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Falso in SCIA: la Cassazione sulla preesistenza del soppalco

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un amministratore di condominio condannato per falso in SCIA. L’imputato aveva attestato la preesistenza di un soppalco in realtà inesistente. I giudici hanno confermato che l’assenza di titoli edilizi è una prova logica solida della non esistenza dell’opera e che non è scusabile la mancata diligenza nel controllo dei documenti firmati.

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Pubblicato il 2 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Falso in SCIA: La Responsabilità Penale per l’Attestazione di un Soppalco Inesistente

Attestare il falso in un atto pubblico è un reato grave, e quando questo avviene in ambito edilizio, le conseguenze possono essere severe. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato un caso di falso in SCIA, fornendo chiarimenti cruciali sulla responsabilità di chi firma la documentazione e sulla valenza probatoria dell’assenza di permessi edilizi. Nell’articolo che segue, analizzeremo la vicenda di un amministratore di condominio condannato per aver dichiarato la preesistenza di un soppalco che, in realtà, non era mai esistito.

Il Caso: Una SCIA e un Soppalco “Fantasma”

La vicenda giudiziaria ha origine dalla condanna, confermata in Appello, di un amministratore di condominio per il reato di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico (art. 483 c.p.). L’imputato aveva sottoscritto una SCIA (Segnalazione Certificata di Inizio Attività) in cui si attestava che un soppalco all’interno di un immobile fosse un’opera preesistente.

Le indagini e i successivi gradi di giudizio hanno però accertato che tale soppalco non era mai esistito prima della presentazione della pratica edilizia. La difesa dell’amministratore ha quindi proposto ricorso in Cassazione, basando la sua strategia su quattro motivi principali, volti a smontare l’impianto accusatorio e la logica delle sentenze precedenti.

I Motivi del Ricorso e il Falso in SCIA

L’imputato, tramite il suo difensore, ha contestato la condanna sostenendo:

1. Vizio di motivazione sulla prova: La non esistenza del soppalco era stata dedotta unicamente dall’assenza di precedenti titoli abilitativi. Secondo la difesa, si tratta di una deduzione illogica, poiché è frequente, specialmente in immobili datati, trovare opere realizzate in passato senza permessi. Ciò avrebbe dovuto far escludere il dolo, ovvero l’intenzione di dichiarare il falso.
2. Illogicità della motivazione: I giudici avrebbero escluso irragionevolmente la possibilità che l’amministratore avesse firmato la SCIA senza esaminarne attentamente il contenuto e gli elaborati grafici, fidandosi del tecnico incaricato.
3. Contraddittorietà: La Corte d’Appello non avrebbe considerato documenti difensivi (verbali di assemblea) dai quali non emergevano censure nei confronti dell’amministratore, suggerendo così la sua estraneità ai fatti.
4. Omessa motivazione sull’elemento soggettivo: La motivazione sul dolo si basava su un criterio presuntivo e illogico, inficiando tutta la valutazione di responsabilità.

La Decisione della Corte Suprema

La Corte di Cassazione ha rigettato completamente le argomentazioni difensive, dichiarando il ricorso inammissibile. I giudici hanno ritenuto le motivazioni delle sentenze di merito solide, coerenti e prive di vizi logici manifesti.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte ha smontato punto per punto i motivi del ricorso. In primo luogo, ha stabilito che dedurre l’inesistenza di un’opera strutturale come un soppalco dall’assenza totale di titoli abilitativi non è un’argomentazione viziata, ma un solido ragionamento logico. La realizzazione di un soppalco è un intervento di una certa consistenza che, per sua natura, deve essere accompagnato da un permesso. L’idea che possa esistere “sine titulo” è stata definita una “mera asserzione soggettiva”, non una massima di esperienza, e quindi inidonea a superare l’argomento accusatorio.

Inoltre, la Corte ha sottolineato che da un amministratore di condominio, figura che per sua stessa ammissione aveva curato molteplici pratiche edilizie e aveva libero accesso all’immobile, ci si aspetta un livello di diligenza superiore. È del tutto congruo, e non “manifestamente illogico”, ritenere che egli dovesse leggere attentamente la pratica prima di firmarla. La rappresentazione di un soppalco inesistente su elaborati grafici allegati a una pratica per manutenzione straordinaria era, secondo la Corte, facilmente individuabile. La ricostruzione dei giudici è stata corroborata anche dall’inverosimiglianza che il tecnico incaricato avesse agito all’insaputa del suo committente formale, cioè l’amministratore stesso.

Infine, gli altri motivi sono stati liquidati come tentativi di rivalutare il merito della vicenda, attività preclusa in sede di legittimità, o come manifestamente infondati, poiché le sentenze precedenti avevano già spiegato in modo esauriente le ragioni per cui si riteneva che l’imputato avesse agito con la consapevolezza di dichiarare il falso.

Le Conclusioni Pratiche

La sentenza rafforza un principio fondamentale: chi sottoscrive un’autocertificazione, come la SCIA, si assume la piena responsabilità di quanto dichiara. Non ci si può nascondere dietro una presunta negligenza o una fiducia cieca nel tecnico incaricato, specialmente se si ricopre un ruolo professionale come quello dell’amministratore di condominio. L’assenza di permessi edilizi per opere rilevanti costituisce un indizio grave, preciso e concordante della loro inesistenza originaria, sufficiente a fondare una condanna per falso in SCIA. Questa decisione serve da monito sulla necessità di massima diligenza e verifica prima di apporre la propria firma su documenti destinati alla Pubblica Amministrazione.

È possibile giustificare una falsa attestazione in una SCIA sostenendo che l’opera, sebbene priva di titoli abilitativi, fosse preesistente?
No. Secondo la sentenza, l’assenza di titoli abilitativi per un’opera di una certa consistenza edilizia, come un soppalco, è un’argomentazione logica solida per dedurne l’inesistenza originaria. La tesi difensiva della possibile esistenza di opere datate e non autorizzate è stata considerata una mera asserzione soggettiva e non una massima di esperienza in grado di superare tale logica.

L’amministratore di condominio che firma una SCIA può difendersi affermando di non averne esaminato attentamente il contenuto e gli allegati?
No. La Corte ha ritenuto che da un amministratore di condominio, che per sua stessa ammissione ha curato molteplici pratiche edilizie e ha accesso all’immobile, ci si debba aspettare che curi con diligenza la relativa pratica, a partire da un’attenta lettura della stessa. Non è considerato ‘manifestamente illogico’ ritenere che fosse consapevole della falsa rappresentazione.

La mancata censura da parte dell’assemblea condominiale verso l’amministratore può escludere la sua responsabilità penale?
No. La Corte di Cassazione ha ritenuto tale argomento come un tentativo di rivalutazione del merito dei fatti, inammissibile in sede di legittimità. La reazione soggettiva del condominio non è un segnale inequivocabile dell’assenza di responsabilità, potendo essere giustificata da molteplici e variabili dinamiche intersoggettive.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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