chiarito quale sia stato il consapevole contributo concorsuale dato dal prevenuto nella importazione della ingente partita di cocaina trasportata dalla nave arrivata nel porto di Salerno: ciò tenuto conto che le conversazioni intercettate che avevano visto direttamente interessato il COGNOME sembrano aver riguardato – secondo quanto indicato dai giudici di merito – il
periodo successivo al momento in cui quella nave era ripartita dal porto di Salerno diretta a quello di Rotterdam, cioè una fase cronologicamente posteriore a quella dell’avvenuta importazione, nella quale i coimputati parrebbe si fossero (infruttuosamente) preoccupati di far ritornare in Italia il container nel quale era stata nascosa la droga.
La sentenza impugnata va, dunque, annullata nei confronti del COGNOME, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli che, nel nuovo giudizio, porrà rimedio alle indicate lacune e aporie motivazionali.
Nel riconoscimento della fondatezza dei primi tre motivi del ricorso, nella parte in cui sono stati versati in termini di vizio di motivazione, resta assorbito l’esame del quarto e ultimo motivo.
Il ricorso presentato nell’interesse di NOME COGNOME è inammissibile.
4.1. Manifestamente infondate sono le violazioni delle norme di diritto penale sostanziale indicate nel secondo motivo del ricorso.
Questa Corte di cassazione ha reiteratamente chiarito, per un verso, che, in tema di associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, l’elemento aggiuntivo e distintivo del delitto di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 rispetto alla fattispecie del concorso di persone nel reato continuato di detenzione e spaccio di stupefacenti, va individuato non solo nel carattere dell’accordo criminoso, avente ad oggetto la commissione di una serie non preventivamente determinata di delitti e nella permanenza del vincolo associativo, ma anche nell’esistenza di una organizzazione che consenta la realizzazione concreta del programma criminoso (così, tra le tante, Sez. 6, n. 17467 del 21/11/2018, dep. 2019, Noure, Rv. 275550; Sez. 6, n. 18055 del 10/01/2018, COGNOME, Rv. 273008); e che, per altro verso, la commissione, in concorso con altri partecipi, di reati-fine dell’associazione, può integrare l’esistenza di indizi gravi, precisi e concordanti in ordine alla partecipazione al reato associativo, suscettibili di essere superati solo con la prova contraria dell’assenza di un vincolo preesistente con i correi, fermo restando che, stante la natura permanente del reato associativo, detta prova non può consistere nella limitata durata dei rapporti con costoro (così, tra le molte, Sez. 3, Sentenza n. 20003 del 10/01/2020, COGNOME, Rv. 279505-02; Sez. 3, n. 42228 del 03/02/2015, Prota, Rv. 265346; Sez. 2, n. 5424 del 22/01/2010, Syndial, Rv. 246441).
Di tali regulae iuris i giudici di merito hanno fatto corretta applicazione nel caso di specie.
In particolare – anche legittimante operando un rinvio al contenuto della conforme sentenza di primo grado (v. pagg. 65 e segg. sent. impugn.; pagg. 93-
420, 936 e segg., 988 e segg., 1069 e segg. sent. Gip) – la Corte di appello ha convincentemente evidenziato come le molteplici risultanze delle indagini avessero comprovato l’esistenza di una ramificata organizzazione criminale diretta da NOME COGNOME, coadiuvato dal suo “braccio destro” NOME COGNOME, dedita alla commissione di una pluralità di reati inerenti alla compravendita, alla cessione e allo spaccio di rilevanti quantitativi di stupefacenti tanto di prima quanto di seconda tabella; sodalizio capace di gestire ben quattro distinte “piazze di spaccio”, attivo principalmente nelle zone di Terzigno, San Giuseppe Vesuviano e comuni limitrofi, caratterizzato dalla disponibilità di molteplici contatti per il reperimento dei fornitori e per il successivo smercio delle droghe; di veicoli “puliti” impiegati per l’occultamento e il trasporto delle sostanze, vetture da cambiare periodicamente per scongiurare il rischio di intercettazioni ambientali; di telefoni cellulari con schede dedicate (“i telefoni della fatica”) da impiegare per le comunicazioni riservate tra i sodali, secondo modalità prestabilite; di vari “canali di approvvigionamento degli stupefacenti; nonché di immobili “sicuri” utilizzati per nascondere le droghe del gruppo. Organizzazione i cui appartenenti avevano ruoli e compiti prestabiliti, le cui iniziative seguivano le precise direttive del capo NOME COGNOME e che risultavano ispirate da un chiaro intento solidaristico: la cui esistenza era stata confermata dal fatto che agli associati veniva garantito uno “stipendio periodico” e vi era una “cassa comune” alimentata dai proventi dello spaccio, utilizzata per l’acquisto di nuove forniture; e che, in caso di arresto di uno degli affiliati, l’associazione s faceva carico di fornirgli assistenza legale e di mantenere economicamente i rispettivi familiari, che venivano pure accompagnati in carcere per fare visita al congiunto detenuto.
