Falso Lampeggiante: Quando la Detenzione Integra il Reato?
La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, è tornata a pronunciarsi sul reato di illecita detenzione di segni distintivi, in particolare sulla detenzione di un falso lampeggiante blu del tipo in uso alle forze dell’ordine. La decisione chiarisce importanti principi sulla configurabilità del reato previsto dall’art. 497-ter del codice penale, anche quando l’oggetto non è una copia perfetta o è un modello non più in dotazione.
I Fatti di Causa
Il caso riguarda un cittadino condannato in primo grado e in appello per il reato di cui all’art. 497-ter c.p. per aver detenuto un lampeggiante removibile di colore blu, completo di alimentatore. L’imputato ha presentato ricorso per cassazione, contestando la sua responsabilità penale sotto diversi profili, sia di merito che procedurali.
I Motivi del Ricorso in Cassazione
L’imputato ha basato il suo ricorso su quattro motivi principali:
1. Violazione di legge e vizio di motivazione: sosteneva che il tesserino sequestrato presentava delle difformità e che l’oggetto non era idoneo a ingannare.
2. Vizio di motivazione sull’elemento soggettivo: negava la sussistenza dell’intento colpevole (dolo) necessario per configurare il reato.
3. Mancata applicazione dell’art. 131-bis c.p.: riteneva che il fatto dovesse essere considerato di particolare tenuità e quindi non punibile.
4. Inosservanza di norme processuali: lamentava irregolarità nella perquisizione e nel sequestro del documento.
L’Analisi della Cassazione sul Falso Lampeggiante
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo tutte le censure mosse dal ricorrente con argomentazioni chiare e precise.
Idoneità a Ingannare: il Criterio Decisivo
Sul primo punto, la Corte ha ribadito un principio consolidato: ai fini del reato, non è necessaria una perfetta corrispondenza del segno distintivo con l’originale. Ciò che conta è la sua idoneità a trarre in inganno i cittadini sulle qualità personali di chi lo utilizza e sul potere connesso. Anche un lampeggiante non più in dotazione alle forze dell’ordine, ma che ne simuli la funzione, è sufficiente a integrare il reato, poiché può comunque ingenerare confusione e indurre in errore.
L’Elemento Soggettivo e le Modalità di Detenzione
Anche il secondo motivo è stato giudicato infondato. Secondo i giudici, l’intento colpevole (il dolo) è stato correttamente desunto dalle circostanze concrete. Le modalità di detenzione del lampeggiante, conservato insieme ad altri documenti e scoperto solo a seguito di un controllo, sono state considerate indicative della sua destinazione a un uso non lecito, rivelando la consapevolezza dell’illiceità del possesso.
Inapplicabilità della Particolare Tenuità del Fatto
La Corte ha confermato la decisione dei giudici d’appello di non applicare la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.). La valutazione ha tenuto conto di tutti gli elementi previsti dalla norma, concludendo che, nel caso di specie, non sussistevano i presupposti per la sua applicazione.
Inammissibilità dei Motivi Nuovi in Cassazione
Di particolare rilevanza è la decisione sul quarto motivo. La Corte ha dichiarato la censura relativa alla perquisizione e al sequestro inammissibile perché non era stata sollevata come motivo di appello. L’art. 606, comma 3, del codice di procedura penale, infatti, vieta di presentare per la prima volta in sede di legittimità questioni che dovevano essere dedotte nei gradi di merito precedenti.
Le Motivazioni della Decisione
La motivazione della Corte si fonda su principi giuridici consolidati. In primo luogo, la tutela penale dell’art. 497-ter c.p. è volta a proteggere la fiducia pubblica nei segni distintivi delle autorità. Pertanto, la pericolosità della condotta non risiede nella perfezione della contraffazione, ma nella sua capacità, anche solo potenziale, di ingannare un cittadino medio. In secondo luogo, la Corte ha riaffermato la natura del giudizio di legittimità, che non è una terza istanza di merito, ma un controllo sulla corretta applicazione della legge. Di conseguenza, le questioni procedurali non sollevate tempestivamente non possono trovare ingresso in Cassazione, a garanzia della gradualità e della certezza del processo.
