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Falso in atto pubblico: la Cassazione sul concorso

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per falso in atto pubblico in concorso a carico di quattro persone, tra cui un Carabiniere e suo figlio, per aver simulato un incidente stradale e falsificato i relativi verbali. La sentenza chiarisce i criteri per la prova del concorso di persone nel reato, la natura di atto fidefaciente dei verbali dei Carabinieri e l’impossibilità di considerare il falso come “innocuo” quando l’atto è idoneo a ledere la fede pubblica, anche se non utilizzato per lo scopo finale.

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Pubblicato il 19 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Falso in Atto Pubblico in Concorso: La Cassazione Conferma la Condanna per Incidente Simulato

Con la sentenza in esame, la Corte di Cassazione affronta un complesso caso di falso in atto pubblico commesso in concorso da più persone, tra cui un pubblico ufficiale, al fine di simulare un incidente stradale per ottenere un risarcimento assicurativo. La decisione offre importanti chiarimenti sulla prova del concorso di persone, sulla natura dei verbali dei Carabinieri e sul concetto di “falso innocuo”.

La Vicenda Giudiziaria: Il Falso per Frode Assicurativa

La vicenda trae origine da un presunto incidente stradale che, secondo le indagini, non si è mai verificato. Per dare una parvenza di realtà all’evento e avviare la pratica di risarcimento, veniva falsificata la documentazione ufficiale dell’Arma dei Carabinieri. Nello specifico, venivano creati ex novo un ordine di servizio e un verbale di rifiuto di intervento, attestando falsamente l’intervento di una pattuglia sul luogo del sinistro e la presenza delle persone coinvolte.

Il piano vedeva la partecipazione di quattro figure: un Maresciallo dei Carabinieri come istigatore, un altro Carabiniere come esecutore materiale della falsificazione, e i due finti “danneggiati” (tra cui il figlio del Maresciallo) come concorrenti morali e beneficiari finali della frode. Sebbene l’accusa di frode assicurativa fosse stata archiviata per remissione della querela da parte della compagnia, rimaneva in piedi la grave accusa di concorso in falso in atto pubblico.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

I quattro imputati, condannati sia in primo che in secondo grado, hanno presentato ricorso in Cassazione sollevando diverse obiezioni. Le difese contestavano principalmente la mancanza di prove concrete sulla partecipazione di ciascuno al reato, sostenendo che le condanne si basassero su elementi logici insufficienti come il principio del cui prodest (a chi giova?). Veniva inoltre messa in discussione l’utilizzabilità dei tabulati telefonici e la qualificazione giuridica dei fatti. L’esecutore materiale, infine, sosteneva la tesi del cosiddetto “falso innocuo”, affermando che i documenti falsi erano irrilevanti ai fini della pratica assicurativa e quindi inidonei a ledere la fede pubblica.

L’Analisi della Corte sul Falso in Atto Pubblico e il Concorso

La Suprema Corte ha rigettato tutti i ricorsi, confermando integralmente la sentenza d’appello e fornendo una motivazione dettagliata su tutti i punti controversi.

La Prova del Concorso e il Criterio del “Cui Prodest”

La Corte ha ribadito che la prova del concorso di persone in un reato non richiede necessariamente la dimostrazione di un patto criminale esplicito. Può essere desunta da un insieme di elementi logici e fattuali, valutati nel loro complesso. Nel caso di specie, la responsabilità dei concorrenti è stata provata attraverso un quadro probatorio composito: le dichiarazioni confessorie dell’esecutore materiale, i tabulati telefonici che smentivano la presenza sul luogo del sinistro, le cartelle cliniche sospette, e le conversazioni intercettate che rivelavano il ruolo di istigatore del Maresciallo. Il criterio del cui prodest, pur non essendo sufficiente da solo, diventa un elemento di prova decisivo quando, come in questo caso, è supportato da una pluralità di altri riscontri oggettivi.

