Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 26470 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 26470 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 20/06/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI BOLOGNA nel nel procedimento a carico di NOME Gaetano e da
COGNOME nato a Avellino il 08/03/1983
avverso la sentenza del 03/12/2024 della Corte d’appello di Bologna Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata quanto al trattamento sanzionatorio, con rideterminazione della pena e il rigetto del ricorso proposto da COGNOME uditi gli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME per l’imputato, che hanno chiesto l’accoglimento del proprio ricorso
RITENUTO IN FATTO
1. La sentenza impugnata è stata deliberata il 3 dicembre 2024 dalla Corte di appello di Bologna, che ha riformato in punto di trattamento sanzionatorio, mitigandolo, la sentenza del Tribunale di Parma, che aveva condannato NOME COGNOME Maresciallo della Guardia di Finanza all’epoca dei fatti a capo del Nucleo Mobile della Compagnia di Parma – per due episodi di falso in atto pubblico fidefacente commessi in occasione della redazione di due annotazioni di servizio – datate rispettivamente 20 e 23 dicembre 2017 – in cui dava atto delle informazioni ricevute da una fonte confidenziale; secondo le annotazioni, tale fonte, che si sarebbe poi rivelata essere NOME COGNOME un ex poliziotto in pensione, aveva riferito a Caliendo di avvenimenti verificatisi presso un’area di servizio che coinvolgevano NOME COGNOME un soggetto ritenuto dall’imputato di interesse investigativo – interesse poi smentito nell’ambito di un’indagine per lo sfruttamento della prostituzione.
In particolare era emerso che certamente gli incontri tra COGNOME e COGNOME erano stati documentati con annotazioni non redatte nelle date ivi indicate, ma a distanza di tempo e che gli incontri non erano avvenuti nel giorno indicato nelle annotazioni; tuttavia l’accertata falsità delle date era stata considerata inoffensiva dal Tribunale, che aveva dato rilievo pro reo alla prassi, non regolare ma tollerata, di redigere le annotazioni a distanza di tempo.
Il falso era stato, invece, ritenuto sussistente con riferimento ai contenuti delle due annotazioni.
Quanto alla prima (quella datata 20 dicembre 2017), entrambe le sentenze di merito concordano sul fatto che il contenuto dell’annotazione sarebbe non veridico perché la fonte 1) non aveva affermato che l’italiano avvistato presso l’area di servizio fosse NOME COGNOME perché non ne conosceva l’identità, 2) non aveva affermato che i rapporti tra quest’ultimo e il cittadino cinese con cui lo aveva visto parlare fossero “confidenziali” e 3) non aveva affermato che il predetto cittadino cinese aveva raccontato di avere, mesi addietro, gestito un centro massaggi a Fidenza.
A proposito della seconda annotazione (quella datata 23 dicembre 2017), mentre il Tribunale aveva ritenuto che essa fosse totalmente falsa perché l’incontro tra COGNOME e l’informatore non era mai avvenuto, la Corte di merito ha affermato, al contrario, che i due si erano visti ma che, anche in questo caso, l’annotazione era falsa nella parte in cui attribuiva a COGNOME l’indicazione nominativa dell’italiano come COGNOME e dei soliti rapporti “confidenziali” di quest’ultimo con cittadini cinesi.
Quanto al versante sanzionatorio, la Corte territoriale ha ridotto la pena di anni uno e mesi sei di reclusione inflitta all’imputato in primo grado in quella di anni uno e mesi due di reclusione, valorizzando, da una parte, la severità della
scelta sanzionatoria del primo Giudice, che era partito da una pena corrispondente al doppio del minimo edittale e, dall’altra, la complessità dell’indagine in cui il prevenuto era all’epoca impegnato, la dedizione che essa esigeva e l’assenza di conseguenze negative sia sulle investigazioni che su Angeloni discendenti dai falsi.