Le Conclusioni
L’ordinanza in esame conferma che la detenzione di un falso lampeggiante o di altri segni distintivi in grado di simulare una funzione pubblica è un comportamento penalmente rilevante, a prescindere dalla sua attualità o perfezione. La decisione sottolinea inoltre un’importante regola processuale: le eccezioni e le contestazioni devono essere sollevate nei tempi e nei modi previsti dalla legge, pena la loro inammissibilità nei successivi gradi di giudizio. Questa pronuncia serve da monito sulla serietà con cui l’ordinamento giuridico punisce l’usurpazione, anche solo potenziale, di simboli e funzioni pubbliche.
È reato detenere un lampeggiante blu simile a quello delle forze dell’ordine, anche se non è un modello attualmente in uso?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, integra il reato di cui all’art. 497-ter c.p. la detenzione di un contrassegno, come un lampeggiante blu, anche se obsoleto, purché simuli la funzione di quelli ufficiali e sia idoneo a trarre in inganno i cittadini sulle qualità e i poteri di chi lo possiede.
Come viene provato l’intento colpevole nel reato di detenzione di un falso lampeggiante?
L’intento colpevole (dolo) può essere desunto dalle circostanze concrete. Nel caso esaminato, le modalità di detenzione del lampeggiante, conservato insieme ad altri documenti e scoperto solo durante un controllo, sono state ritenute sufficienti a rivelare la consapevolezza e la volontà di destinarlo a un uso illecito.
È possibile contestare per la prima volta in Cassazione l’irregolarità di una perquisizione o di un sequestro?
No. La Corte ha stabilito che una censura relativa a una norma processuale, come l’irregolarità di una perquisizione, non è consentita in sede di legittimità se non è stata previamente dedotta come motivo di appello, come prescritto a pena di inammissibilità dall’art. 606, comma 3, del codice di procedura penale.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 36700 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 36700 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 08/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a COSENZA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 09/01/2025 della CORTE APPELLO di TORINO
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Rilevato che COGNOME NOME ricorre avverso la sentenza della Corte di Appello di Torino che ha confermato la pronuncia di condanna in ordine al reato di cui all’art. 497-ter cod. pen.;
Considerato che il primo motivo – con cui il ricorrente lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all’affermazione di penale responsabilità – è manifestamente infondato poiché non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata (cfr. pag. 4) che ha chiarito che, seppur fossero presenti difformità sul tesserino sequestrato, questo risultava idoneo a indurre in errore chi si trovava ad esaminarlo. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, difatti integra il delitto di cui all’art. 497-ter, comma 1, n. 1, seconda parte, cod. pen. la detenzione di un contrassegno (nella specie un lampeggiante removibile di colore blu, completo di alimentatore) ancorché attualmente non più in dotazione alle forze dell’ordine, ma che ne simuli la funzione, essendo idoneo a trarre agevolmente in inganno i cittadini sulle qualità personali di colui che ne faccia eventuale uso e sul potere connesso (Sez. 5, n. 1808 del 17/11/2021, dep.2022, Magini, Rv. 282472);
Considerato che il secondo motivo – con cui il ricorrente denunzia vizio di motivazione in relazione all’elemento soggettivo del reato – è manifestamente infondato in quanto con motivazione esente dai descritti vizi logici, il giudice di merito ha esplicitato le ragioni del suo convincimento (si veda, in particolare, pag. 4) facendo applicazione di corretti argomenti giuridici ai fini dell’affermazione della responsabilità, essendo le modalità di detenzione tali da rivelare la destinazione all’uso non lecito del segno distintivo, conservato tra gli altri documenti ed emerso solo nel corso del controllo;
Considerato che il terzo motivo – con cui il ricorrente lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla mancata applicazione dell’art. 131-bis cod. pen. – è manifestamente infondato in quanto i Giudici dell’Appello correttamente hanno escluso l’applicazione della fattispecie in esame non sussistendo tutti gli elementi previsti dalla norma (si vedano, pagg. 4-5);
Considerato che il quarto motivo- con cui il ricorrente denunzia inosservanza di norma processuale in relazione alla perquisizione e al sequestro del documento – non è consentito in sede di legittimità perché la censura non risulta essere stata previamente dedotta come motivo di appello secondo quanto è prescritto a pena di inammissibilità dall’art. 606 comma 3 cod. proc. pen., come si evince dal riepilogo dei motivi di gravame riportato nella sentenza impugnata (si vedano pagg. 2-3), che l’odierno ricorrente avrebbe dovuto contestare specificamente nell’odierno ricorso, se incompleto o comunque non corretto;
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in data 8 ottobre 2025
Il Consigliere estensore
Il Presiiente