Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 25513 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 25513 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a JACURSO il 29/10/1966
avverso la sentenza del 09/10/2024 della CORTE APPELLO di CATANZARO udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha chiesto léannullamento della sentenza impugnata, in accoglimento del secondo motivo di ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata, la Corte d’Appello di Catanzaro ha confermato la decisione del GUP del Tribunale di Lamezia Terme che ha condannato alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione NOME COGNOME, legale rappresentante dell’Associazione “RAGIONE_SOCIALE“, per i reati, in continuazione tra loro, di falsità del privato in atto pubblico, aggravata ex art. 61, primo comma, n. 2, cod. pen., e tentata truffa aggravata.
L’imputato ha proposto ricorso, tramite il difensore di fiducia, avverso la sentenza della Corte d’Appello citata, deducendo quattro motivi distinti.
2.1. La prima eccezione sollevata dalla difesa è relativa alla violazione di legge ed al vizio di mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della sentenza impugnata, quanto all’affermazione di responsabilità per il delitto di falso del privato in atto pubblico.
Il documento ritenuto falso è una fotocopia di un atto inesistente, mancando numeri di protocollo e attestazioni di conformità all’originale, sicchè non può configurare reato ai sensi degli artt. 482-476 cod. pen. e della giurisprudenza delle Sezioni Unite in tema.
2.2. Il secondo motivo di ricorso denuncia violazione di legge per mancata declaratoria di estinzione del reato, nonostante esso debba ritenersi commesso in data 24.1.2013, secondo quanto riportato nella sentenza d’incompetenza territoriale n. 160 del 2021, emessa dal GUP presso il Tribunale di Termini Imerese.
Diversamente, la sentenza d’appello impugnata ha considerato che il momento consumativo del reato dovesse essere ancorato al primo utilizzo dell’atto, applicando erroneamente il criterio declinato dalla giurisprudenza di legittimità in relazione al falso in scrittura privata, mentre invece, in relazione al reato di cui agli artt. 482-476 cod. pen., per stabilire il tempus commissi delicti, deve essere utilizzato il momento di formazione del documento falso.
Secondo il ricorrente, il reato sarebbe prescritto già alla data del 24.7.2021.
2.3. Il terzo motivo di censura critica il provvedimento impugnato per violazione di legge in relazione al mancato riconoscimento della causa di esclusione della punibilità prevista dall’art. 131-bis cod. pen.: la sentenza impugnata e quella di primo grado hanno rigettato la richiesta del ricorrente con motivazioni insufficienti e contrarie alla corretta interpretazione della disposizione normativa, senza tener conto adeguatamente dell’incensuratezza dell’imputato e dell’assenza di danno derivato dalla condotta, tanto che il comune di Villafrati neppure si è costituito parte civile.
008
2.4. L’ultimo motivo di ricorso denuncia violazione di legge in relazione alla dosimetria sanzionatoria, ritenuta eccessiva, nella determinazione della pena base per la continuazione criminosa, e contraria ai parametri dell’art. 133 cod. pen., tenuto conto della modesta entità della condotta contestata all’imputato.
Il ricorrente si duole anche del mancato riconoscimento del giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulle aggravanti ritenute sussistenti.
2.5. La difesa del ricorrente ha depositato conclusione scritte con le quali chiede l’annullamento della sentenza impugnata.
Il Sostituto Procuratore Generale della Corte di cassazione ha chiesto l’annullamento della sentenza impugnata, in accoglimento del secondo motivo di ricorso, con requisitoria scritta.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
L’imputato è accusato di aver formato una falsa nota, frutto di un fotomontaggio, relativa ad una richiesta di rimborso spese attestante l’interruzione, alla data del 24.1.2013, del rapporto di collaborazione instaurato tra il comune di Villafrati e l’associazione citata.
Tale nota – a firma di NOME COGNOME funzionario comunale, integralmente disconosciuta dall’ente – è stata inviata al comune con mali del 23.9.2019 ed era funzionale ad attestare falsamente la durata del rapporto di convenzione tra l’associazione e il comune, “gonfiandola” a nove annualità, laddove tale rapporto si era protratto solo per l’anno 2004; ciò allo scopo di ottenere il rimborso di spettanze per un importo non dovuto e richiesto di 4.664 euro.
2.1. Il primo motivo di censura proposto dal ricorrente è privo di pregio.
Le Sezioni Unite hanno chiarito che la formazione della copia di un atto inesistente non integra il reato di falsità materiale, salvo che la copia assuma l’apparenza di un atto originale (Sez. U, n. 35814 del 28/03/2019, COGNOME, Rv. 276285).
In applicazione del principio la Corte ha ritenuto correttamente esclusa la configurabilità del reato in un caso di esibizione di una fotocopia di un’autorizzazione edilizia inesistente, riconoscibile come tale, priva di attestazione di autenticità e dei requisiti formali e sostanziali idonei a farla apparire come un atto originale.
Tuttavia, quando invece la fotocopia, per le sue caratteristiche in concreto, è idonea ad assumere le sembianze di un atto originale esistente da cui essa sia tratta, il reato di falso è configurabile.
Nel caso di specie, la fotocopia al centro della contestazione di reato di cui all’art. 482 cod. pen. riportava la firma del funzionario amministrativo che aveva sottoscritto, nel 2004, la convenzione tra il Comune e la Onlus di cui era legale rappresentante l’imputato; con essa si comunicava, con data 24.01.2013, l’interruzione del rapporto di convenzione tra le parti, in realtà già esaurito nel 2005 in quanto della durata di un anno e non protratta oltre, per una somma dovuta pari a soli 500 euro; la fotocopia recava, altresì, il timbro lineare del Comune e il timbro comunale.