Quanto alla posizione del COGNOME non è riconoscibile alcuna inosservanza o erronea applicazione delle considerate norme di diritto penale sostanziale allo stesso contestate. La Corte di appello, nel rispetto di quei criteri interpretativi, ha confermato la partecipazione del prevenuto all’associazione per delinquere in argomento, avendo il prevenuto mantenuto costanti e continue relazioni illecite con il COGNOME, alter ego del capo di quel gruppo criminale; avuto conoscenza delle modalità di nascondimento dei proventi dello spaccio della droga, già utilizzate dal padre del COGNOME; utilizzato le speciali “regole” impiegate tra i soda per poter comunicare con il capo della organizzazione NOME COGNOME, il quale, in quelle occasioni, al COGNOME aveva impartito precisi ordini e direttive, tra l’altro finalizzate al recupero di crediti dovuti a pregresse cessioni di droga o al bisogno di rintracciare il COGNOME, ricevendo dall’odierno ricorrente informazioni sull’andamento delle comuni iniziative delittuose e avvertimenti circa la presenza in determinati luoghi di pattuglie delle forze dell’ordine (avvisi che il COGNOME
garantiva usualmente anche ad altri componenti della organizzazione). Rapporto di subordinazione organica confermata dal tenore di quei colloqui nel corso dei quali il sodale NOME COGNOME aveva avvisato il COGNOME dei rischi che correva per avere agito senza rispettare le regole imposte dal capo clan; e dal fatto che l’odierno ricorrente aveva confidato ad un terzo la situazione di pericolo in cui si era venuto a trovare il Fabbrocino per avere violato il segreto su alcune notizie ricevute dal NOME (v. pagg. 65-112 sent. impugn.).
Le ulteriori questioni al riguardo poste con il ricorso refluiscono, perciò, nell’esame dei denunciati vizi di motivazione.
4.2. Il primo, il secondo e il terzo motivo del ricorso, nonché i connessi nuovi motivi dedotti ai sensi dell’art. 585, comma 4, cod. proc. pen. – con i quali sono stati lamentati, sotto diversi profili, vari vizi di motivazione – sono sta presentati per fare valere ragioni diverse da quelle consentite dalla legge.
Il ricorrente solo formalmente ha indicato vizi della motivazione della decisione gravata, ma non ha, invero, prospettato alcuna reale contraddizione logica, intesa come implausibilità delle premesse dell’argomentazione, irrazionalità delle regole di inferenza, ovvero manifesto ed insanabile contrasto tra quelle premesse e le conclusioni; né è stata lamentata, come pure sarebbe stato astrattamente possibile, una inadeguata descrizione degli elementi di prova rilevanti per la decisione, intesa come incompletezza dei dati informativi desumibili dalle carte del procedimento.