Avverso la predetta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione sia il Procuratore generale presso la Corte di appello di Bologna, sia l’imputato.
La parte pubblica ha lamentato violazione di norme processuali in quanto la pena era stata ridotta dalla Corte di appello nonostante non vi fosse motivo di appello dell’imputato sul trattamento sanzionatorio, giacché il gravame di merito contestava solo il giudizio di responsabilità.
Osterebbe alla decisione assunta dalla Corte distrettuale – si legge nel ricorso – il principio devolutivo sancito dall’art. 597, comma 1, cod. proc. pen. e l’eccentricità della decisione assunta rispetto ai poteri officiosi del Giudice di appello di cui all’art. 597, comma 5, codice di rito.
Il ricorrente precisa, inoltre, che non può valere a rendere devoluto il tema della sanzione il motivo nuovo di appello che la riguardi, per la regola generale per cui sono inammissibili i motivi nuovi che non si ricolleghino ad un capo o un punto della decisione avversata attinto dall’impugnativa principale.
Il ricorso presentato dall’imputato mediante i propri difensori di fiducia si compone di tre motivi.
4.1. Il primo motivo di ricorso lamenta violazione dell’art. 521 cod. proc. pen. per mancata correlazione tra l’imputazione e la sentenza, laddove la Corte di appello ha confermato la condanna quanto al falso nel contenuto delle due annotazioni.
Dopo aver ricordato che il pubblico ministero, nel formulare l’imputazione, aveva ipotizzato che la falsità risiedesse nel fatto che i due incontri tra COGNOME e l’informatore non erano mai avvenuti, il ricorrente postula che l’indicazione nel capo di imputazione del contenuto delle annotazioni sarebbe servito solo a distinguerle da altre, ma non a far ritenere contestata anche la falsità circa l’oggetto delle notizie fornite dal confidente all’imputato.
Di conseguenza – assume il ricorrente – nell’interrogatorio reso dinanzi al pubblico ministero, ci si era concentrati sull’effettivo verificarsi degli incontri e sulle relative date, mentre non se ne era affrontato il contenuto; anche la difesa aveva focalizzato la propria attenzione sull’epoca degli incontri, per dimostrare che quello del Maresciallo COGNOME era stato solo un errore di indicazione della
data. Tale falsità è stata tuttavia ritenuta innocua dai Giudici di merito, derivando da una prassi non regolare ma diffusa, di redigere le annotazioni in un momento successivo a quello in cui il fatto annotato si era verificato. Ciò nonostante, le sentenze di merito avevano compiuto quella che il ricorrente definisce una “brusca virata”, concentrando l’attenzione sul contenuto delle annotazioni, senza che ciò fosse oggetto di contestazione, ovvero senza che gli sviluppi investigativi avessero consentito all’imputato di comprendere che era necessario approntare una difesa specifica su questo aspetto.
Ciò posto, il ricorrente prosegue soffermandosi su alcuni aspetti del contenuto delle annotazioni, per dimostrare che non erano venuti in rilievo nell’istruttoria dibattimentale.
In particolare, quanto all’identità del conducente della Fiat Panda gialla (che era stata vista presso il distributore di carburante), il falso sarebbe altresì insussistente in quanto, quando COGNOME approntò l’annotazione, aveva già la certezza che si trattasse di COGNOME
Con riferimento alla gestione del centro massaggi, nel capo di imputazione non è riportata la frase che la fonte confidenziale avrebbe detto secondo la Corte di appello oggetto del falso – circa il fatto di «aver ascoltato che il cittadino cinese, mesi addietro, avrebbe gestito un centro massaggi in Fidenza», né di questa frase si era trattato nel corso del processo.
