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Falso innocuo: ricorso inammissibile per ricetta falsa

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per l’utilizzo di una ricetta medica falsa. La difesa sosteneva la tesi del falso innocuo, ma la Corte ha stabilito che, avendo la ricetta permesso di ottenere i farmaci, il reato si è configurato pienamente. È stata inoltre respinta una censura sulla motivazione perché sollevata per la prima volta in Cassazione. Il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese e di una sanzione.

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Pubblicato il 15 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Falso innocuo e ricette mediche: la Cassazione fa chiarezza

L’utilizzo di una ricetta medica falsificata per ottenere farmaci non può essere derubricato a falso innocuo se il documento ha effettivamente raggiunto il suo scopo. Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato, confermando la sua condanna e ribadendo principi fondamentali in materia di reati di falso e di limiti all’impugnazione.

I Fatti del Caso: La Condanna per Ricetta Falsificata

Il caso trae origine dalla condanna di un individuo per aver utilizzato una ricetta medica contraffatta al fine di procurarsi dei farmaci. La Corte di Appello di Venezia aveva confermato la sentenza di primo grado, riconoscendo la sua responsabilità per i reati di falso previsti dal codice penale. L’imputato, non rassegnato alla decisione, ha proposto ricorso per cassazione, affidandosi a due principali motivi di doglianza.

L’Appello e i Motivi del Ricorso

Il ricorrente ha basato la sua difesa su due argomentazioni:
1. Una presunta contraddittorietà e carenza nella motivazione della sentenza d’appello, in particolare riguardo all’individuazione del medico la cui firma sarebbe stata falsificata sulla ricetta.
2. La violazione di legge per non aver riconosciuto la sussistenza di un falso innocuo. Secondo la difesa, la condotta non avrebbe dovuto essere punita poiché, in base alla normativa di settore (d.lgs. 219/2006), il falso non era idoneo a ledere il bene giuridico protetto.

La Decisione della Cassazione: Perché il ricorso è inammissibile

La Suprema Corte ha respinto entrambe le argomentazioni, dichiarando il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile. Vediamo nel dettaglio le ragioni di questa decisione.

Il Primo Motivo: Una Questione Mai Sollevata Prima

La Corte ha liquidato rapidamente il primo motivo, etichettandolo come “inedito”. I giudici hanno sottolineato un principio cardine del processo penale: non è possibile sollevare per la prima volta in Cassazione questioni che non sono state specificamente contestate nel precedente grado di giudizio, ossia l’appello. Il giudice d’appello non si era pronunciato su quel punto semplicemente perché non gli era stato chiesto di farlo. Questo divieto mira a garantire la corretta progressione del processo ed evitare strategie processuali dilatorie.

Il Secondo Motivo: L’infondatezza della tesi del falso innocuo

Sul punto centrale del falso innocuo, la Cassazione ha ritenuto il motivo manifestamente infondato. La Corte ha spiegato che la tesi era una mera riproposizione di argomenti già esaminati e correttamente respinti dalla Corte d’Appello. Il concetto di falso innocuo si applica solo quando la falsificazione è talmente grossolana o irrilevante da non poter ingannare nessuno e, quindi, da non ledere la fiducia che la collettività ripone in certi documenti. In questo caso, però, la ricetta falsa aveva funzionato: l’imputato era riuscito a ottenere i farmaci. La condotta, quindi, non era affatto “innocua”, ma aveva pienamente realizzato il suo scopo illecito, ledendo la fede pubblica.

Le Motivazioni della Corte

Le motivazioni della Corte si fondano su un consolidato orientamento giurisprudenziale. In primo luogo, viene ribadito il principio secondo cui l’appello devolve al giudice superiore solo le questioni specificamente indicate nei motivi di impugnazione. Introdurre nuove questioni in Cassazione è proceduralmente scorretto. In secondo luogo, viene chiarito che il reato di falso si consuma nel momento in cui la falsificazione lede la pubblica fede, e non può essere considerato innocuo se il documento contraffatto si dimostra idoneo a raggiungere lo scopo per cui è stato creato. Nel caso di specie, l’ottenimento dei farmaci è la prova lampante dell’efficacia ingannatoria del documento e, quindi, della sua offensività.

Le Conclusioni

L’ordinanza ha conseguenze pratiche rilevanti. Dichiarando l’inammissibilità del ricorso, la condanna è diventata definitiva. Inoltre, a causa della palese infondatezza dei motivi, che denota una colpa nell’impugnazione, il ricorrente è stato condannato non solo al pagamento delle spese processuali, ma anche al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende. Questa decisione serve da monito: il ricorso per cassazione non è una terza istanza di merito dove ridiscutere i fatti, ma un controllo di legittimità che richiede motivi solidi e proceduralmente corretti. La tesi del falso innocuo, in particolare, non può essere invocata quando il falso ha sortito i suoi effetti concreti.

È possibile presentare in Cassazione un motivo di ricorso non discusso in appello?
No, di regola non è possibile. La Corte ha chiarito che non si possono dedurre in Cassazione questioni sulle quali il giudice di appello non si è pronunciato perché non gli sono state sottoposte, a meno che non si tratti di questioni rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio.

Quando una falsificazione può essere considerata un “falso innocuo”?
Una falsificazione è “innocua” solo quando è del tutto inidonea a ledere l’interesse protetto dalla norma, ovvero la pubblica fede. In questo caso, la Corte ha stabilito che non si trattava di falso innocuo perché la ricetta falsificata aveva permesso all’imputato di ottenere effettivamente i farmaci, raggiungendo lo scopo illecito.

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità del ricorso per cassazione?
Comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in caso di colpa (come in questo caso, per l’evidente infondatezza dei motivi), anche al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle ammende, che nel caso specifico è stata quantificata in 3.000 euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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