Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 34159 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3   Num. 34159  Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 10/09/2025
In nome del Popolo RAGIONE_SOCIALE
TERZA SEZIONE PENALE
-Relatore –
Composta da
NOME COGNOME ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul  ricorso di COGNOME NOME, nato a Strongoli il DATA_NASCITA, visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza in data 13 gennaio 2025 la Corte di appello di Caltanissetta, decidendo in seguito alla sentenza di annullamento n. 39606 del 17 settembre 2024 della Quarta Sezione della Corte di cassazione, in riforma della sentenza in data 10 maggio 2023 del Tribunale di Caltanissetta, ha ridotto la pena irrogata a NOME COGNOME a mesi otto di reclusione ed euro 200 di multa per il reato dell’art. 95 d.P.R. n. 115 del 2002, perchØ aveva reso dichiarazioni false e incomplete al momento della presentazione dell’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, omettendo di dichiarare la proprietà di due unità immobiliari e di cinque terreni nonchØ la proprietà di un nono di due unità immobiliari da parte della coniuge e la somma di euro 3.787,50 percepita dal figlio convivente a titolo di reddito di lavoro autonomo.
Il ricorrente eccepisce la violazione di legge e il vizio di motivazione  sull’elemento soggettivo, permanendo le criticità già evidenziate dalla Corte di cassazione nella sentenza di annullamento, (primo motivo) e sull’omesso proscioglimento per la particolare tenuità del fatto (secondo motivo).
Sent. n.  sez. 1272
PU -10/09/2025
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Pacifico il fatto: nella domanda di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, il ricorrente ha omesso di indicare le proprietà sue e della moglie nonchØ il reddito percepito dal figlio convivente, senza però conseguire il beneficio dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato (aggravante originariamente contestata e poi esclusa nel corso del giudizio).
Le Sezioni Unite Infanti (Sez. U, n. 6591 del 27/11/2008, dep. 2009, Rv. 242152 01), interessate dal contrasto giurisprudenziale del se, ai fini dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, integrasse il reato dell’art. 95 la falsità nelle dichiarazioni o nelle comunicazioni per l’attestazione delle condizioni di reddito anche quando la falsità non avesse rilievo ai fini dell’ammissione al beneficio, hanno affermato che la norma penale Ł stata introdotta «in funzione della necessità della compiuta ed affidabile informazione del destinatario che, a fronte della complessità del tenore dell’istanza cui Ł speculare la valutazione da svolgere, ha urgenza di decidere»; che si tratta di un reato di pura condotta, commissivo od omissivo, correlato, da un lato, al generale “principio antielusivo” con riferimento agli art. 3 e 53 Cost. e, dall’altro, all’art. 24, terzo comma, Cost., e si giustifica già sulla base del dovere di lealtà del singolo verso le istituzioni, a prescindere dal pericolo di un profitto ingiusto; che si tratta altresì di un reato di pericolo che si consuma indipendentemente dalla effettiva sussistenza delle condizioni previste per l’ammissione al beneficio.
La successiva sentenza COGNOME (Sez. 4, n. 40943 del 18/09/2015, COGNOME, Rv. 264711 – 01), nel ribadire l’impossibilità di configurare il falso inutile, in un passaggio motivazionale, ha sostenuto che il dolo, inteso come la volontà cosciente e non coartata di compiere il fatto nella consapevolezza di agire contro il dovere giuridico di dichiarare il vero,
non poteva essere escluso una volta che era stato escluso l’errore sulla norma extra-penale (cfr. par. 3 della motivazione).
