Falso Tesserino: La Prova Esiste Anche Senza Sequestro
L’esibizione di un falso tesserino per attestare una qualifica non posseduta costituisce un reato grave. Ma cosa accade se il documento in questione non viene sequestrato dalle forze dell’ordine? La sua assenza fisica inficia la prova del reato? Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti cruciali su questo punto, confermando che la testimonianza di un agente può essere sufficiente a fondare una condanna. Analizziamo insieme la decisione e le sue implicazioni.
Il Caso: Un Falso Medico e il Tesserino Conteso
Il caso riguarda un individuo condannato nei primi due gradi di giudizio per i reati di cui agli artt. 495, 482 e 477 del codice penale. L’accusa era quella di aver esibito un tesserino falso che lo qualificava come medico, professione che non era autorizzato a esercitare. L’imputato ha deciso di ricorrere in Cassazione, basando la sua difesa su tre motivi principali.
I Motivi del Ricorso in Cassazione
La difesa ha articolato il ricorso lamentando vizi di motivazione su tre aspetti fondamentali della sentenza d’appello.
L’assenza del corpo del reato: il falso tesserino non sequestrato
Il primo motivo si concentrava sull’omessa acquisizione del corpo del reato. Secondo la difesa, la mancata apprensione materiale del falso tesserino avrebbe dovuto impedire una condanna, poiché mancava la prova regina del delitto.
Il diniego delle attenuanti generiche
In secondo luogo, l’imputato contestava la decisione della Corte d’Appello di non concedergli le circostanze attenuanti generiche. La Corte territoriale aveva motivato il diniego sulla base della gravità della condotta e dei precedenti penali specifici dell’imputato.
La mancata concessione della sospensione condizionale della pena
Infine, il terzo motivo riguardava il rifiuto di concedere la sospensione condizionale della pena. Tale diniego era stato giustificato dal fatto che l’imputato aveva già usufruito in passato di tale beneficio per una precedente condanna.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo tutti i motivi sollevati con argomentazioni precise.
In merito al primo punto, i giudici hanno ribadito un principio consolidato: la prova dell’esibizione di un falso tesserino non richiede obbligatoriamente il suo sequestro. La condotta può essere provata attraverso altre fonti, come la deposizione di un testimone qualificato. Nel caso di specie, la testimonianza dell’agente di polizia giudiziaria, che aveva visto il documento e ne aveva riportato il contenuto nel verbale di perquisizione, è stata ritenuta una prova pienamente valida e sufficiente. La doglianza dell’imputato, secondo la Corte, non rappresentava un travisamento della prova, ma un tentativo inammissibile di ottenere una nuova valutazione del merito in sede di legittimità.
Sul diniego delle attenuanti generiche, la Suprema Corte ha giudicato la decisione d’appello logica e ben motivata. La discrezionalità del giudice di merito permette di valorizzare gli elementi ritenuti più rilevanti ai sensi dell’art. 133 c.p., come i precedenti penali e la gravità della condotta, per escludere il beneficio. La presunta condotta collaborativa dell’imputato è stata ritenuta insussistente.
Infine, anche la negazione della sospensione condizionale è stata confermata. La Corte ha sottolineato che la precedente fruizione del beneficio per una pena detentiva e la presenza di altri precedenti penali giustificavano una prognosi negativa sulla futura astensione dal commettere reati, rendendo corretta la decisione di non concedere nuovamente la sospensione.
Le Conclusioni
Questa ordinanza della Cassazione offre importanti spunti di riflessione. In primo luogo, rafforza il valore probatorio della testimonianza della polizia giudiziaria, stabilendo che, in casi come quello dell’esibizione di un falso tesserino, essa può supplire al mancato sequestro del corpo del reato. In secondo luogo, ribadisce l’ampia discrezionalità del giudice di merito nel valutare la concessione di benefici come le attenuanti generiche e la sospensione condizionale della pena, specialmente in presenza di precedenti penali specifici che delineano una prognosi sfavorevole per il reo. La decisione, pertanto, conferma un approccio rigoroso che privilegia la sostanza della prova rispetto a formalismi procedurali non essenziali.
È sempre necessario sequestrare il documento falso (corpo del reato) per provare il reato di esibizione di un falso tesserino?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che la prova può basarsi validamente sulla deposizione di un testimone di polizia giudiziaria che ha visionato il documento e ne ha descritto il contenuto in un verbale, anche se il documento stesso non è stato sequestrato.
Avere precedenti penali specifici impedisce sempre di ottenere le circostanze attenuanti generiche?
Non automaticamente, ma è un fattore che il giudice valuta con grande peso. In questo caso, i precedenti penali specifici, uniti alla natura della condotta, sono stati considerati elementi ostativi sufficienti a negare il beneficio, rientrando nella discrezionalità del giudice.
