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Falso in atto pubblico: quando la fotocopia è reato?

La Corte di Cassazione conferma la condanna per falso in atto pubblico e tentata truffa al legale rappresentante di un’associazione. La sentenza chiarisce che una fotocopia di un atto inesistente integra il reato se idonea a ingannare, assumendo l’apparenza di un originale. Inoltre, in assenza di prove contrarie, il momento di creazione del falso si presume coincidente con quello del suo primo utilizzo, respingendo l’eccezione di prescrizione.

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Pubblicato il 25 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Falso in atto pubblico: anche una semplice fotocopia può portare a una condanna?

Il reato di falso in atto pubblico rappresenta una seria minaccia alla fiducia che i cittadini ripongono nei documenti ufficiali. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato un caso complesso, stabilendo principi importanti sulla configurabilità del reato tramite una fotocopia e sul calcolo della prescrizione. La vicenda riguarda il legale rappresentante di un’associazione onlus, condannato per aver creato una falsa comunicazione per ottenere un rimborso non dovuto da un ente comunale.

I Fatti del Caso: La Fotocopia Falsificata

L’imputato, rappresentante di un’associazione, aveva stipulato una convenzione annuale con un comune nel 2004. Anni dopo, al fine di ottenere un rimborso di oltre 4.600 euro, presentava all’ente una fotocopia di un documento, datato falsamente 2013, che attestava l’interruzione di un rapporto di collaborazione durato ben nove anni. In realtà, tale rapporto si era esaurito nel 2005.

Il documento, frutto di un fotomontaggio, riportava la firma (riconducibile a quella apposta sulla convenzione originale del 2004) di un funzionario comunale e i timbri dell’ente. Sebbene si trattasse di una fotocopia di un atto mai esistito, la sua apparenza era tale da poter trarre in inganno gli uffici comunali sulla reale durata della convenzione.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

La difesa dell’imputato ha basato il ricorso su quattro punti principali:

1. Inidoneità della fotocopia: Si sosteneva che una mera fotocopia di un atto inesistente, priva di numero di protocollo o attestazione di conformità, non potesse integrare il reato di falso.
2. Prescrizione del reato: Secondo la difesa, il reato si sarebbe dovuto considerare commesso nella data apparente del documento (24 gennaio 2013) e non al momento del suo utilizzo (2019). Di conseguenza, i termini di prescrizione sarebbero già decorsi.
3. Particolare tenuità del fatto: Si chiedeva l’applicazione dell’art. 131-bis c.p., data l’assenza di danno effettivo (il comune non si era costituito parte civile) e l’incensuratezza dell’imputato.
4. Eccessività della pena: La sanzione inflitta veniva considerata sproporzionata.

La Decisione della Corte sul falso in atto pubblico

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, confermando la condanna. I giudici hanno chiarito due aspetti fondamentali del falso in atto pubblico.

La configurabilità del reato tramite fotocopia

La Corte ha precisato che, sebbene la formazione della copia di un atto inesistente di per sé non costituisca reato, la situazione cambia quando la copia assume l’apparenza di un atto originale. Nel caso specifico, la fotocopia, per le sue caratteristiche (firma del funzionario, timbri comunali), era idonea a ingannare sulla sua provenienza e autenticità, facendo credere che fosse la riproduzione di un documento realmente esistente. La mancanza del numero di protocollo non è stata ritenuta decisiva per escludere l’idoneità dell’atto a ledere la pubblica fede.

Il Momento Consumativo del Reato e la Prescrizione

Questo è il punto cruciale della sentenza. I giudici hanno confermato che il reato di falsità materiale si consuma con la formazione del documento falso, non con il suo successivo utilizzo. Tuttavia, hanno sottolineato che la prova del momento della formazione è determinante. Nel caso di specie, non vi erano elementi per dimostrare che il documento fosse stato creato nella data fittizia del 2013. Al contrario, le prove indicavano che la sua creazione era avvenuta in un momento vicino al suo utilizzo, ovvero dopo i solleciti di pagamento inviati dal comune nel 2019. In assenza di prove che retrodatino la falsificazione, la Corte ha stabilito che il momento della sua trasmissione (l’uso) funge da prova del momento della sua creazione (tempus commissi delicti). Di conseguenza, il reato non era prescritto.

Le Motivazioni

La Corte ha motivato il rigetto degli altri motivi di ricorso spiegando che l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto era ostacolata dalle modalità esecutive del reato, che denotavano una certa professionalità nel delinquere, e dall’esistenza di un’altra denuncia per un fatto analogo. Infine, la pena è stata giudicata congrua e correttamente motivata dai giudici di merito.

Le Conclusioni

Questa sentenza ribadisce due principi fondamentali. Primo, anche una fotocopia può integrare il reato di falso in atto pubblico se ha le caratteristiche per apparire come la copia di un documento autentico e trarre in inganno. Secondo, ai fini della prescrizione, se la data apposta sul documento è falsa, il reato si considera commesso nel momento in cui viene provata la sua effettiva creazione, che, in mancanza di altre prove, può coincidere con il momento del suo primo utilizzo.

Quando una fotocopia di un atto inesistente costituisce reato di falso?
Una fotocopia di un atto inesistente costituisce reato di falso quando, per le sue caratteristiche concrete (come la presenza di firme apparentemente autentiche e timbri ufficiali), è idonea ad assumere le sembianze di un atto originale esistente e a trarre in inganno la pubblica fede, anche in assenza di un numero di protocollo.

Come si determina il momento di commissione del reato di falso ai fini della prescrizione?
Il reato di falsità materiale in certificati o autorizzazioni amministrative si consuma con la formazione del documento falso, e non con il suo uso. Tuttavia, la data di commissione deve essere provata. Se non ci sono prove che dimostrino una data di creazione anteriore, si può presumere che la formazione del falso coincida con il momento del suo primo utilizzo.

Perché non è stata concessa la non punibilità per particolare tenuità del fatto?
La causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto non è stata riconosciuta perché i giudici hanno ritenuto che le modalità esecutive del reato denotassero una professionalità nell’agire e perché risultava un’altra denuncia a carico dell’imputato per un reato analogo, elementi considerati ostativi all’applicazione di tale beneficio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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