L’aggettivo “confidenziale” usato nelle annotazioni era stato male interpretato – prosegue il ricorso – e si esclude che l’imputato avesse potuto prevedere il significato che i Giudici di merito vi avevano attribuito, ossia di «contiguità con il contesto criminoso già oggetto delle indagini». Tanto più che la fonte confidenziale, escussa in dibattimento, non aveva mai chiarito cosa aveva riferito a COGNOME in ordine all’incontro tra COGNOME e il soggetto cinese, per cui non è da escludere che la fonte avesse potuto percepire che l’incontro fosse, appunto, confidenziale. D’altra parte, quando l’imputato aveva redatto l’annotazione di servizio incriminata, aveva già ricevuto due informazioni in ordine ai rapporti tra COGNOME e i cinesi che, essendosi dimostrati ripetitivi, ben potevano essere definiti “confidenziali”.
Il ricorrente conclude asserendo che la nullità ex art. 521 cod. proc. pen. può essere dedotta per la prima volta in Cassazione, pur non essendo stata denunciata in appello, perché si tratta di nullità assoluta. E comunque, per il reato di cui al capo B), la questione è venuta in rilievo per la prima volta in appello, in quanto il Tribunale aveva ritenuto che l’incontro non fosse proprio avvenuto.
4.2. Il secondo motivo di ricorso deduce mancanza, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione quanto al giudizio di responsabilità.
Premesso che, in sentenza si dà atto che:
gli incontri di NOME con la fonte confidenziale erano realmente avvenuti e le relative annotazioni erano state redatte nel gennaio 2018;
la redazione posticipata delle annotazioni integra un falso innocuo;
il 29 dicembre 2017 venne effettuata dal teste COGNOME l’interrogazione sulla targa della Panda gialla notata dalla fonte confidenziale, che era risultata riferibile ad COGNOME
il ricorrente contesta che la Corte di appello abbia ritenuto false le annotazioni nella parte in cui riportavano il nome di COGNOME come il soggetto italiano avvistato da COGNOME. Ciò, nonostante si trattasse effettivamente di COGNOME, come era risultato grazie all’accertamento circa l’intestatario della Panda gialla che l’informatore aveva visto presso il distributore di carburante, accertamento i cui risultati erano a conoscenza dell’imputato quando aveva redatto le due annotazioni.
La decisione avversata – prosegue il ricorrente – sarebbe illogica laddove aveva prima escluso l’offensività della condotta consistita nella redazione postuma e poi aveva riconosciuto rilievo penale ad un elemento del tutto veritiero, che doveva essere considerato con riguardo alla fase in cui le annotazioni erano state redatte.
La sentenza impugnata sarebbe altresì contraddittoria laddove non aveva considerato che anche l’indicazione del nome di NOME era innocua, così come il fatto che questi avesse rapporti con cittadini cinesi, perché si trattava, in entrambi i casi, di dati veri. La frase «la citata fonte riferiva che un soggetto di nome COGNOME NOME» – frase contenuta nell’atto di p.g. – non significava che era stata la fonte ad indicare a COGNOME il nome del soggetto, ma solo – in un’ottica di sintesi dell’annotazione – che questi era stato identificato nell’Angeloni.
Sarebbe errato altresì il significato attribuito dai Giudici di merito al termine “confidenziale” come “contiguo con il contesto criminale già oggetto delle indagini” e, comunque, da successive investigazioni di personale sottordinato all’imputato, era emersa una certa ripetitività degli incontri. Venendo alla questione della gestione del centro massaggi, si trattava di una circostanza del tutto veritiera emersa dalle indagini al momento in cui le due annotazioni erano state scritte.
4.3. Il terzo motivo di ricorso deduce vizio di motivazione quanto al trattamento sanzionatorio, perché la Corte di appello aveva ritenuto che il falso sul punto b), che il Tribunale aveva individuato nel fatto che l’incontro non si era mai tenuto, fosse insussistente, il che avrebbe dovuto condurre a ridurre proporzionalmente la pena.
Il 26 maggio 2025, i difensori dell’imputato hanno presentato una memoria di contrasto al ricorso del Procuratore generale presso la Corte di appello
CONSIDERATO IN DIRITTO
E’ fondato il ricorso del Procuratore generale, mentre quello dell’imputato è, nel suo complesso, infondato e va, pertanto, respinto.