In altre sentenze, la Corte, invece, ha avuto modo di approfondire il tema del dolo, in conseguenza del ridimensionamento, se non addirittura dell’esaurimento, del dibattito sul falso inutile. E ha mutuato per il reato dell’art. 95 d.P.R. 115 del 2002 la stessa conclusione assunta per il dolo nei reati di falso. In particolare, nella sentenza Sez. 4, n. 21577 del 21/04/2016, COGNOME, Rv. 267307 – 01, ha censurato la decisione di condanna che aveva ravvisato il dolo, nonostante il reddito dichiarato non fosse ostativo all’ammissione al patrocinio a spese dello Stato e che all’imputato stesso fosse stato rilasciato un certificato ISEE errato; nella sentenza Sez. 4, n. 45786 del 04/05/2017, COGNOME, Rv. 271051 – 01, ha annullato la decisione di condanna perchØ non era possibile desumere il dolo dalla sola dichiarazione falsa, a dispetto della sussistenza del requisito di ammissione sulla base del reddito effettivo; nella sentenza Sez. 4, n. 7192 del 11/01/2018, COGNOME, Rv. 272192 – 01, richiamata la giurisprudenza sul falso (in particolare, Sez. 3, n. 30862 del 14/05/2015, COGNOME, Rv. 264328-01 relativa alla documentazione prodotta per il permesso a costruire, e Sez. 5, n. 29764 del 03/06/2010, COGNOME, Rv. 248264-01 relativa a un falso in atto pubblico) e richiamata la giurisprudenza sull’errore (in particolare, Sez. 4, n. 14011 del 12/02/2015, COGNOME, Rv. 263013-01, proprio in tema di falso nella dichiarazione concernente istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato), ha ribadito il principio generale secondo cui il dolo generico, inteso come mera consapevolezza e volontà della falsità, senza che assuma rilievo la finalità di conseguire un beneficio che non compete, dev’essere rigorosamente provato, non potendo considerarsi sufficiente il riferimento alla condotta in sØ, e anzi, essendo ammesso anche il dolo eventuale: occorre dunque sempre la rigorosa dimostrazione che l’agente si sia confrontato con la specifica categoria di evento (che in casi come quello in esame assume la connotazione di evento in senso giuridico) che si Ł verificata nella fattispecie concreta, aderendo psicologicamente ad essa, ciò che richiede la verifica, a esempio, del fine della condotta e della sua compatibilità con le conseguenze collaterali secondo i criteri della sentenza a Sezioni Unite COGNOME (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, COGNOME, Rv. 261105-01); in senso analogo, vanno le sentenze Sez. 4, n. 4623 del 15/12/2017, COGNOME, Rv. 271949, che ha annullato la sentenza di condanna perchØ la Corte di Appello si era limitata a constatare l’esistenza oggettiva della falsità, attribuendo rilievo al mancato superamento della soglia di legge ai fini dell’attenuazione del trattamento sanzionatorio; Sez. 4, n. 35969 del 29/05/2019, COGNOME, Rv. 276862-01, che ha confermato la sentenza di condanna perchØ ha ritenuto sufficientemente motivato il dolo, siccome il reddito effettivamente percepito era superiore alla soglia di legge; Sez. 4, n. 37144 del 05/06/2019, COGNOME, Rv. 277129-01, che ha annullato la sentenza di condanna per il mancato approfondimento relativo alla deduzione dell’imputato di essersi affidato al difensore, cui aveva consegnato tutta la documentazione relativa al reddito, ivi compresa quella relativa ai dati omessi ai fini della redazione dell’istanza di ammissione; Sez. 4, n. 8302 del 23/11/2021, dep. 2022, Colombo, Rv. 282716 – 01, che ha confermato la sentenza condanna perchØ ha ritenuto congruamente motivato il dolo con riferimento alla consapevolezza da parte dell’imputato delle omissioni e falsità dichiarative come confermato dalla moglie.
Le Sezioni Unite sono ritornate incidentalmente sul dolo del reato dell’art. 95 d.P.R. n. 115 del 2002, in altre due occasioni.
Con la sentenza n. 14723 del 19/12/2019, dep. 2020, Pacino, Rv. 278871 – 01, hanno richiamato la giurisprudenza sul dolo  (cfr. par. 7), allorchØ hanno chiarito che la
falsità o l’incompletezza della dichiarazione sostitutiva di certificazione prevista dall’art. 79, comma 1, lett. c) d.P.R. n. 115 del 2002, non comporta, qualora i redditi effettivi non superino il limite di legge, la revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, che può essere disposta solo nelle ipotesi espressamente disciplinate dagli artt. 95 e 112 d.P.R. n. 115 del 2002.
