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Falso per induzione: quando una sentenza è falsa?

La Corte di Cassazione ha assolto un imprenditore dall’accusa di falso per induzione, per aver presumibilmente ingannato il Consiglio di Stato con un certificato antedatato. La Corte ha chiarito che il reato si configura solo quando l’inganno costituisce una premessa inevitabile per la decisione del giudice, escludendo i casi in cui il documento ingannevole è semplicemente uno degli elementi probatori soggetti alla libera valutazione del magistrato. In questo caso, l’eventuale errore del giudice amministrativo è stato considerato un errore di valutazione e non una conseguenza diretta e necessaria dell’inganno.

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Pubblicato il 2 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Falso per induzione: quando l’errore del giudice non è reato?

Una recente sentenza della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale: i confini del reato di falso per induzione quando l’atto falsificato è una decisione giudiziaria. Il caso riguarda un imprenditore accusato di aver ingannato il Consiglio di Stato presentando un documento con una data formalmente corretta ma ottenuta grazie a una prassi amministrativa che ha reso la data stessa fuorviante. La Corte ha stabilito che non si configura il reato se il giudice aveva a disposizione tutti gli elementi per valutare autonomamente la veridicità dei fatti, e il suo errore è frutto di una valutazione discrezionale e non di un inganno insuperabile.

I Fatti di Causa

La vicenda ha origine da un bando di gara indetto da un Ministero per l’assegnazione di diritti d’uso per trasmissioni radiotelevisive. Una società veniva esclusa per non aver ottenuto un punteggio relativo al patrimonio netto, a causa della mancata attestazione di una separazione contabile nel bilancio depositato prima del bando.

Nel successivo giudizio amministrativo, l’amministratore della società presentava un’attestazione della Camera di Commercio indicante come data di deposito di un verbale assembleare (che sanava la mancanza) il 4 settembre 2012, giorno antecedente alla pubblicazione del bando. Tuttavia, emergeva che il verbale era stato materialmente inserito nella pratica solo il 6 settembre, a bando già pubblicato. La data del 4 settembre era stata attribuita in base alla prassi della Camera di Commercio di retrodatare tutti i documenti alla data di apertura della pratica.

Sulla base di questo documento, il Consiglio di Stato accoglieva l’appello della società, ritenendo tempestivo il deposito. Di qui l’accusa di falso ideologico per induzione nei confronti dell’amministratore.

L’iter Giudiziario e l’assoluzione in Appello

Il Tribunale di primo grado condannava l’imprenditore, ritenendo provato l’inganno. La Corte d’Appello, tuttavia, ribaltava la decisione, assolvendolo per insussistenza del fatto. Secondo i giudici di secondo grado, la condotta non era idonea a indurre in errore il Consiglio di Stato, il quale, avendo a disposizione tutti gli atti del processo, avrebbe potuto accorgersi della discrepanza e valutare autonomamente la situazione, senza che la controparte sollevasse specifiche eccezioni.

La parte civile, una società concorrente danneggiata dalla decisione del Consiglio di Stato, proponeva quindi ricorso per cassazione.

Il Falso per Induzione in Atti Giudiziari: I Principi della Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, cogliendo l’occasione per delineare con precisione i confini del falso per induzione in relazione a provvedimenti giudiziari. I giudici supremi hanno spiegato che una decisione giudiziaria può essere considerata ideologicamente falsa solo a condizioni molto specifiche.

Il principio cardine è che l’attività ingannatoria della parte deve porsi come premessa ineludibile della decisione. In altre parole, l’inganno deve escludere ex lege qualsiasi valutazione discrezionale da parte del giudice. Esempi tipici sono la produzione di una procura alle liti falsa (che incide sulla legittimazione processuale) o la prestazione di un falso giuramento decisorio, che per legge definisce la controversia su quel punto.

La distinzione tra errore valutativo ed errore indotto

Al contrario, quando la parte produce un documento o fornisce una dichiarazione che rientra nel materiale probatorio che il giudice deve liberamente valutare, un’eventuale decisione errata non integra il reato di falso per induzione. In questo scenario, l’errore del giudice è un errore nella valutazione delle prove, un atto che rientra nel suo potere discrezionale, e non una conseguenza diretta e inevitabile dell’inganno.

Le motivazioni

Nel caso specifico, la Cassazione ha ritenuto che l’attestazione della Camera di Commercio non fosse un atto falso in sé, in quanto la data riportata corrispondeva a quella formalmente assegnata dall’ente secondo le proprie prassi. La condotta dell’imputato, pur potenzialmente volta a far prevalere la propria tesi, non ha superato la soglia del penalmente rilevante. Il Consiglio di Stato, infatti, aveva accesso a tutta la documentazione del giudizio di primo grado e avrebbe potuto autonomamente ricostruire la sequenza temporale dei depositi.

La produzione di quel documento, quindi, non ha vincolato la decisione del giudice amministrativo, ma si è inserita nel complesso degli elementi probatori da valutare. La decisione favorevole alla società è stata, al più, frutto di un errore di valutazione da parte del collegio giudicante, non di un’induzione in errore penalmente rilevante. La Cassazione ha sottolineato che la condotta ingannatoria, per essere penalmente rilevante, deve essere correlata in via immediata e diretta a un errore dell’autorità giudiziaria, cosa che qui non è avvenuta.

Infine, la Corte ha respinto anche il motivo relativo alla condanna al risarcimento dei danni, ricordando che, in caso di pronuncia assolutoria nel merito, il giudice penale non può condannare l’imputato a risarcire la parte civile, potere che è previsto solo in caso di estinzione del reato per prescrizione dopo una condanna in primo grado.

Le conclusioni

Questa sentenza offre un importante chiarimento sui limiti del reato di falso per induzione nel contesto processuale. Non ogni comportamento astuto o la presentazione di documenti ambigui integra automaticamente il reato. Affinché si configuri la responsabilità penale, è necessario che l’inganno privi il giudice del suo potere valutativo, costringendolo a una decisione che altrimenti non avrebbe potuto prendere. Quando invece l’inganno riguarda elementi di prova soggetti al libero apprezzamento del magistrato, l’eventuale errore nella decisione resta confinato nell’ambito della valutazione giudiziaria, senza assumere rilevanza penale per la parte che ha presentato il documento.

Quando una decisione di un giudice può essere considerata ideologicamente falsa per induzione da parte di un terzo?
Una decisione giudiziaria può essere considerata ideologicamente falsa per induzione solo se l’attività ingannatoria commessa dalla parte si pone come una premessa ineludibile e non discrezionale per la decisione, escludendo per legge qualsiasi valutazione successiva da parte dell’autorità giudiziaria.

La presentazione di un documento con una data formalmente corretta ma sostanzialmente ingannevole integra sempre il reato di falso per induzione?
No, non sempre. Se il documento, pur potenzialmente ingannevole, rientra nel complesso del materiale probatorio che il giudice ha il potere-dovere di valutare liberamente, un’eventuale decisione errata è considerata un errore di valutazione e non una conseguenza diretta del reato. Il reato non si configura se il giudice aveva gli strumenti per accertare la verità in autonomia.

In caso di assoluzione dell’imputato in appello, il giudice penale può comunque condannarlo al risarcimento del danno in favore della parte civile?
No. A fronte di una pronuncia assolutoria nel merito, come l’insussistenza del fatto, il giudice penale non può condannare l’imputato al risarcimento del danno. Questo potere è previsto in via eccezionale solo quando, dopo una condanna in primo grado, interviene una declaratoria di estinzione del reato (es. per prescrizione).

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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