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Falso Made in Italy: Cassazione conferma la condanna

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di due imprenditori condannati per il reato di vendita di prodotti con indicazioni mendaci, legato al fenomeno del falso Made in Italy. Gli imputati commercializzavano capi di abbigliamento e calzature prodotte in Cina apponendo etichette ingannevoli come “made in Italy” e “prodotto interamente in Italia”, nonostante la presenza di indicazioni veritiere sulla produzione cinese. La Corte ha stabilito che la capacità ingannatoria di tali diciture è sufficiente a configurare il reato, respingendo inoltre la richiesta di applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto a causa dell’ingente quantità di merce e di etichette false rinvenute.

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Pubblicato il 11 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Falso Made in Italy: La Cassazione chiarisce i limiti della frode

La lotta al falso Made in Italy rappresenta una priorità per la tutela dei consumatori e del nostro patrimonio produttivo. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha offerto importanti chiarimenti sulla configurabilità del reato di vendita di prodotti con segni mendaci, anche in presenza di etichette apparentemente contraddittorie. Analizziamo insieme questa decisione per capire quali sono i confini della legalità e quali condotte possono integrare una frode commerciale.

Il Caso: Etichette Contraddittorie e l’Accusa di Frode Commerciale

Il caso ha origine dalla condanna di due imprenditori per aver commercializzato prodotti industriali, in particolare capi d’abbigliamento e calzature, con indicazioni fallaci sulla loro origine. Sulle etichette erano presenti diciture come “made in Italy” e la più specifica “questo capo è stato prodotto interamente in Italia”. Tuttavia, le stesse etichette riportavano anche la dicitura “made in china”, attestando la reale provenienza della merce.

I giudici di merito avevano ritenuto gli imputati responsabili del reato previsto dall’art. 517 del codice penale, che punisce chiunque pone in vendita opere dell’ingegno o prodotti industriali con nomi, marchi o segni distintivi atti a indurre in inganno il compratore sull’origine, provenienza o qualità del prodotto.

I Motivi del Ricorso: Una Difesa tra Verità e Tenuità

Gli imputati hanno presentato ricorso in Cassazione basandosi su tre motivi principali:
1. Mancanza di inganno: Sostenevano che la presenza della dicitura “made in china” accanto a quella “made in Italy” eliminasse l’idoneità ingannatoria delle etichette, rendendo palese la reale origine del prodotto.
2. Particolare tenuità del fatto: Chiedevano l’applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis c.p., data la presunta minima offensività della condotta.
3. Errata commisurazione della pena: Lamentavano che il giudice avesse considerato, nel calcolo della sanzione, anche il numero di etichette non ancora apposte sui prodotti, ma semplicemente rinvenute e pronte all’uso.

Falso Made in Italy: La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato i ricorsi inammissibili, confermando la linea dei giudici di merito con argomentazioni precise su ogni punto sollevato dalla difesa.

Sull’Idoneità Ingannevole delle Etichette

La Corte ha ribadito che la valutazione dei fatti spetta al giudice di merito e non può essere rivalutata in sede di legittimità. Nel caso specifico, è stato correttamente evidenziato che le etichette con la dicitura “made in Italy” erano perfettamente idonee a trarre in inganno una buona parte dei consumatori. La sola presenza di un’indicazione così prestigiosa e ricercata è sufficiente a confondere l’acquirente, indipendentemente dalla coesistenza di altre indicazioni veritiere ma meno evidenti o comprensibili.

Sul Rifiuto della Particolare Tenuità del Fatto

Anche su questo punto, la Cassazione ha confermato la decisione impugnata. Il giudizio sulla particolare tenuità del fatto richiede una valutazione complessiva che considera tutti i parametri dell’art. 131-bis c.p. Questi criteri sono cumulativi per concedere il beneficio, ma alternativi per negarlo. Ciò significa che è sufficiente la valutazione negativa di un solo elemento per escludere la non punibilità. Nel caso in esame, i giudici hanno correttamente ritenuto l’offesa tutt’altro che minima, in ragione della notevole quantità di scarpe già poste in vendita con le etichette false e dell’ingente numero di etichette pronte per essere utilizzate, indice di una programmazione criminale su larga scala.

Sulla Congruità della Pena

Infine, la Corte ha sottolineato che le decisioni sulla commisurazione della pena sono insindacabili in Cassazione se sorrette da una motivazione logica e priva di vizi giuridici. La Corte territoriale aveva adeguatamente motivato la sanzione, ritenendola congrua e proporzionata per entrambi i ricorrenti, considerando anche il ruolo di rappresentante legale di una società ricoperto da uno di essi e l’ammissione di aver impartito direttive ai dipendenti.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su un principio cardine: la tutela del consumatore e della lealtà commerciale. Il reato di cui all’art. 517 c.p. non richiede un inganno effettivamente realizzato, ma la semplice idoneità della condotta a trarre in errore l’acquirente. La dicitura “Made in Italy” ha una forza evocativa e un valore commerciale tali che la sua apposizione su un prodotto di origine straniera è di per sé sufficiente a integrare il reato. La presenza di altre indicazioni non elide questa capacità ingannatoria, ma al massimo crea una confusione che non può giocare a favore di chi agisce in modo fraudolento. Inoltre, la Corte ribadisce la propria funzione di giudice di legittimità, che non può sostituirsi al giudice di merito nella ricostruzione dei fatti, ma solo verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione.

Le Conclusioni

Questa ordinanza consolida un orientamento giurisprudenziale rigoroso nella repressione del falso Made in Italy. La decisione insegna che qualsiasi tentativo di associare indebitamente un prodotto all’origine italiana, anche in modo ambiguo o contraddittorio, può configurare un reato. Per gli operatori del settore, emerge la necessità di una trasparenza assoluta e inequivocabile nelle etichettature, evitando qualsiasi dicitura che possa anche solo potenzialmente ingenerare confusione nel consumatore. Per i consumatori, è un’ulteriore conferma della tutela accordata dalla legge contro le pratiche commerciali sleali.

Un’etichetta che riporta sia “Made in Italy” sia “Made in China” è comunque considerata ingannevole?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, la dicitura “Made in Italy” è di per sé idonea a ingannare una buona parte dei consumatori, indipendentemente dalla presenza di altre indicazioni veritiere ma contraddittorie. La potenziale capacità di trarre in errore l’acquirente è sufficiente per configurare il reato.

Quando si può escludere la punibilità per “particolare tenuità del fatto” in un caso di falso Made in Italy?
La causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto viene esclusa quando l’offesa non è di minima entità. Nel caso esaminato, la Corte ha ritenuto che la grande quantità di prodotti già in vendita con etichette false e l’ingente numero di etichette pronte all’uso dimostrassero una significativa offensività, impedendo l’applicazione di tale beneficio.

La Corte di Cassazione può modificare la quantità della pena decisa nelle sentenze precedenti?
No, la Corte di Cassazione non può riesaminare la misura della pena stabilita dal giudice di merito, a meno che la motivazione della sentenza impugnata non presenti vizi logici o giuridici evidenti. La determinazione della sanzione è di competenza esclusiva dei giudici di merito.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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