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Falso patrocinio a spese dello Stato: il dolo va provato

La Corte di Cassazione annulla una condanna per il reato di falso patrocinio a spese dello Stato, ribadendo un principio fondamentale: l’intento colpevole (dolo) non può essere presunto dalla semplice omissione o falsità nella dichiarazione. I giudici di merito devono condurre una rigorosa indagine sull’elemento psicologico dell’imputato, dimostrando che egli avesse la consapevolezza e la volontà di presentare una dichiarazione non veritiera, a prescindere dal fatto che l’omissione avrebbe o meno influito sull’ottenimento del beneficio.

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Pubblicato il 29 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Falso Patrocinio a Spese dello Stato: Il Dolo non è Mai Scontato

Compilare la domanda per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato richiede attenzione, ma un’omissione non sempre equivale a una condanna penale. Con la sentenza n. 34159/2025, la Corte di Cassazione torna sul tema del falso patrocinio a spese dello Stato, ribadendo un principio cruciale: la colpevolezza non può derivare automaticamente dalla constatazione di una dichiarazione incompleta. È necessario un accertamento rigoroso dell’elemento psicologico, ovvero del dolo.

I Fatti del Caso

Un cittadino veniva condannato per il reato previsto dall’art. 95 del d.P.R. 115/2002 per aver presentato una domanda di ammissione al patrocinio a spese dello Stato con dichiarazioni false e incomplete. Nello specifico, aveva omesso di indicare la proprietà di diverse unità immobiliari e terreni, una quota di proprietà immobiliare della moglie e un reddito da lavoro autonomo percepito dal figlio convivente. La Corte di Appello, pur riducendo la pena, aveva confermato la responsabilità penale dell’imputato.
L’imputato ha proposto ricorso in Cassazione, lamentando che i giudici di merito non avessero adeguatamente motivato la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, cioè l’intenzione di commettere l’illecito, e che avessero errato nel non concedere l’assoluzione per la particolare tenuità del fatto.

La Decisione della Corte di Cassazione e il Falso Patrocinio a Spese dello Stato

La Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, annullando la sentenza impugnata con rinvio ad un’altra sezione della Corte di Appello per un nuovo giudizio. Il cuore della decisione risiede nella critica mossa ai giudici di merito per aver dato per scontato l’elemento psicologico del reato.
La Suprema Corte ha sottolineato che, secondo un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, il dolo nel reato di falso patrocinio a spese dello Stato deve essere sempre e comunque provato in modo rigoroso. Non è sufficiente constatare l’esistenza oggettiva della falsità nella dichiarazione per affermare la responsabilità penale.

Le Motivazioni

La Corte ha spiegato che il reato in questione richiede un ‘dolo generico’, ossia la mera consapevolezza e volontà di presentare una dichiarazione non veritiera. Tuttavia, questa volontà non può essere presunta (‘in re ipsa’) dalla semplice omissione. Il giudice deve indagare il ‘fatto psichico’ dell’agente, verificando se si sia effettivamente confrontato con la possibilità di dichiarare il falso e abbia accettato tale eventualità.
Nel caso specifico, la Corte di Appello aveva giustificato il dolo basandosi unicamente sull’errore del ricorrente nell’indicare le proprietà e lo stato di disoccupazione del figlio. Secondo la Cassazione, questo ragionamento è fallace perché si limita a constatare l’errore senza approfondire la reale intenzione dell’imputato. L’accertamento del dolo deve essere ancora più scrupoloso quando, come in questo caso, i redditi e i beni non dichiarati non avrebbero comunque superato la soglia di legge per l’accesso al beneficio. Trattandosi di un fatto psicologico, il dolo va accertato ricorrendo anche alle ‘massime di esperienza’ e valutando il principio di offensività. L’agente deve volere e rappresentarsi non solo l’omissione, ma anche la concreta messa in pericolo del bene giuridico tutelato, ovvero la veridicità delle dichiarazioni rese alla pubblica amministrazione. La sentenza impugnata, non avendo svolto questo tipo di accertamento approfondito come richiesto dalla stessa Cassazione in una precedente pronuncia di annullamento, è risultata carente sotto il profilo motivazionale.

Le Conclusioni

In conclusione, la sentenza riafferma un principio di garanzia fondamentale: una condanna penale non può basarsi su automatismi. Per il reato di falso patrocinio a spese dello Stato, non basta dimostrare che la dichiarazione è oggettivamente falsa o incompleta. La pubblica accusa e il giudice devono provare, al di là di ogni ragionevole dubbio, che il dichiarante ha agito con la coscienza e la volontà di ingannare l’amministrazione, mettendo in pericolo la fede pubblica. La decisione impone ai giudici di merito un’analisi più attenta e individualizzata, che tenga conto di tutte le circostanze del caso concreto per distinguere un errore colposo da una deliberata condotta fraudolenta.

Commettere un errore nella domanda per il gratuito patrocinio è sempre reato?
No. Secondo la sentenza, non basta un’omissione o una dichiarazione falsa per integrare il reato. È necessario che sia provato il ‘dolo’, cioè la coscienza e la volontà di presentare una dichiarazione non veritiera. Un semplice errore, non accompagnato da questa intenzione, non è sufficiente per una condanna.

Cosa significa che il dolo non può essere ‘in re ipsa’ nel reato di falso patrocinio a spese dello Stato?
Significa che l’intenzione di commettere il reato non può essere data per scontata o considerata implicita nella semplice esistenza di una dichiarazione falsa (‘in re ipsa’ vuol dire ‘nella cosa stessa’). Il giudice ha l’obbligo di motivare in modo specifico e rigoroso come e perché ritiene che l’imputato abbia agito con la volontà di dichiarare il falso.

Se i beni non dichiarati non avrebbero comunque impedito l’accesso al beneficio, si può essere condannati lo stesso?
Sì, in teoria è possibile essere condannati, perché il reato protegge la lealtà e la veridicità delle dichiarazioni rese alle istituzioni, a prescindere dal raggiungimento o meno del beneficio. Tuttavia, la circostanza che i redditi effettivi siano comunque al di sotto della soglia di legge è un elemento molto importante che il giudice deve considerare per valutare l’elemento soggettivo, ovvero l’intenzione dell’imputato. Un accertamento sul dolo in questi casi deve essere ancora più rigoroso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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