Il ricorrente si è sostanzialmente limitato a criticare il significato che la Corte d appello di Napoli aveva dato al contenuto delle emergenze acquisite durante le indagini preliminari e, in specie, al tenore delle conversazioni tra presenti o telefoniche intercettate ed agli esiti delle ulteriori attività investigative svo dagli inquirenti. E tuttavia, bisogna rilevare come il ricorso, lungi dal proporre un ‘travisamento delle prove’, vale a dire una incompatibilità tra l’apparato motivazionale del provvedimento impugnato ed il contenuto degli atti del procedimento, tale da disarticolare la coerenza logica dell’intera motivazione, sia stato presentato per sostenere, in pratica, una ipotesi di ‘travisamento dei fatti’ oggetto di analisi, sollecitando un’inammissibile rivalutazione dell’intero materiale d’indagine, rispetto al quale è stata proposta dalla difesa una spiegazione alternativa alla semantica privilegiata dalla Corte territoriale nell’ambito di un sistema motivazionale logicamente completo ed esauriente.
Questa Corte, pertanto, non ha ragione di discostarsi dal consolidato principio di diritto secondo il quale mentre è consentito dedurre con il ricorso per cassazione il vizio di ‘travisamento della prova’, che ricorre nel caso in cui il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova obiettivamente ed incontestabilmente diverso da
quello reale, non è affatto permesso dedurre il vizio del ‘travisamento del fatto’, stante la preclusione per il giudice di legittimità a sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito, e considerato che, in tal caso, si domanderebbe alla Cassazione il compimento di una operazione estranea al giudizio di legittimità, qual è quella di reinterpretazione degli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione (così, tra le tante, Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Ferri, Rv. 273217; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, COGNOME, Rv. 253099).
Analogo discorso vale per l’interpretazione delle frasi e del linguaggio usato dai soggetti interessati a quelle conversazioni intercettate, che è questione di fatto, rimessa all’apprezzamento del giudice di merito, che si sottrae al giudizio di legittimità se – come nella fattispecie è accaduto – la valutazione risulta logica in rapporto alle massime di esperienza utilizzate (in questo senso, tra le tante, Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715; Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, COGNOME, Rv. 268389; Sez. 3, n. 35593 del 17/05/2016, Folino, Rv. 267650; Sez. 6, n. 46301 del 30/10/2013, Corso, Rv. 258164; Sez. 2, n. 35181 del 22/05/2013, COGNOME, Rv. 257784; Sez. 6, n. 11794 del 11/02/2013, Melfi, Rv. 254439; Sez. 6, n. 17619 del 08/01/2008, Gionta, Rv. 239724).
Alla luce di tali criteri, va detto come la sentenza impugnata ricostruisca in fatto le vicende oggetto dei capi d’imputazione contestati al COGNOME con motivazione esaustiva, immune da vizi logici e strettamente ancorata alle emergenze processuali: sicché possono ritenersi definitivamente acclarate sia la stabile partecipazione del prevenuto all’associazione dedita al narcotraffico diretta da NOME COGNOME, sia il suo concorso nella commissione degli specifici delitti in materia di armi a lui addebitati.
Va, perciò, ribadito come i rilievi formulati dal ricorrente – peraltro, per l imputazioni sulle armi, in termini generici rispetto agli inequivoci passaggi della motivazione oggetto di critica (v. pagg. 117-141 sent. impugn.) – si muovano nella prospettiva di accreditare una diversa lettura delle risultanze istruttorie e si risolvono, quindi, in non consentite censure in fatto all’iter argonnentativo seguito dalla sentenza di merito, nella quale, peraltro, vi è puntuale risposta a detti rilievi, in tutto sovrapponibili a quelli già sottoposti all’attenzione della Cor territoriale. In particolare, va riaffermato in questa sede che il ricorrente ha ripetutamente sollecitato una rilettura del contenuto delle conversazioni intercettate durante le indagini – divenute pienamente utilizzabili per effetto dell’ammissione al rito speciale – nella sostanza proponendo l’esame diretto di questioni di fatto già valutate congruamente dai giudici di merito, rispetto alle cui conclusioni si è proposta una mera esegesi alternativa.
4.3. Generico è il quarto motivo del ricorso, con il quale la difesa è tornata a sollecitare, in maniera indeterminata, la concessione delle attenuanti generiche e una riduzione della pena. Il ricorrente si è doluto della mancata risposta alle questioni che sul punto erano state poste nell’atto di appello: censure, tuttavia, con le quali non ci si è realmente confrontati con la motivazione della sentenza gravata nella quale la Corte di appello aveva congruamente chiarito come la oggettiva gravità ed elevato allarme dei reati commessi, nonché l’assenza di qualsivoglia elemento atto ad indicare una forma di resipiscenza o di distacco da quelle attività delinquenziali (essendo evidentemente irrilevante il solo fatto di avere scelto di essere giudicato nelle forme del rito abbreviato), ostassero all’accoglimento delle richieste difensive (v. pagg. 142-143 sent. impugn.).
Il ricorso presentato nell’interesse di NOME COGNOME è fondato, per le ragioni e con gli effetti di seguito precisati. —–
5.1. Infondate sono le specifiche doglianze formulate alla clifs con ilTi – C – o -so; .? che non si sia confrontata con il significato che i giudici di merito avevano dato al contenuto delle due conversazioni telefoniche intercorse tra la COGNOME e il marito NOME COGNOME, nel corso delle quali, il secondo – all’epoca di certo coinvolto nella gestione del traffico di sostanze stupefacenti nell’ambito di una organizzazione criminale – con un linguaggio volutamente criptico e allusivo, aveva chiesto alla moglie di consegnare “uno” e “non tutto quanto”, dietro il corrispettivo di “venti euro”. La difesa si è, invero, limitata a prospettare una “non agevole lettura” del testo di quelle conversazioni, impegnandosi a sollecitare una ricostruzione della vicenda in termini di mera “connivenza”, rispetto ad una condotta chiaramente descritta ed accertata in termini di concorso materiale nella commissione del reato oggetto di addebito.
5.2. In presenza di un ricorso non inammissibile, va rilevata d’ufficio la questione della corretta qualificazione giuridica del fatto contestato alla COGNOME, per la quale valgono le considerazioni già innanzi esposte, nell’esame della analoga posizione della coimputata COGNOME, nel punto 1, il cui contenuto deve intendersi qui integralmente trascritto.
Anche nel caso della COGNOME, sulla base degli elementi di fatto accertati dai giudici di merito, risulta palese come il fatto contestato alla prevenuta debba essere qualificato ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, tenuto conto che l’imputata è stata chiamata a rispondere di un unico ed isolato episodio di cessione di un piccolo quantitativo di droga del valore di appena venti euro. Elementi di prova che, in assenza di ulteriori dati da valutare, rendono superfluo lo svolgimento di un giudizio di rinvio ai soli fini della corrett qualificazione giuridica di quel fatto, che può essere disposta da questa Corte.
La sentenza impugnata va, perciò, annullata anche nei confronti della COGNOME, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli per la sola rideterminazione della pena.
Il ricorso presentato nell’interesse di NOME COGNOME va accolto, sia pur nei limiti e con gli effetti di seguito precisati.
6.1. Il secondo motivo del ricorso è inammissibile in quanto proposto, negli specifici termini di violazione dell’art. 81 cod. pen., per la prima volta solo con i ricorso per cassazione.
Lo stesso secondo motivo e il collegato quarto motivo, nella parte in cui è stata prospettata la mancata osservanza dei limiti edittali di pena fissati per i reati contestati, è manifestamente infondato: dalla lettura della motivazione della sentenza impugnata si evince chiaramente come i giudici di merito abbiano indicato in anni sei di reclusione ed euro trentamila di multa la pena base per il reato più grave, indicato per un mero errore materiale come quello del capo 121 anziché del capo 26, reato quest’ultimo che ai sensi dell’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, a differenza di quello di cui all’art. 378 cod. pen. (per il quale è prevista la sola reclusione), ha limiti edittali minimi, della pena detentiva e quella pecuniaria, compatibili con la determinazione finale operata da quei giudici.