Con la sentenza n. 49686 del 13/07/2023, Giudice, Rv. 285435-01, nell’affrontare il diverso tema dell’offensività del reato dell’art. 7 d.l. 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, in legge 28 marzo 2019, n. 26 ai fini dell’esclusione del reato relativo all’indebita percezione del reddito di cittadinanza, hanno osservato, per quanto qui di interesse, che, sul piano strutturale, il reato di cui all’art. 95 d.P.R. n. 115 del 2002 richiede il dolo generico, l’ottenimento del beneficio essendo stato costruito come aggravante, a differenza di quello di cui all’art. 7 d.l. n. 4 del 2019, che richiede il dolo specifico dell’ottenimento indebito del reddito di cittadinanza, non mancando di richiamare l’orientamento formatosi nelle sentenze delle Sezioni semplici COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME, secondo cui il dolo generico deve essere sempre e comunque provato.
Nel caso in esame, la Corte di appello ha menzionato, ma non ha correttamente applicato, la massima della sentenza COGNOME, secondo cui in tema di patrocinio a spese dello Stato, l’effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per l’ammissione al beneficio, seppure non impedisca l’integrazione dell’elemento oggettivo del delitto di cui all’art. 95 d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, può, tuttavia, assumere rilievo con riguardo all’elemento soggettivo dell’illecito, quale sintomo di una condotta dovuta a un difetto di controllo e, quindi, colposa, salva emersione di un dolo eventuale, che deve essere compiutamente dimostrato (Sez. 4, n. 4623 del 15/12/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 271949-01). In realtà, tale precedente, era stato citato già dalla sentenza rescindente, unitamente ad altri due precedenti della stessa Sezione, n. 37144 del 05/06/2019, COGNOME, Rv. 277129-01 e n. 7192 del 11/01/2018, COGNOME, Rv. 272192-01, per ribadire l’orientamento giurisprudenziale di legittimità che, come visto, si Ł consolidato, secondo cui il giudice di merito deve sempre procedere alla rigorosa verifica dell’elemento soggettivo del dolo che non può essere ritenuto in re ipsa ovvero risolversi nella constatazione dell’esistenza oggettiva della falsità. La Corte di appello, invece, ha giustificato il dolo sulla base del solo errore del ricorrente nell’indicazione delle proprietà e nella dichiarazione dello stato di disoccupazione del figlio, ciò che «rimanda alla consapevolezza dell’omissione confermando la volontà dell’imputato di rappresentare una realtà diversa da quella effettiva». Sul punto, non può non ulteriormente considerarsi che l’accertamento del dolo dev’essere ancor piø rigoroso allorquando il reddito effettivamente percepito consenta comunque il godimento del beneficio. Trattandosi di un fatto psichico, il dolo va accertato facendo ricorso soprattutto alle massime di esperienza, che fungono da collante tra l’elemento psicologico del soggetto e l’ id quod plerumque accidit , assumendo rilievo, in tale ottica, il principio di offensività. Il dolo, in generale nei delitti di falso e in particolare nel delitto dell’art. 95 d.P.R. n. 115 del 2002, deve possedere in sØ la previsione e la volontà della messa concretamente in pericolo del bene giuridico protetto, e cioŁ della genuinità e veridicità della dichiarazione ex art. 79 d.P.R. n. 115 del 2002. L’agente, in altri termini, deve volere e rappresentarsi la frode dei consociati e la fede pubblica, mettendo concretamente in pericolo la veridicità del documento che contiene l’istanza di ammissione al beneficio. Tale tipo di accertamento, sebbene specificamente richiesto dal Giudice rescindente, manca nella sentenza impugnata che, pertanto, deve essere annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Caltanissetta
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Caltanissetta
Così deciso, il 10 settembre 2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME