Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 37912 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 37912 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a EBOLI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 11/02/2025 della CORTE APPELLO di SALERNO dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; letta la memoria inoltrata dal difensore di COGNOME;
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Salerno confermava la sentenza del Tribunale di Salerno del 28/02/2024, con la quale COGNOME NOME veniva condanNOME alla pena di mesi uno di reclusione per il reato di cui agli artt. 483, 110 e 99, commi 2 e 4, c.p. (capo 5 della rubrica), per aver, in qualità di presidente di due associazioni e in concorso con il progettista, attestato falsamente nella CIL in saNOMEria del 26/04/2016 che le opere edilizie in corso di esecuzione fossero dirette a soddisfare esigenze contingenti e temporanee, da rimuovere entro 90 giorni, mentre le stesse avevano carattere stabile e permanente.
Avverso tale sentenza, l’imputato, a mezzo del proprio difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, articolando due motivi.
2.1. Con il primo motivo, si deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e / ) c.p.p., in relazione all’art. 483 c.p. e alla configurabilità del c.d. “fal innocuo” o “falso grossolano”. Il ricorrente sostiene che la Corte di appello sarebbe incorsa in una palese contraddizione nel motivare la decisione. Da un lato, avrebbe correttamente enunciato il principio secondo cui il falso grossolano, che dà luogo al reato impossibile, è quello riconoscibile ictu oculi da chiunque, sulla base di una valutazione ex ante. Dall’altro, avrebbe illogicamente escluso tale grossolanità nel caso di specie, nonostante la stessa descrizione delle opere contenuta nella comunicazione di inizio lavori rendesse palese la non temporaneità delle stesse, come confermato in dibattimento dal teste AVV_NOTAIO COGNOME, funzionario del Comune. La falsità, pertanto, sarebbe stata inidonea a trarre in inganno la pubblica amministrazione.
2.2. Con il secondo motivo, si lamenta nuovamente la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e)’ c.p.p., in relazione agli artt. 483 c.p. e 192 c.p.p. Si ribadisce che la dichiarazione non era idonea a indurre in errore il Comune, tanto che il procedimento penale è scaturito proprio da una segnalazione dell’Ufficio Urbanistica. Secondo la difesa, ancora, la comunicazione di inizio lavori non sarebbe destinata a provare la verità dei fatti attestati, essendo il suo contenuto sempre soggetto a verifica da parte degli uffici competenti, e sarebbe quindi priva di quella valenza probatoria privilegiata richiesta per la configurabilità del reato. A sostegno della propria tesi, il ricorrente richiama una sentenza di legittimità (Cass. pen. Sez. VI, Sent., n. 33032/2023) che enuncerebbe il principio di seguito riportato:
“Il delitto di falso ideologico commesso dal privato in atto pubblico, sussiste soltanto nei casi in cui una specifica norma giuridica attribuisca all’atto la funzione di provare i fatti attestati dal privato al pubblico ufficiale, collegando in tal mod l’efficacia probatoria dell’atto medesimo al dovere del dichiarante di affermare il vero”.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso si articola in motivi manifestamente infondati o non consentiti in quanto non proposti in appello.
I due motivi, che per la loro stretta connessione, possono essere esaminati congiuntamente, si risolvono in una critica alla valutazione del compendio probatorio operata dai giudici di merito, sollecitando una rilettura delle risultanze processuali inammissibile in questa sede di legittimità.
In relazione alla doglianza concernente il c.d. “falso innocuo “, la Corte territoriale ha fornito una motivazione logica e coerente, immune da vizi rilevabili in questa sede. La sentenza impugnata ha correttamente applicato il principio
secondo cui la valutazione dell’inidoneità dell’azione deve essere compiuta ex ante e ricorre quando “l’infedele attestazione o la compiuta alterazione appaiano del tutto irrilevanti ai fini del significato dell’atto e del suo valore probatori pertanto, inidonee al conseguimento delle finalità che con l’atto falso si intendevano raggiungere; in tal caso, infatti, la falsità non esplica effetti sull funzione documentale che l’atto è chiamato a svolgere, che è quella di attestare i dati in esso indicati, con la conseguenza che l’innocuità non deve essere valutata con riferimento all’uso che dell’atto falso venga fatto” (Sez. 5, n. 3564 del 07/11/2007, dep. 2008, De, Rv. 238875 – 01; Sez. 5, n. 35076 del 21/04/2010, COGNOME, Rv. 248395 – 01; Sez. 5, n. 2809 del 17/10/2013( dep. 2014 ), COGNOME, Rv. 258946 – 01; Sez. 5 – , n. 5896 del 29/10/2020 (dep. 2021 ), Brisciano, Rv. 280453 – 01).
Venendo al caso di specie, l’attestazione in ordine alla temporaneità delle esigenze che le opere in costruzione miravano a soddisfare non era certo ininfluente rispetto alla funzione probatoria intrinseca dell’atto incrimiNOME, costituendone anzi il profilo cdritrale, come dall’altro disvelato dalla stessa finalit cui la comunicazione mirava, avendo la Corte territoriale, con motivazione che il ricorso non contesta, sottolineato che la falsa attestazione “era stata resa al fine di indurre in errore, in ordine al tipo ed alla natura delle opere, i destinatari pe ottenere la concessione in saNOMEria”.
La circostanza che un tecnico esperto dell’ufficio comunale, a seguito di un controllo, abbia potuto rilevare la falsità della dichiarazione confrontandola con la descrizione analitica delle opere, non rende la falsità stessa grossolana o inidonea ab origine. L’idoneità a trarre in inganno la fede pubblica, infatti, non deve essere valutata con riferimento a un destinatario particolarmente qualificato o all’esito di una specifica verifica, ma con riguardo alla generalità dei consociati e alla funzione dell’atto. La motivazione della Corte di merito, che ha escluso la riconoscibilità ictu oculi della falsità, pertanto, non presenta alcuna manifesta illogicità né contraddizione, limitandosi a compiere una valutazione di merito preclusa al sindacato di legittimità.
Va, ancora, rilevato che il motivo, nella parte finale, a sostegno della prospettata inidoneità ex ante della comunicazione ad “indurre in errore il Comune di Eboli”, deduce che il documento “non è destiNOME a provare la verità dei fatti in essa attestati, perché si tratta di dichiarazione senza alcuna valenza probatoria privilegiata e il cui contenuto può essere oggetto di verifica sulla effettiv situazione di fatto da parte degli uffici preposti”. A sostegno di tale valutazione viene richiamata la sentenza Sez. 6, n. 33032 del 25/5/2023, COGNOME.
L’argomento, invero, seppur confusamente, solleva un tema non irrilevante, afferente la possibilità di sussumere il falso accertato nella norma incriminatrice nonostante la comunicazione che lo veicola sia priva di una finalità di
autocertificazione e non sia destinata a essere recepita in un atto pubblico, avendo una funzione essenzialmente informativa, al fine di consentire all’ente comunale di provvedere alla successiva verifica della effettiva conformità delle opere realizzate (in tale senso Sez. 6, n. 34024 del 2/5/2024, COGNOME ed altri).
La questione, però, non risulta proposta con il gravame.
Dalla sintesi dei motivi di appello, infatti, si rileva che i due motivi dedot miravano a ottenere l’assoluzione “per l’insussistenza dell’elemento soggettivo” e prospettavano, il primo, che l’attestazione non veridica era stata determinata da un comportamento negligente e, il secondo, che si era in presenza di un “falso grossolano o innocuo, come tale inidoneo a produrre il risultato di ingannare chicchessia”.
Tale sintesi non è contestata dal ricorrente, come sarebbe stato suo onere fare se avesse ritenuto che il riepilogo dei motivi di gravame operato dalla Corte di appello nella sentenza impugnata era incompleto o comunque non corretto (Sez. 2, n. 9028 del 05/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259066; Sez. 2, n. 31650 del 3/4/2017, COGNOME, Rv. 270627; Sez. 4, n. 17449 del 02/04/2025, COGNOME, Rv. 288117).
Se ne desume che la sussistenza o meno di un obbligo penalmente sanzioNOME che il ricorrente ha violato con la falsa attestazione incriminata non ha costituito motivo di appello e, quindi, non può essere proposta in sede di legittimità.
Secondo l’orientamento di questa Corte, condiviso dall’odierno Collegio, “in tema di ricorso per cassazione, la regola ricavabile dal combiNOME disposto degli artt. 606, comma terzo, e 609, comma secondo, cod. proc. pen. – secondo cui non possono essere dedotte in cassazione questioni non prospettate nei motivi di appello, tranne che si tratti di questioni rilevabili di ufficio in ogni stato e grado d giudizio o di quelle che non sarebbe stato possibile dedurre in grado d’appello trova la sua “ratio” nella necessità di evitare che possa sempre essere rilevato un difetto di motivazione della sentenza di secondo grado con riguardo ad un punto del ricorso, non investito dal controllo della Corte di appello, perché non segnalato con i motivi di gravame.” (Sez. 4, n. 10611 del 04/12/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 256631 – 01; Sez. 3, n. 16610 del 24/01/2017, COGNOME, Rv. 269632 – 01 ; Sez. 2, n. 8890 del 31/01/2017, COGNOME, Rv. 269368 – 01).
4. Tenuto conto della sentenza del 13.6.2000 n.186 della Corte 2 . ostituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità” all’esito del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento, nonché quello del versamento di una somma, in favore della RAGIONE_SOCIALE delle mmende, equitativamente fissata come in dispositivo
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende
Così deciso il 19/9/2025