Il ricorso del Procuratore generale è fondato giacché, effettivamente, nell’appello principale dell’imputato non vi era un motivo sul trattamento sanzionatorio, tema introdotto solo con motivo aggiunto.
Ebbene, in primo luogo va osservato che detto motivo nuovo di appello era inammissibile e, pertanto, il Giudice di appello non avrebbe potuto prenderlo in considerazione. Va ricordata, a questo riguardo, la giurisprudenza di questa Corte secondo cui sono inammissibili i motivi nuovi a sostegno dell’impugnazione, previsti nella disposizione di ordine generale contenuta nell’art. 585, quarto comma, cod. proc. pen., i quali devono avere ad oggetto i capi o i punti della decisione impugnata che sono stati enunciati nell’originario atto di gravame ai sensi dell’art. 581, lett. a), cod. proc. pen. (Sez. U, n. 4683 del 25/02/1998, COGNOME ed altri, Rv. 210259; Sez. 2, n. 17693 del 17/01/2018, COGNOME , Rv. 272821; si vedano altresì Sez. 2, n. 53630 del 17/11/2016, Braidic, Rv. 268980; Sez. 5, n. 4184 del 20/11/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 262180 e Sez. 6, n. 73 del 21/09/2011, dep. 2012, Aguì, Rv. 251780, che hanno ribadito il principio anche quanto alle circostanze aggravanti).
Né può sostenersi che l’appello principale – che riguardava solo il giudizio di responsabilità – avesse investito la Corte di appello anche del vaglio del trattamento sanzionatorio, essendo principio sedimentato nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo cui il principio devolutivo e le norme che impongono, a pena di inammissibilità, la specificità dei motivi ostano a che l’impugnazione della decisione in punto di responsabilità sia intesa come implicitamente comprensiva della doglianza relativa al trattamento sanzionatorio (Sez. 4, n. 9175 del 11/01/2024, COGNOME, Rv. 285872 – 01; Sez. 4, n. 46584 del 06/10/2004, COGNOME, Rv. 230402 – 01). All’enunciazione del principio suddetto si è altresì accompagnata la puntualizzazione secondo cui, in mancanza di uno specifico motivo, il giudice d’appello non può procedere d’ufficio alla riduzione della pena, anche perchè la facoltà riconosciutagli dal quinto comma
dell’art. 597 cod. proc. pen. è circoscritta all’applicazione di ufficio dei benefici e delle attenuanti ivi indicate (Sez. 6, n. 7994 del 17/06/2014, dep. 2015, Riondino, Rv. 262455 – 01).
Da tanto consegue la necessità di annullare senza rinvio la sentenza impugnata quanto al trattamento sanzionatorio, che deve essere nuovamente ricondotto a quello stabilito dal Tribunale di anni uno e mesi sei di reclusione.
Il ricorso dell’imputato va, invece, respinto, alla luce dell’infondatezza dei motivi che lo compongono.
Il primo motivo di ricorso lamenta la violazione dell’art. 521 cod. proc. pen. perché – si sostiene – le contestazioni formulate dal pubblico ministero avrebbero riguardato solo la falsità concernente l’effettivo verificarsi degli incontri di Caliendo con la fonte confidenziale e le relative date, oltre che quelle delle annotazioni stesse, mentre, invece, la Corte di appello (e, in parte, il Tribunale) ha ritenuto che gli incontri fossero realmente avvenuti e ha reputato penalmente irrilevante la loro datazione e quella delle annotazioni, focalizzando l’attenzione e condannando il prevenuto per la falsità del contenuto dei due atti di polizia giudiziaria, con conseguente immutazione del fatto.
Ebbene, il ricorso è, in parte qua, complessivamente infondato per diverse, concorrenti ragioni.
3.1. La prima, in ordine di priorità logico-giuridica, riguarda l’intempestività dell’eccezione di nullità, quantomeno con riferimento al segmento sub a) della contestazione (quello relativo all’annotazione del 20 dicembre 2017 rispetto all’incontro descritto come avvenuto il precedente giorno 18). La tardività dell’eccezione discende dal fatto che già il Giudice di prime cure aveva stimato che l’incontro si fosse effettivamente verificato e che COGNOME lo avesse falsamente documentato quanto ai suoi contenuti, sicché la pretesa divergenza tra contestazione e condanna, rilevante ex art. 522 cod. proc. peri., si sarebbe già materializzata con la decisione del Tribunale e, ciò nonostante, non era stata dedotta in appello. A questo riguardo deve, infatti, trovare applicazione il principio sedimentato nella giurisprudenza di questa Corte secondo cui la nullità di cui all’art. 522 cod. proc. pen. è di ordine generale a regime intermedio (ex multis, Sez. 4, n. 19043 del 29/03/2017, Privitera, Rv. 269886; Sez. 5, n. 572 del 30/09/2013, dep. 2014, Scano e altro, Rv. 258709), sicché, a norma dell’art. 180 cod. proc. pen., se si è verificata nel giudizio, può essere rilevata – o eccepita – fino alla sentenza del grado successivo. Come anticipato, i tempi dettati dalla norma suddetta non sono stati osservati, giacché la pretesa
difformità tra contestazione e addebito ritenuto in sentenza è stata denunziata solo con il ricorso per cassazione.
3.2. La seconda ragione di reiezione del ricorso è che non sussiste una difformità processualmente rilevante tra l’imputazione e il fatto ritenuto in sentenza sia quanto al segmento sub a) che a quello sub b) della contestazione, giacché il capo di imputazione ha una portata ampia, che ricomprende la chiara enunciazione anche della falsità del contenuto delle annotazioni. Nella descrizione dell’addebito, infatti, se è vero che vi è la specificazione che, secondo il pubblico ministero, gli incontri documentati negli scritti non erano proprio avvenuti, ne è chiaramente enunciato anche il contenuto ed è precisato che esso era da ritenersi falso, il che individuava l’oggetto della mistificazione anche con riferimento al contenuto dei colloqui.
D’altra parte, la rigidità con cui il ricorrente legge la regola di cui agli artt. 521 e 522 codice di rito non è in linea con l’esegesi che ne ha offerto questa Corte, anche a Sezioni Unite. Secondo il Supremo consesso, infatti, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, COGNOME, Rv. 248051; Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, COGNOME, Rv. 205619; in termini, cfr. Sez. 3, n. 7146 del 04/02/2021, Ogbeifun Hope, Rv. 281477; Sez. 2, n. 34969 del 10/05/2013, COGNOME e altri, Rv. 257782; Sez. 5, n. 9347 del 30/01/2013, COGNOME e altro, Rv. 255230; Sez. 6, n. 6346 del 09/11/2012, dep. 2013, COGNOME e altri, Rv. 254888; nonché le motivazioni di Sez. 5, n. 31680 del 22/05/2015, COGNOME, Rv. 264673). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Volendo schematizzare al massimo il principio enunciato, ciò che rileva, dunque, non è il dato “secco” dell’assenza, nella contestazione, del segmento fattuale per cui è intervenuta condanna, ma la concreta verifica se, rispetto a questo novum, l’imputato abbia potuto esercitare le proprie prerogative difensive.
Ebbene, il confronto tra la descrizione del fatto contenuta nel capo di imputazione e la configurazione dell’addebito venuta in rilievo nei giudizi di merito non evidenzia una frattura processualmente rilevante tra la contestazione
e il riconoscimento di responsabilità, nel senso che la difesa è stata posta in condizione di discutere anche rispetto ai contenuti delle annotazioni trattandosi del tema che veniva in rilievo una volta verificato l’an degli incontri non potendo, di contro, attribuirsi rilievo alle eventuali scelte della difesa stessa rispetto ai temi fatti oggetto della propria strategia difensiva. Peraltro la prospettazione difensiva tesa a sminuire l’ambito dell’istruttoria dibattimentale è smentita dall’esame della sentenza di primo grado, da cui si evince che detta istruttoria non aveva riguardato solo l’an di quegli incontri ma anche quello che la fonte aveva riferito a NOME.
L’unico aspetto che evidenzia uno scollamento tra la contestazione e il fatto ritenuto in sentenza è quello concernente il riferito di COGNOME quanto al fatto di avere ascoltato, in occasione del primo dei due incontri, che il cittadino cinese aveva affermato di avere gestito, mesi addietro, un centro massaggi a Fidenza, aspetto che effettivamente non è indicato nel capo di imputazione.
Tuttavia ciò non mina la tenuta complessiva della sentenza impugnata, sia perché l’eccezione di nullità per quanto concerne il segmento sub a), come chiarito al superiore § 1.1., è preclusa dal decorso del termine di deducibilità di cui all’art. 180 cod. proc. pen., sia perché si tratta solo di una delle diverse informazioni falsamente indicate come riportate a Caliendo dalla fonte confidenziale.
4. Anche il secondo motivo di ricorso è infondato.
4.1. In questa porzione dell’impugnativa COGNOME sostiene la tesi dell’insussistenza del reato, in primo luogo, perché le circostanze che sarebbero state falsamente attestate nelle annotazioni come rivelazioni della fonte sarebbero state comunque vere, come era risultato da accertamenti di p.g. svolti dopo i colloqui tra COGNOME e COGNOME e prima della stesura delle annotazioni. Tali accertamenti di p.g. – assume il ricorrente – erano stati quindi utilizzati nella redazione degli atti, sicché COGNOME aveva dato un nome al soggetto con la Panda gialla che COGNOME aveva visto colloquiare con il cittadino orientale individuandolo in NOME COGNOME, aveva inserito la riferibilità allo straniero della frase circa la pregressa gestione del centro massaggi di Fidenza e aveva definito “confidenziali” i rapporti tra COGNOME e lo straniero. Detto altrimenti, le annotazioni non sarebbero false benché esse non dessero atto di quello che aveva detto COGNOME, perché comunque si trattava di fatti oggettivamente verificati grazie alle indagini svolte tra il giorno degli incontri e quello in cui l annotazioni erano state stilate, quanto al nome di NOME, alla gestione del centro massaggi da parte del soggetto orientale e alla natura confidenziale dei rapporti tra i due uomini visti da COGNOME colloquiare nell’area di servizio.
Ebbene, le argomentazioni critiche non colgono nel segno, dal momento che l’oggetto del falso non è la veridicità delle informazioni veicolate dalla fonte, ma che quest’ultima le avesse fornite a COGNOME nei termini descritti nelle annotazioni. In altre parole, non rileva in senso difensivo che l’italiano visto colloquiare con il soggetto orientale fosse effettivamente COGNOME, ma che l’informatore di COGNOME glielo avesse indicato nominativamente, mentre è indiscusso che COGNOME avesse solo descritto l’uomo e l’autovettura usata, senza fornirne i dati identificativi, che erano emersi solo grazie ad accertamenti di p.g. avvenuti tra la data degli incontri tra Caliendo e COGNOME e quella in cui le annotazioni erano state redatte. Lo stessi dicasi per la gestione del centro massaggi da parte dell’individuo straniero, che non rileva come notizia in sé, ma per il fatto che fosse stata indicata da COGNOME il quale, invece, non l’aveva mai rivelata a Caliendo. Discorso analogo è a farsi quanto al secondo versante della doglianza contenuta nel motivo in esame, quello che attiene al significato da attribuire al termine “confidenziali” utilizzato nelle annotazioni per descrivere i rapporti tra COGNOME e l’individuo straniero con cui parlava: anche in questo caso non occorre interrogarsi sulla eventuale verifica investigativa postuma della ripetitività dei contatti tra COGNOME e il soggetto cinese per trarne che, effettivamente, essi fossero confidenziali, ma su quanto riferito al ricorrente dalla fonte che, come chiarito nella sentenza impugnata, non aveva definito in questi termini le conversazioni a cui aveva assistito. Peraltro, mentre sembra processualmente accertato che il soggetto con la Panda gialla avvistato da COGNOME presso il distributore di carburante fosse effettivamente COGNOME, non è altrettanto chiaro se, in questo processo, sia emerso che effettivamente il predetto COGNOME avesse rapporti tali da poter essere definiti “confidenziali” con il soggetto cinese con cui COGNOME lo aveva visto parlare.
4.2. Sono queste le ragioni per cui il ricorso è da ritenersi infondato; a questo riguardo, il tentativo dell’imputato di ricondurre le condotte poste in essere all’ipotesi del falso innocuo va respinto, dal momento che l’attribuzione alla fonte confidenziale di informazioni che quest’ultima non aveva mai riferito nei termini descritti nelle annotazioni non sarebbe mai innocuo, a prescindere dalla verità oggettiva delle informazioni, perché – facendo tesoro delle coordinate ermeneutiche enucleate dalla giurisprudenza di questa Corte sul punto (da ultima, Sez. 5, n. 5896 del 29/10/2020, dep. 2021, Brisciano, Rv. 280453 – 01) – l’infedele attestazione non è del tutto irrilevante ai fini del significato dell’atto e esplica effetti sulla sua funzione documentale, che è quella di dare atto, in termini precisi, del contenuto delle notizie confidenziali ricevute dall’informatore.
5. Il terzo motivo di ricorso lamenta la mancata riduzione della pena, che, secondo la parte, sarebbe dovuta conseguire al
revirement della Corte di appello,
consistito nell’avere escluso la falsità
sub b) per come ritenuta dal Tribunale,
avendo concluso che, contrariamente a quanto sostenuto da quest’ultimo, il secondo incontro tra Caliendo e COGNOME si era tenuto.
Ebbene, il ricorso è infondato in quanto la divergenza tra le due sentenze di merito non ha condotto ad escludere la responsabilità dell’imputato per il
secondo segmento di contestazione, dal momento che la Corte territoriale, rapportandosi con il capo di imputazione elevato dal pubblico ministero, che
lasciava spazio anche all’addebito circa il contenuto delle informazioni veicolate, ha riconosciuto l’imputato comunque responsabile del falso nei contenuti
dell’annotazione non già quanto all’effettivo verificarsi dell’incontro, ma al tipo di informazioni passate da COGNOME a Caliendo.
D’altronde, a prescindere dalle conclusioni cui era giunto il Tribunale, la
Corte di appello è Giudice del merito e, quindi, in questa veste, può
reinterpretare i fatti, con il solo limite di rispettare la devoluzione [e il tema della sub
responsabilità anche per il reato b) era stato devoluto] e di non dare luogo
ad una reformatio in peius. In questo caso, Tribunale e Corte di appello hanno entrambi ritenuto il prevenuto responsabile, solo che hanno diversamente interpretato i fatti, il Tribunale ritenendo che l’incontro non fosse mai avvenuto, la Corte di appello reputando che esso si fosse tenuto, ma che la fonte non avesse detto a Caliendo quello che, invece, l’informativa le attribuiva.
Il ricorso dell’imputato deve, dunque, essere respinto e il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio nei confronti di NOME GaetanoCOGNOME che ripristina in anni uno e mesi sei di reclusione. Rigetta il ricorso di NOME NOME e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così è deciso, 20/06/2025
Il Consigliere estensore
GLYPH
Il Presidente
R A COGNOME
CORTE
DI
• NOME COGNOME