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Falso per induzione: condanna per frode assicurativa

La Corte di Cassazione si è pronunciata su un complesso caso di frode assicurativa basata su falsi incidenti stradali. La sentenza chiarisce i contorni del reato di falso per induzione, commesso quando un cittadino inganna un medico del pronto soccorso, inducendolo a redigere un certificato con attestazioni non veritiere. La Corte ha confermato la maggior parte delle condanne, ritenendo i certificati medici atti pubblici fidefacenti e rigettando le eccezioni procedurali. Ha tuttavia annullato la condanna di due imputati per carenza di prova, poiché la loro colpevolezza era basata unicamente su una firma non verificata peritalmente.

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Pubblicato il 30 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Falso per Induzione: la Cassazione sui Certificati Medici per Frodi Assicurative

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 4827 del 2024, offre un’importante analisi sul tema del falso per induzione legato alle frodi assicurative. Il caso riguarda una complessa vicenda di finti incidenti stradali, in cui diversi soggetti hanno ottenuto risarcimenti indebiti inducendo in errore i medici del pronto soccorso. Questa pronuncia chiarisce la responsabilità penale di chi rende false dichiarazioni e la natura giuridica dei certificati medici ospedalieri.

I Fatti della Vicenda

L’indagine iniziale aveva portato alla luce un’organizzazione dedita alla simulazione di incidenti stradali per ottenere risarcimenti dalle compagnie assicurative. Il meccanismo fraudolento si basava sulla creazione di certificazioni mediche che attestavano lesioni e traumi in realtà inesistenti. Inizialmente accusati di associazione per delinquere, molti imputati sono stati successivamente giudicati per i singoli reati-fine.

La Corte d’Appello aveva confermato la responsabilità di diversi imputati, operando però una fondamentale riqualificazione giuridica del reato: non più concorso in falso ideologico commesso dal medico, ma falso per induzione. I giudici hanno ritenuto che i medici del pronto soccorso non fossero complici, ma vittime di un inganno, indotti a certificare patologie sulla base delle false dichiarazioni rese dai pazienti.

La Riqualificazione del Reato in Falso per Induzione

Uno dei punti centrali della difesa degli imputati in Cassazione riguardava proprio la legittimità di questa riqualificazione. Secondo i ricorrenti, il passaggio da un’accusa di concorso (art. 110 c.p.) a una di autoria mediata tramite inganno (art. 48 c.p.) avrebbe violato il principio di correlazione tra accusa e sentenza, ledendo il loro diritto di difesa.

La Corte di Cassazione ha respinto con forza questa tesi. Ha ribadito un orientamento consolidato secondo cui la contestazione di un reato a titolo di concorso personale è pienamente compatibile con una successiva condanna per falso per induzione. La condotta dell’autore mediato, che si serve di un altro soggetto come strumento inconsapevole, rappresenta infatti una forma di partecipazione criminale che non altera gli elementi essenziali del fatto contestato. L’imputato, quindi, ha avuto piena possibilità di difendersi dall’accusa di aver contribuito a creare un documento falso.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato inammissibili quasi tutti i ricorsi, confermando le condanne. Solo la posizione di due imputati è stata rivalutata. La loro condanna si basava esclusivamente sull’apparente autenticità delle loro firme apposte sui referti medici del pronto soccorso. Tuttavia, entrambi avevano negato di essersi mai recati in ospedale, disconoscendo di fatto quelle firme. Per la Corte, in assenza di una perizia calligrafica e a fronte di una versione alternativa plausibile (l’uso illecito dei loro dati da parte degli organizzatori della truffa), la mera apparenza non era sufficiente a superare il ragionevole dubbio.

Per questi due soggetti, la Corte ha annullato la sentenza senza rinvio per gli effetti penali, essendo il reato ormai prescritto, ma ha disposto il rinvio al giudice civile per la valutazione delle eventuali pretese risarcitorie della parte civile (la compagnia assicurativa).

Le Motivazioni della Corte

Le motivazioni della Corte si sono concentrate su due aspetti cruciali.

In primo luogo, la natura del certificato medico del pronto soccorso. I giudici hanno confermato che tale documento è un atto pubblico fidefacente. La sua efficacia probatoria non si limita all’attestazione di fatti avvenuti in presenza del medico, ma si estende alla diagnosi, in quanto preordinata a certificare una situazione rilevante giuridicamente anche all’esterno della mera cura (ad esempio, per richieste risarcitorie o a enti previdenziali). Questo giustifica l’applicazione della circostanza aggravante prevista dall’art. 476, comma 2, del codice penale, che a sua volta incide sui termini di prescrizione del reato.

In secondo luogo, la Corte ha distinto tra valutazione della prova e travisamento. Ha chiarito che il ricorso in Cassazione non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio sul merito dei fatti. Le censure relative a una presunta erronea valutazione delle prove sono state dichiarate inammissibili perché non evidenziavano un errore macroscopico e decisivo (travisamento), ma si limitavano a proporre una lettura alternativa delle risultanze processuali, operazione preclusa in sede di legittimità. L’unica eccezione, come visto, ha riguardato il caso in cui la motivazione della condanna si fondava su un elemento (la firma) palesemente insufficiente e non adeguatamente verificato.

Conclusioni

La sentenza consolida importanti principi in materia di reati contro la fede pubblica. Ribadisce che chiunque inganni un medico del pronto soccorso per ottenere un certificato non veritiero risponde di falso per induzione in atto pubblico, un reato grave. Inoltre, sottolinea il valore di atto fidefacente dei referti ospedalieri, con conseguenze dirette sulla gravità del reato e sui tempi necessari alla sua estinzione. Infine, traccia un confine netto tra il legittimo controllo di legittimità sulla motivazione e l’inammissibile tentativo di ottenere in Cassazione una nuova valutazione dei fatti, salvo i casi di manifesta illogicità o di carenza probatoria evidente, come l’assenza di una verifica peritale su una firma disconosciuta.

Quando una falsa dichiarazione a un medico di pronto soccorso integra il reato di falso per induzione?
Sempre, quando la falsa dichiarazione resa dal paziente circa l’esistenza di sintomi patologici o la loro origine causale inganna il medico inducendolo a redigere un certificato o un referto che attesta una realtà clinica non vera. In tal caso, il paziente risponde come autore mediato del reato di falso ideologico in atto pubblico.

Un certificato medico del pronto soccorso è considerato un atto pubblico fidefacente?
Sì. La Corte di Cassazione conferma che il referto del pronto soccorso è un atto pubblico fidefacente. La sua funzione non è solo terapeutica, ma anche certificativa di una situazione con rilevanza giuridica esterna (es. per richieste di risarcimento). Pertanto, la diagnosi in esso contenuta ha natura di fede privilegiata, integrando la circostanza aggravante prevista per i falsi in questo tipo di atti.

La condanna può basarsi solo sull’apparente autenticità di una firma se l’imputato nega di averla apposta?
No. La Corte ha stabilito che, a fronte del disconoscimento da parte dell’imputato e in assenza di una perizia calligrafica o di altri elementi di prova robusti, la mera apparenza di autenticità della firma non è sufficiente a fondare una condanna penale, poiché non permette di superare il ragionevole dubbio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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