6.2. Il terzo motivo del ricorso è privo di pregio.
Costituisce espressione di un consolidato orientamento interpretativo di questa Corte di cassazione il principio secondo il quale la sospensione dei termini di custodia cautelare disposta – come nel caso di specie è accaduto – in pendenza del termine per il deposito della motivazione previsto dall’art. 304, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., ovvero nel caso in cui consegua alla particolare complessità del dibattimento o del giudizio abbreviato ex art. 304, comma 2, cod. proc. pen., determina la sospensione della prescrizione dei reati per i quali in quel giudizio si procede e per tutti gli imputati, prescindendo dallo stato cautelare dei singoli e dal titolo dei reati, stante la natura obiettiva della causa d sospensione e l’impossibilità di operare distinzioni tra le diverse posizioni dell’unico processo, da intendersi globalmente complesso (in questo senso, tra le tante, Sez. 5, n. 14863 del 21/12/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 281138-04; Sez. 6, n. 15477 del 28/02/2014, COGNOME, Rv. 258967).
6.3. Il primo motivo del ricorso è, invece, fondato.
Se risulta indeterminata la doglianza difensiva relativamente alla mancata applicazione dell’art. 95 d.P.R. n. 309 del 1990, va rilevato come la Corte territoriale, facendo impropriamente riferimento a due circostanze inconferenti (quali la rinuncia al ricorso proposto dal coimputato COGNOME e la mancata spiegazione, da parte del COGNOME, del significato delle frasi della conversazione
intercettata), abbia nella sostanza omesso di rispondere alle specifiche questioni di diritto poste con l’atto di appello dalla difesa: che, valorizzando l’impossibilità di determinare la natura “pesante” anziché “leggera” dello stupefacente ceduto e la relativa entità ponderale, aveva chiesto di riqualificare il fatto accertato ai sensi dei commi 4 e 5 dell’art. 73 d.P.R. cit. Temi in ordine ai quali è mancata una adeguata risposta dei giudici di secondo grado.
Nel riconoscimento della fondatezza del primo motivo rimane assorbito l’esame del quarto motivo, nella parte in cui è stata lamentata la mancata osservanza degli artt. 62-bis e 133 cod. pen.
La sentenza impugnata va, dunque, annullata nei confronti di NOME COGNOME limitatamente al reato del capo 26, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli che, nel nuovo giudizio su tale capo, colmerà l’indicata lacuna motivazionale.
Il ricorso presentato nell’interesse di NOME COGNOME è inammissibile perché il motivo del ricorso è diverso da quello formulato con l’atto di appello.
Con l’atto introduttivo del giudizio di secondo grado, infatti, il prevenuto si era doluto solo della eccessività dell’aumento di pena operato dal primo giudice con riferimento al reato ‘satellite’ del capo 144 posto in continuazione: pena che, in accoglimento di quello specifico motivo di appello, con un giudizio discrezionale non censurabile in questa sede, la Corte napoletana ha ritenuto di accogliere, riducendo da tre a due mesi di reclusione l’entità dell’aumento operato ai sensi dell’art. 81 cod. pen.
Segue la condanna dei ricorrenti, il cui atto di impugnazione è stato dichiarato inammissibile, al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si stima equo fissare nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Qualificati i fatti rispettivamente contestati ad COGNOME NOME e COGNOME NOME ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, annulla nei loro confronti la sentenza impugnata. Annulla la medesima sentenza nei confronti di COGNOME NOME limitatamente al capo 26 nonché di COGNOME NOME. Rinvia ad altra sezione della Corte di appello di Napoli per la rideterminazione della pena nei confronti di COGNOME e COGNOME e per nuovo giudizio nei confronti di COGNOME e COGNOME, per quest’ultimo limitatamente al suddetto capo. Rigetta nel resto il ricorso del COGNOME.
Dichiara inammissibili i ricorsi di COGNOME, NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME e li condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 20/02/2024