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Falso in atto pubblico: quando la firma è concorso

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per concorso in falso in atto pubblico del direttore tecnico di un’impresa, per aver firmato un verbale di fine lavori che attestava falsamente il completamento di opere pubbliche. La sentenza chiarisce che la firma del direttore tecnico non è un atto secondario, ma un contributo materiale decisivo per la commissione del reato. Inoltre, viene ribadita la natura di atto pubblico del verbale di ultimazione lavori, respingendo la tesi difensiva che lo qualificava come semplice certificato.

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Pubblicato il 14 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Falso in atto pubblico: la firma del direttore tecnico sul verbale di fine lavori integra il concorso nel reato

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato un caso significativo in materia di appalti pubblici, facendo luce sulla responsabilità penale del direttore tecnico dell’impresa esecutrice. La pronuncia chiarisce quando la sottoscrizione di un verbale di ultimazione dei lavori, che attesti circostanze non veritiere, configuri un contributo penalmente rilevante al reato di falso in atto pubblico. Questo principio è fondamentale per definire i confini della responsabilità dei professionisti che operano nel settore delle opere pubbliche.

Il Caso: un Falso Verbale di Fine Lavori

La vicenda giudiziaria trae origine da un appalto per l’ampliamento di un canile municipale. Al termine dei lavori, il direttore dei lavori per conto del Comune e il direttore tecnico dell’impresa appaltatrice formavano e sottoscrivevano un “verbale di ultimazione dei lavori”. In tale documento si attestava falsamente che il direttore dei lavori aveva effettuato un sopralluogo, constatando la completa e regolare esecuzione delle opere.

In realtà, i lavori non erano stati ultimati. La Corte d’Appello, confermando la sentenza di primo grado, aveva ritenuto entrambi responsabili in concorso per il reato di falso ideologico in atto pubblico, previsto dall’art. 479 del codice penale.

I Motivi del Ricorso: Difesa Tecnica e Qualificazione Giuridica

Il direttore tecnico dell’impresa ha presentato ricorso in Cassazione, basando la sua difesa su tre argomenti principali:

1. Contributo non materiale: Sosteneva che la sua firma avesse il solo scopo di attestare l’effettività del (presunto) sopralluogo, senza incidere sul contenuto dell’attestazione di fine lavori. Affermava inoltre di non essere a conoscenza della qualifica di pubblico ufficiale del direttore dei lavori.
2. Errata qualificazione del reato: Riteneva che l’atto in questione fosse un semplice certificato amministrativo e non un atto pubblico. Di conseguenza, il reato avrebbe dovuto essere qualificato come falsità ideologica in certificati (art. 480 c.p.), una fattispecie meno grave che avrebbe potuto beneficiare della non punibilità per particolare tenuità del fatto.
3. Prescrizione: Lamentava il mancato riconoscimento dell’estinzione del reato per prescrizione, contestando il calcolo effettuato dai giudici di merito in relazione alla recidiva contestata.

La Decisione della Cassazione sul Falso in Atto Pubblico

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso, fornendo importanti chiarimenti su tutti i punti sollevati dalla difesa.

Il Contributo Materiale e la Consapevolezza

La Corte ha stabilito che la firma del direttore tecnico non era un mero atto formale. La normativa sugli appalti pubblici (nello specifico, l’art. 199 del d.P.R. 207/2010, applicabile all’epoca dei fatti) prevedeva che gli accertamenti finali dovessero avvenire “in contraddittorio con l’esecutore”. La sottoscrizione del direttore tecnico era quindi un atto per legge “decisivo” e causalmente significativo, che facilitava e rafforzava l’esecuzione del reato. La sua presenza e la sua firma erano indispensabili per conferire regolarità formale all’atto falso. Riguardo alla presunta ignoranza della qualifica di pubblico ufficiale del direttore dei lavori, la Cassazione ha ricordato che l’errore sulla legge penale non scusa.