Il documento, disconosciuto dall’ente, era idoneo a lasciar intendere agli uffici che l’associazione presieduta dal ricorrente aveva espletato i suoi servizi come da convenzione per nove annualità, piuttosto che per il solo anno 2004, come invece era realmente accaduto; e ciò allo scopo di ottenere il rimborso delle relative spese e, dunque, un ingiusto profitto per attività mai espletate.
Si tratta di elementi sufficienti ad integrare il reato di falsità in atti contestato anche in assenza del numero di protocollo, della cui mancanza si duole il ricorso e che non incide sull’idoneità dell’atto a trarre in inganno la pubblica fede (cfr., in una fattispecie analoga, Sez. 5, n. 14308 del 19/03/2008, COGNOME, Rv. 239490 01).
Del resto, dopo la pronuncia delle Sezioni Unite, altre sentenze sono intervenute a decidere, coerentemente ai principi ivi stabiliti, i casi concreti (cfr., tra le altre, Sez. 5, n. 11402 del 18/01/2021, COGNOME, Rv. 280731 – 01; Sez. 6, n. 45840 del 24/10/2024, COGNOME, Rv. 287339 – 03 e Sez. 5, n. 5374 del 24/9/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278657 – 01).
2.2. Il secondo motivo di ricorso, con cui si denuncia la mancata declaratoria di prescrizione del reato, è infondato.
Certamente si conviene con la prospettazione difensiva secondo cui il delitto di falsità materiale commessa dal privato in certificati o autorizzazioni amministrative (artt. 477 e 482 cod. pen.) si consuma con la semplice formazione del documento falso e non, come nel caso di falso in scrittura privata, con l’uso del documento falsificato (Sez. 5, n. 15470 del 12/01/2018, Armeni, Rv. 272681).
In astratto, dunque, sarebbe possibile porre la questione del tempo del commesso reato in relazione al decorso dei termini di prescrizione.
Tuttavia, il motivo è mal posto e generico proprio in ordine all’indicazione del momento in cui colloca la condotta delittuosa, abbinato all’individuazione compiuta nella sentenza emessa sulla competenza territoriale, cui il ricorrente si richiama, e non costruito sulle argomentazioni dei giudici di merito.
Ed invero, la sentenza impugnata ha espresso il convincimento, tratto dalle prove, che l’imputato si sia deciso a formare l’atto falso, inviando la richiesta di rimborso corredata dalla nota falsificata, mai prima di allora trasmessa, solo in data 14.09.2019, dopo due solleciti dell’ente a lui rivolti: il primo del 21.4.2015 e il secondo del 20.03.2019. L’amministrazione comunale ha attivato la denuncia dopo pochi giorni dalla ricezione della richiesta di rimborso con allegata la nota falsificata.
Dalla sentenza d’appello si comprende che il momento di formazione dell’atto falso – per come accertato dai giudici di merito – è coevo all’ultimo sollecito dell’ente, vale a dire successivo al 20.03.2019: ecco perché la Corte territoriale, forse mediante un riferimento non del tutto esplicito ma comunque comprensibile, ha ragionato in termini di uso di atto falso.
La sentenza impugnata ha inteso affermare, cioè, che la prova della datazione del falso, nel caso di specie, si ha solo quando l’atto viene trasmesso, poiché non risultano diversi elementi di prova che retrodatino la formazione dell’atto.
In altre parole, se mai, prima del suo uso, l’atto era stato inviato all’ente comunale, può desumersi che la sua “formazione”, cui si ancora il tempus commissi delicti, coincida con il suo uso, dal momento che i contenuti della fotocopia, completamente falsa, non possono considerarsi veritieri riguardo all’apparente data di emissione del documento.
Resta fermo, ovviamente, che, se aliunde fosse emerso e si fosse ritenuto provato che la datazione della formazione dell’atto falso era altra ed antecedente, il reato si sarebbe considerato commesso in quella data e non in quella dell’uso, come stabilisce la giurisprudenza della Corte di cassazione.
In tale visuale, se il secondo motivo di ricorso implica una richiesta di rivalutare l’accertamento fattuale sottostante alla sentenza impugnata, allora il ricorso è inammissibile, perché volto ad una rivalutazione dei risultati della piattaforma di prova, non consentita in sede di legittimità (cfr., tra le altre, Sez. 6, n. 5465 del 4/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601; Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, COGNOME, Rv. 265482).
2.3. Il terzo motivo, avente ad oggetto il mancato riconoscimento della causa di esclusione della punibilità prevista dall’art. 131-bis cod. pen., non tiene conto dell’argomentazione posta a fondamento della decisione dei giudici d’appello, che hanno considerato di ostacolo a ritenere il fatto di particolare tenuità le modalità esecutive dei reati, che denotano professionalità nell’agire, e l’esistenza di un’altra denuncia a carico del ricorrente per un analogo reato.
2.4. Anche il quarto motivo di censura è infondato
La Corte territoriale ha valutato congrua la pena inflitta dal giudice di primo grado e non concedibile la prevalenza delle circostanze attenuanti generiche,
rilevata la gravità del fatto, commesso ai danni di un ente pubblico, e la qua soggettiva del ricorrente, che agiva come rappresentante di un’associazione
ONLUS.
3. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento dell spese processuali.
P. Q. M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 11 aprile 2025.