Aver già usufruito della sospensione condizionale della pena preclude la possibilità di ottenerla di nuovo?
Generalmente sì, soprattutto se il beneficio è stato concesso per una precedente pena detentiva. La Corte ha ritenuto che l’aver già beneficiato in passato, insieme ad altri precedenti, giustifichi una prognosi infausta sulla futura condotta dell’imputato, portando a escludere nuovamente il beneficio.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 29025 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 29025 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 02/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a SARNO il 31/05/1957
avverso la sentenza del 10/01/2025 della CORTE D’APPELLO DI ROMA
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che NOME COGNOME ricorre avverso la sentenza della Corte di Appello di Roma, che ha riformato quanto alla pena quella del giudice di prime cure, con la quale l’imputato era stato ritenuto responsabile dei delitti di cui agli artt. 495 e 482477 cod. pen., relativamente alla esibizione di un tesserino falso attestante la qualità di medico posseduta dall’imputato;
letta la memoria depositata dal difensore il 16 giugno 2025;
Considerato che il primo motivo di ricorso – che lamenta vizio di motivazione in relazione al delitto di cui all’art. 495 cod. pen. per omessa acquisizione del corpo del reato – è generico e reiterativo. Già la Corte di appello ha chiarito – in modo non manifestamente illogico – che la prova della esibizione del falso tesserino non richiede necessariamente il sequestro dello stesso, in quanto la condotta è fondata sulla deposizione del teste di polizia giudiziaria, al quale fu mostrato il documento falso, che pur se non fu sequestrato, fu riportato quanto a contenuto nel verbale di perquisizione nel corso della quale avvenne l’esibizione. Pertanto, non si verte in tema di travisamento della prova – nessuno ha mai affermato che il documento era stato sequestrato – bensì la doglianza si sostanzia in una richiesta di rivalutazione del
materiale probatorio – non consentita in questa sede – a fronte di argomentazioni non manifestamente illogiche quanto al risultato probatorio complessivo;
Rilevato, quanto al secondo motivo – con il quale si lamenta il diniego delle circostanze attenuanti generiche – che lo stesso è manifestamente infondato, in quanto vengono considerati fattori ostativi alla attenuazione la condotta in sé, relativa alla esibizione del falso tesserino a fronte della indagine relativa al delitto di abusivo esercizio della professione, come anche i precedenti penali specifici dell’imputato; diversamente la Corte territoriale esclude che possano costituire fattori ‘positivi’ quelli relativi alla condotta collaborativa dell’imputato che viene giudicata insussistente: tale valutazione risulta non viziata da manifesta illogicità, ma anzi in linea con il consolidato principio per cui rientra nell’ambito di un giudizio di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice, il cui esercizio deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa l’adeguamento della pena alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo, anche quindi limitandosi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 c.p., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio (Sez. 6 n. 41365 del 28 ottobre 2010, Straface, rv 248737; Sez. 2, n. 3609 del 18 gennaio 2011, COGNOME e altri, Rv. 249163);
considerato, quanto al terzo motivo – con il quale si lamenta il diniego della sospensione condizionale della pena – che lo stesso è manifestamente infondato in quanto la Corte di appello nega il beneficio, in quanto l’imputato ne ha già usufruito per una precedente condanna a pena detentiva, come anche perché è intervenuta fra fra la presente e la precedente condanna una sentenza di assoluzione ai sensi dell’art. 131 bis cod. pen. per il delitto previsto dall’art. 348 cod. pen.: si tratta di ragioni ch conducono, senza aporie motivazionali, ad escludere il beneficio della sospensione condizionale perché viene ritenuta infausta la prognosi di astensione da ulteriori delitti, in linea con il principio consolidato per il quale in tema di sospensione condizionale della pena, il giudice di merito, nel valutare la concedibilità del beneficio, non ha l’obbligo di prendere in esame tutti gli elementi richiamati nell’art. 133 cod. pen., potendo limitarsi ad indicare quelli da lui ritenuti prevalenti in senso ostativo alla sospensione, ivi compresi i precedenti giudiziari (Sez. 5, n. 17953 del 07/02/2020, Filipache, Rv. 279206 – 02; conf.: N. 30562 del 2014 Rv. 260136 – 01, N. 48013 del 2018 Rv. 273995 – 01, N. 57704 del 2017 Rv. 272087 – 01, N. 19298 del 2015 Rv. 263534 – 01, N. 35852 del 2016 Rv. 267639 – 01);
Ritenuto, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma, di tremila euro in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso il 2 luglio 2025
Il consicìliere estensore
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Il Presidente