La Natura Fidefaciente degli Atti Falsificati

Un punto centrale della decisione riguarda la natura degli atti falsificati. La Cassazione ha confermato che sia l’ordine di servizio che il verbale di intervento redatti da un pubblico ufficiale sono atti pubblici fidefacienti. Questo significa che godono di una speciale forza probatoria: attestano con fede privilegiata non solo gli ordini impartiti e le attività svolte, ma anche i fatti che il pubblico ufficiale dichiara di aver compiuto o che sono avvenuti in sua presenza. La falsificazione di tali documenti costituisce quindi un reato grave perché mina la fiducia della collettività nella veridicità degli atti della pubblica amministrazione.

L’Inammissibilità del “Falso Innocuo”

La difesa basata sul “falso innocuo” è stata nettamente respinta. Secondo la Corte, un falso non è “innocuo” solo perché, in concreto, non ha raggiunto lo scopo per cui era stato creato. La punibilità del reato non dipende dall’uso che viene fatto del documento, ma dalla sua astratta idoneità a ingannare e a ledere la fede pubblica. Nel caso esaminato, i verbali falsi erano intrinsecamente idonei a provare, in un eventuale giudizio civile, la realtà di un sinistro mai avvenuto, integrando così pienamente la lesione al bene giuridico tutelato dalla norma.

Le motivazioni

La Corte ha ritenuto le motivazioni dei giudici di merito logiche e coerenti, sottolineando come la responsabilità di ciascun imputato emergesse chiaramente dalla valutazione unitaria e non parcellizzata delle prove. Il contributo di ciascuno è stato ritenuto essenziale: l’istigazione e la regia del Maresciallo, l’esecuzione materiale del Carabiniere, e la fornitura dei dati personali e il beneficio economico da parte degli altri due concorrenti. La Corte ha inoltre confermato la piena utilizzabilità dei tabulati telefonici, in quanto corroborati da numerosi altri elementi di prova, e ha giudicato corretta la qualificazione del fatto come concorso in falso, escludendo ipotesi meno gravi come il favoreggiamento. Infine, ha ritenuto adeguatamente motivato il diniego delle attenuanti generiche e il bilanciamento delle circostanze, data la gravità dei fatti e il ruolo ricoperto dai pubblici ufficiali.

Le conclusioni

La sentenza ribadisce principi fondamentali in materia di reati contro la fede pubblica. In primo luogo, il concorso di persone può essere provato anche attraverso elementi logici e indiretti, purché formino un quadro d’insieme coerente e solido. In secondo luogo, i documenti redatti dai Carabinieri nell’esercizio delle loro funzioni, come ordini di servizio e verbali, sono atti pubblici dotati di fede privilegiata, e la loro falsificazione è un reato di particolare gravità. Infine, la tesi del “falso innocuo” ha un’applicazione molto limitata e non può essere invocata quando il documento falso ha la capacità, anche solo potenziale, di ingannare e produrre effetti giuridici.

Quando un “falso” può essere considerato non punibile (“innocuo”)?
Secondo la sentenza, un falso è “innocuo” solo quando l’infedele attestazione o l’alterazione sono del tutto irrilevanti ai fini del significato dell’atto e non hanno alcun effetto sulla sua funzione documentale. Non rileva l’uso concreto che viene fatto del documento, ma la sua idoneità ad ingannare la fede pubblica.

Come viene provata la partecipazione di più persone a un reato di falso in atto pubblico?
La prova del concorso di persone può essere desunta non solo da prove dirette, ma anche da un insieme di elementi logici e fattuali coerenti tra loro. La Corte specifica che il giudice deve valutare unitariamente tutte le prove (dichiarazioni, intercettazioni, tabulati, il movente economico) per ricostruire il contributo, anche solo morale o preparatorio, di ciascun concorrente alla realizzazione del reato.

Un verbale dei Carabinieri è sempre un atto pubblico “fidefaciente”?
Sì, la sentenza conferma che sia l’ordine di servizio interno sia il verbale di operazioni compiute (in questo caso un verbale di “rifiuto di intervento”) sono atti pubblici fidefacienti. Essi fanno piena prova di quanto il pubblico ufficiale attesta di aver fatto o di ciò che è avvenuto in sua presenza, fino a querela di falso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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