Atto Pubblico vs. Certificato: una Distinzione Cruciale nel contesto del falso in atto pubblico

Questo è stato il punto centrale della decisione. I giudici hanno chiarito che, nonostante il nomen iuris di “certificato di ultimazione dei lavori”, l’atto in questione ha la natura sostanziale di atto pubblico. La distinzione non risiede nel nome, ma nella funzione e negli effetti dell’atto. Un certificato si limita ad attestare fatti già noti o documentati. L’atto pubblico, invece, documenta un’attività compiuta dal pubblico ufficiale o fatti avvenuti in sua presenza, ed è dotato di un’autonoma efficacia giuridica, capace di produrre effetti costitutivi, modificativi o estintivi su situazioni giuridiche di rilevanza pubblica. Nel caso di specie, il verbale non si limitava a riprodurre dati, ma era il risultato di un’attività di constatazione diretta e produceva effetti giuridici diretti sul rapporto tra stazione appaltante e impresa.

Recidiva e Prescrizione: Nessuna Estinzione del Reato

La Corte ha infine respinto la doglianza sulla prescrizione. Ha spiegato che la recidiva reiterata e specifica, anche se bilanciata con le attenuanti generiche, aumenta il massimo della pena previsto per il reato. Questo aumento incide sia sul termine di prescrizione ordinario sia su quello massimo in caso di interruzione. Il calcolo effettuato dai giudici di merito era quindi corretto e il reato non era ancora estinto.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su una rigorosa interpretazione della normativa e dei principi consolidati in giurisprudenza. La firma del rappresentante dell’impresa non è un atto passivo, ma un elemento essenziale del procedimento di verifica, richiesto dalla legge per garantire il contraddittorio. Privare questa firma di rilevanza penale significherebbe vanificare lo scopo della norma. La qualificazione dell’atto come pubblico deriva dalla sua funzione probatoria e dalla sua capacità di incidere su diritti e obblighi delle parti nel contratto d’appalto, configurando quindi un reato di falso in atto pubblico e non una fattispecie meno grave. L’errore sulla qualifica del co-autore del reato è stato correttamente inquadrato come irrilevante errore sulla legge penale.

Le Conclusioni

Questa sentenza ribadisce un principio di grande importanza pratica: i direttori tecnici e i legali rappresentanti delle imprese che operano con la pubblica amministrazione devono prestare la massima attenzione ai documenti che sottoscrivono. La firma apposta su un verbale di fine lavori non è una semplice formalità, ma un’attestazione che impegna la responsabilità personale, anche a livello penale. La decisione della Cassazione serve da monito: partecipare consapevolmente alla formazione di un atto che attesta il falso, anche se materialmente redatto da un pubblico ufficiale, integra a tutti gli effetti un concorso nel grave reato di falso in atto pubblico, con tutte le conseguenze sanzionatorie che ne derivano.

La firma del direttore tecnico dell’impresa sul verbale di fine lavori può configurare concorso nel reato di falso in atto pubblico?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, la firma del direttore tecnico, richiesta per legge a garanzia del contraddittorio, costituisce un contributo materiale e causalmente rilevante alla commissione del reato, in quanto è un atto decisivo per la regolarità della procedura e facilita l’esecuzione del falso.

Il “certificato di ultimazione dei lavori” è considerato un atto pubblico o un semplice certificato amministrativo?
È considerato un atto pubblico. La sua qualificazione giuridica non dipende dal nome, ma dalla sua funzione. Poiché consegue a un’attività di verifica diretta del pubblico ufficiale e produce effetti giuridici autonomi e costitutivi sui rapporti tra stazione appaltante e impresa, rientra nella nozione di atto pubblico ai sensi dell’art. 479 cod. pen.

La recidiva, anche se bilanciata con le attenuanti, incide sul calcolo della prescrizione del reato?
Sì. La recidiva reiterata, essendo una circostanza a effetto speciale, comporta un aumento della pena massima edittale. Questo aumento rileva ai fini del calcolo del termine di prescrizione, sia quello ordinario (art. 157 c.p.) sia quello massimo in caso di atti interruttivi (art. 161 c.p.), anche se in sede di commisurazione della pena viene bilanciata con le attenuanti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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