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Falso in atto pubblico: quando scatta il reato

Due cittadini stranieri, dopo un patteggiamento per reati legati a false autocertificazioni per la conversione della patente, ricorrono in Cassazione lamentando un’errata qualificazione giuridica. Sostenevano che la loro condotta dovesse essere inquadrata solo come falsità ideologica del privato e non come tentativo di indurre in errore il pubblico ufficiale. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ribadendo che l’impugnazione di una sentenza di patteggiamento per questo motivo è consentita solo in caso di errore manifesto, qui non riscontrato. La Corte ha confermato la possibilità di concorso tra il reato di falsa attestazione del privato e quello di falsità per induzione in errore del pubblico ufficiale.

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Pubblicato il 5 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Falso in Atto Pubblico: La Cassazione sui limiti del ricorso post-patteggiamento

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha affrontato un caso interessante di falso in atto pubblico derivante da false autocertificazioni presentate per la conversione di una patente di guida straniera. La decisione chiarisce i ristretti limiti entro cui è possibile impugnare una sentenza di patteggiamento per errata qualificazione giuridica del fatto e ribadisce quando una falsa dichiarazione del privato può integrare un doppio reato.

I fatti di causa: una falsa autocertificazione

Il caso riguarda due cittadini che avevano richiesto la conversione della loro patente di guida straniera presso gli uffici della Motorizzazione. A tal fine, avevano presentato delle autocertificazioni contenenti dichiarazioni non veritiere. A seguito di ciò, avevano definito la loro posizione processuale attraverso un patteggiamento, concordando con il pubblico ministero una pena di 8 mesi di reclusione ciascuno, poi sostituita con una sanzione pecuniaria.

I reati contestati erano due: il primo, la falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico (art. 483 c.p.) in relazione alle norme sull’autocertificazione (D.P.R. 445/2000), e il secondo, il tentativo di falso in atto pubblico per induzione (artt. 56, 48 e 479 c.p.), per aver cercato di indurre in errore il funzionario della Motorizzazione.

L’impugnazione e le doglianze dei ricorrenti

Nonostante l’accordo raggiunto con il patteggiamento, i due imputati hanno presentato ricorso in Cassazione, lamentando un’erronea applicazione della legge penale. Secondo la loro difesa:

1. La condotta avrebbe dovuto essere ricondotta esclusivamente al reato di falsa attestazione del privato (art. 483 c.p.), poiché il pubblico ufficiale si sarebbe limitato a registrare le loro dichiarazioni.
2. Non poteva sussistere il tentativo di indurre in errore il funzionario, in quanto quest’ultimo, per la sua qualifica professionale, aveva il dovere di verificare la veridicità delle dichiarazioni, rendendo la falsa autocertificazione inidonea a trarlo in inganno.

La configurabilità del Falso in Atto Pubblico per Induzione

La questione centrale ruota attorno alla possibilità che una singola falsa dichiarazione possa integrare due diversi reati in concorso tra loro. La giurisprudenza, citata dalla stessa Corte, ha da tempo chiarito questo punto. Il delitto di falsa attestazione del privato (art. 483 c.p.) può concorrere con quello di falsità per induzione in errore del pubblico ufficiale (artt. 48 e 479 c.p.) a una precisa condizione: che la dichiarazione non veritiera riguardi fatti che l’atto pubblico finale è destinato a provare come veri. In pratica, se la falsa autocertificazione è il presupposto necessario per ottenere l’atto finale (in questo caso, la conversione della patente), si configura un rapporto di causa-effetto che giustifica il concorso di reati.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato i ricorsi inammissibili, basando la sua decisione su argomentazioni di carattere sia procedurale che sostanziale.

La specificità del ricorso contro il patteggiamento

Innanzitutto, i giudici hanno ricordato che, in base all’art. 448, comma 2-bis, c.p.p., la possibilità di ricorrere in Cassazione contro una sentenza di patteggiamento per un’errata qualificazione giuridica è limitata ai soli casi di errore manifesto. L’errore deve essere palese, immediatamente riconoscibile e non soggetto a margini di interpretazione. Nel caso di specie, la Corte non ha ravvisato alcuna “palese distonia” tra i fatti descritti nell’imputazione e la qualificazione giuridica data dal giudice di primo grado.

Il principio del concorso tra reati

Nel merito, la Corte ha ribadito il consolidato orientamento delle Sezioni Unite (sent. Scelsi, 2007), secondo cui il delitto di falsa attestazione e quello di falso per induzione possono coesistere. Esiste un collegamento diretto tra la falsa autocertificazione presentata dagli imputati e l’accertamento dei presupposti per la conversione della patente, compito del funzionario della Motorizzazione. La seconda doglianza, relativa alla presunta inidoneità dell’inganno a causa della competenza del funzionario, è stata ritenuta improponibile, poiché richiederebbe una valutazione di fatto incompatibile con il rito del patteggiamento e con il giudizio di legittimità.

Le conclusioni

L’ordinanza conferma due principi fondamentali. Primo, il patteggiamento, essendo un accordo tra le parti, limita fortemente le possibilità di impugnazione, ammesse solo per vizi evidenti e non per questioni interpretabili. Secondo, presentare una falsa autocertificazione per ottenere un provvedimento amministrativo favorevole può integrare non solo il reato specifico di falsa dichiarazione, ma anche il più grave reato di aver indotto in errore il pubblico ufficiale, con conseguente concorso di pene. La decisione serve da monito sulla serietà delle dichiarazioni rese alla pubblica amministrazione e sulle limitate vie di fuga processuali una volta accettato un rito alternativo come il patteggiamento.

È sempre possibile impugnare una sentenza di patteggiamento per errata qualificazione giuridica del fatto?
No, la legge (art. 448, comma 2-bis, c.p.p.) limita questa possibilità ai soli casi di errore manifesto, cioè quando la qualificazione giuridica appare, con indiscussa immediatezza e senza margini di opinabilità, palesemente eccentrica rispetto ai fatti contestati.

Una falsa dichiarazione a un pubblico ufficiale integra sempre sia il reato di falsità ideologica (art. 483 c.p.) sia quello di falso in atto pubblico per induzione (artt. 48 e 479 c.p.)?
Sì, i due reati possono concorrere quando la falsa dichiarazione del privato è prevista di per sé come reato e, al tempo stesso, costituisce il presupposto necessario per la redazione di un atto pubblico il cui contenuto è destinato a provare la verità proprio dei fatti falsamente attestati.

Cosa succede se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, come in questo caso, la Corte non esamina il merito della questione. I ricorrenti vengono condannati al pagamento delle spese processuali e, se si ravvisa una colpa nella proposizione del ricorso, anche al pagamento di una somma in favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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