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Farmaco scaduto: quando è reato somministrarlo?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 22658/2025, ha annullato la condanna inflitta al personale sanitario di una RSA per aver somministrato un farmaco scaduto da poche settimane. I giudici hanno stabilito che il solo superamento della data di scadenza non è sufficiente a qualificare un medicinale come ‘guasto o imperfetto’ ai fini del reato previsto dall’art. 443 c.p. È necessario, invece, un accertamento tecnico che dimostri la concreta perdita di efficacia terapeutica o la pericolosità del prodotto. In assenza di tale prova, il fatto non costituisce reato.

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Pubblicato il 28 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Farmaco scaduto: quando la somministrazione diventa reato?

La somministrazione di un farmaco scaduto in una struttura sanitaria rappresenta una questione delicata, che si colloca al confine tra la responsabilità professionale e quella penale. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 22658/2025) ha fornito chiarimenti fondamentali su quando tale condotta integra il reato di somministrazione di medicinali guasti, stabilendo un principio di notevole importanza pratica: la semplice scadenza non basta a far scattare la condanna.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine da un’ispezione dei NAS in una Residenza Sanitaria Assistenziale (RSA), durante la quale venivano rinvenute due confezioni di un medicinale scaduto il 31 gennaio 2018. Dalle indagini emergeva che, nel periodo tra il 1° e il 21 febbraio 2018, il farmaco era stato somministrato a una paziente della struttura.

Di conseguenza, il responsabile sanitario della RSA veniva accusato del reato di cui all’art. 452 c.p. (delitti colposi contro la salute pubblica) in relazione all’art. 443 c.p., per aver colposamente detenuto il farmaco per la somministrazione. Gli infermieri che avevano materialmente somministrato le dosi venivano invece accusati del reato di cui all’art. 443 c.p. (commercio o somministrazione di medicinali guasti).

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello confermavano la responsabilità penale di tutti gli imputati, basando la loro decisione su una sorta di presunzione assoluta di pericolosità del farmaco scaduto.

L’Art. 443 c.p. e la nozione di farmaco “guasto o imperfetto”

L’articolo 443 del codice penale punisce chi “detiene per il commercio, pone in commercio o somministra medicinali guasti o imperfetti”. Si tratta di un reato di pericolo, posto a tutela della salute pubblica. Il punto centrale della questione giuridica è stabilire cosa si intenda esattamente per medicinale “guasto o imperfetto”.

I giudici di merito avevano ritenuto che il superamento della data di scadenza fosse di per sé sufficiente a far rientrare il medicinale in questa categoria. La difesa degli imputati, invece, ha contestato questa interpretazione, portando la questione all’attenzione della Corte di Cassazione.

La pericolosità di un farmaco scaduto va provata

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, ribaltando le decisioni dei gradi precedenti. Il ragionamento dei giudici di legittimità si fonda su un’attenta analisi della norma e su principi di logica e di comune esperienza.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte ha affermato che la nozione di medicinale “guasto o imperfetto” presuppone un’alterazione concreta delle sue caratteristiche, tale da comportare una diminuzione o la perdita della sua efficacia terapeutica, o addirittura renderlo pericoloso per la salute. Il semplice superamento della data di scadenza, specialmente se di breve periodo, non è automaticamente sinonimo di tale alterazione.

I giudici hanno richiamato una “massima di comune esperienza” secondo cui un medicinale, di norma, conserva la propria efficacia terapeutica per un certo tempo anche dopo la data indicata sulla confezione. Pertanto, per poter affermare la responsabilità penale, non è sufficiente constatare la data di scadenza superata. È indispensabile un accertamento tecnico che verifichi in concreto se il farmaco abbia effettivamente subito un processo di alterazione tale da renderlo “guasto o imperfetto”.

Nel caso di specie, nessun accertamento di questo tipo era stato effettuato. La condanna si basava unicamente sulla presunzione che il farmaco scaduto fosse pericoloso. Venendo a mancare la prova sull’oggetto materiale del reato (cioè l’effettiva “guastatura” o “imperfezione” del medicinale), la Corte ha concluso che il fatto non sussiste, annullando la sentenza di condanna.

Le Conclusioni

Questa sentenza stabilisce un importante principio di garanzia. Per poter condannare un operatore sanitario per la somministrazione di un farmaco scaduto, l’accusa ha l’onere di provare, attraverso una perizia o un altro accertamento tecnico, che quel farmaco specifico era diventato concretamente inefficace o pericoloso. Non è più sufficiente basarsi sulla mera data riportata sulla scatola. Questo approccio valorizza il principio di offensività, secondo cui può essere punito penalmente solo un comportamento che abbia leso o messo in concreto pericolo un bene giuridico tutelato, in questo caso la salute pubblica.

Somministrare un farmaco appena scaduto è automaticamente un reato?
No. Secondo la Corte di Cassazione, il solo superamento della data di scadenza non è sufficiente per integrare il reato di cui all’art. 443 c.p. È necessario che il farmaco sia effettivamente ‘guasto o imperfetto’.

Cosa deve dimostrare l’accusa per ottenere una condanna per somministrazione di farmaci scaduti?
L’accusa deve dimostrare, attraverso un accertamento tecnico, che il farmaco scaduto ha subito un concreto processo di alterazione, perdendo la sua efficacia terapeutica o diventando pericoloso per la salute. Non può basarsi su una presunzione di pericolosità.

Perché la Corte di Cassazione ha annullato la condanna in questo caso?
La condanna è stata annullata perché non era stato compiuto alcun accertamento tecnico per verificare l’effettivo stato del farmaco scaduto. Di conseguenza, mancava la prova che il medicinale fosse ‘guasto o imperfetto’, elemento essenziale per la configurabilità del reato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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