Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 17659 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA Relatore: COGNOME NOME COGNOME
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 5 Num. 17659 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/04/2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
QUINTA SEZIONE PENALE
Composta da
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
Presidente –
Sent. n. sez. 475/2025
Relatore –
UP – 10/04/2025
R.G.N. 8431/2025
NOME
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a PALERMO il 04/06/1970
avverso la sentenza del 17/10/2024 della Corte d’appello di Palermo
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso; udito il difensore, Avv. NOME COGNOME che ha insistito per l’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 17 ottobre 2024, la Corte di appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza del locale Tribunale, dichiarava non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME per i delitti meglio indicati in dispositivo, consumati nel corso del 2015, e rideterminava la pena per i residui delitti, commessi negli anni successivi, nella misura complessiva di anni 2, mesi 11 e giorni 12 di reclusione.
Al COGNOME, carabiniere, appuntato scelto presso la Stazione di Borgetto (in provincia di Palermo), eletto nell’organo di rappresentanza militare Co.Ce.R. (il Consiglio Centrale di Rappresentanza dell’Arma dei Carabinieri ed Interforze), erano stati contestati una pluralità di reati rubricati ai sensi degli artt. 483, 48 e 479 cod. pen. e 234 c.p.m.p. (codice penale militare di pace), per le false attestazioni compiute (nei fogli di viaggio e nel memoriale della Stazione di appartenenza) in relazione alle sue trasferte a Roma presso il Co.RAGIONE_SOCIALE, lucrandone illecitamente le relative indennità.
1.1. La Corte di merito, in risposta ai dedotti motivi di appello, osservava quanto segue.
Rigettava l’istanza della difesa di riapertura dell’istruttoria dibattimentale volta ad ottenere una perizia tecnico-contabile che accertasse il danno patito dall’amministrazione, considerando che già la relazione redatta dalla Sezione amministrativa dei Gruppo Carabinieri di Palermo, in atti, aveva consentito di quantificare gli importi illecitamente lucrati dal prevenuto.
Quanto al merito, dovevano ritenersi concretati i contestati delitti di falso (e la conseguente competenza del giudice ordinario, rispetto al giudice militare, in ragione della contestazione del falso ideologico per induzione, reato più grave della truffa militare), avendo l’imputato falsamente attestato, nei ‘fogli di viaggio’ – aventi natura di atto pubblico – di avere compiuto le missioni indicate come rappresentante del Co.Ce.R., missioni in realtà non effettuate (così consumando il delitto di cui all’art. 483 cod. pen.), con la conseguente annotazione delle trasferte nel memoriale di servizio della Stazione, la cui natura di atto pubblico era stata riconosciuta dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 45441/2019), così consumando, anche, il delitto di cui agli artt. 48 e 479 cod. pen.
In concreto, l’imputato aveva, nelle occasioni riportate nelle imputazioni, falsamente dichiarato di essersi recato a Roma per i suoi compiti di delegato al Co.Ce.R., compilando il relativo foglio di viaggio che il suo diretto superiore doveva completare, per poi annotare la trasferta del militare nel memoriale delle attività di servizio svolte dai suoi subordinati.
Quanto alla prova della falsità di quanto attestato, era indiscutibilmente emerso come, nelle occasioni indicate in imputazione, l’imputato non si fosse recato a Roma ma fosse rimasto in Sicilia, pur avendo richiesto le indennità ed i rimborsi spese apparentemente conseguenti alla non effettuata trasferta.
I predetti falsi (ex art. 483 cod. pen. in relazione ai figli di viaggio ed ex artt. 48 e 479 cod. pen. in relazione al memoriale della Stazione) avevano poi costituito quegli artifici e raggiri che avevano consentito all’imputato di lucrare l’ingiusto profitto delle indennità e dei rimborsi-spese ricevuti per le inesistenti trasferte.
Si era pertanto configurata anche la contestata ipotesi di truffa militare.
Propone ricorso l’imputato, a mezzo del proprio difensore Avv. NOME COGNOME articolando le proprie censure in cinque motivi.
2.1. Con il primo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione all’omessa motivazione, da parte della Corte di merito, che si era limitata a richiamare per relationem le argomentazioni spese dal Tribunale, in particolare in ordine alla configurabilità dei delitti rubricati ai sensi degli artt. 48 e 479 cod. pen.
2.2. Con il secondo motivo lamenta la violazione di legge ed il difetto di motivazione in riferimento alla ritenuta natura di atto pubblico dei ‘fogli di viaggio’ redatti dall’imputato e ritenuti ideologicamente falsi.
I fogli di viaggio, infatti, non sono attestativi dell’attività del militare ma attengono al solo rapporto di lavoro fra il medesimo e l’ente di appartenenza.
Come hanno precisato plurimi arresti della Corte di cassazione in ordine ai ‘fogli di servizio’ (da cui non si discostano i ‘fogli di viaggio’): n. 8426/2013, 41426/2018, 2248/2019.
Affermazione condivisa anche dalle Sezioni unite, con la sentenza n. 15983/2006, in cui si erano ricondotte tali attestazioni al rapporto di lavoro, di natura privatistica, fra il dipendente pubblico e l’ente di appartenenza.
2.3. Con il terzo motivo denuncia l’insussistenza del reato di falso, e, in subordine, invoca la derubricazione del falso ideologico per induzione nelle ipotesi gradate di cui agli artt. 483 e 480 cod. pen. (con la conseguente competenza a decidere del giudice militare).
Il mandato al Co.Ce.R. si svolge senza limitazione di tempo e con piena esenzione dai turni di servizio per cui la presenza dell’imputato in Sicilia, sebbene fosse stato autorizzato a recarsi a Roma, non concretava il contestato delitto.
Così che il superiore gerarchico non poteva neppure essere indotto in errore non dovendo compiere alcun controllo, dovendo limitarsi a prendere atto della missione indicatagli dal militare.
Si trattava, infatti, quella inserita nel ‘foglio di viaggio’ (e poi riportata nel ‘memoriale di servizio’), di una mera dichiarazione di dati e fatti, che vengono registrati senza poteri autorizzativi o attestativi, così da configurare, se del caso, il solo delitto di cui all’art. 483 cod. pen. o, se i dati medesimi erano stati riportati in certificazioni o autorizzazioni, quello di cui all’art. 480 cod. pen.
Ogni settimana l’imputato era convocato a Roma in trasferta, a cagione del suo ruolo di rappresentante CoRAGIONE_SOCIALE, ed il suo superiore gerarchico non poteva che prenderne atto e, conseguentemente, emettere il foglio di viaggio limitandosi a registrare quanto riferitogli dall’imputato.
Dalla derubricazione delle condotte contestate ai sensi degli artt. 48 e 479 cod. pen. derivava che il delitto più grave diveniva quello di truffa militare con la conseguente competenza del giudice militare.
2.4. Con il quarto motivo lamenta la mancata assunzione di una prova decisiva, in riferimento al delitto di truffa militare.
Non era stata raggiunta la prova che l’imputato non avesse assolto ai suoi compiti di rappresentanza. Egli, nello svolgerli, godeva di ampia libertà, senza limiti di tempo, senza dover rispettare alcun turno di servizio
Era in posizione di fuori-ruolo.
Né si era data prova del danno patrimoniale subito dall’amministrazione e del correlativo ingiusto profitto conseguito dal prevenuto.
Si era contestata la relazione del Comando carabinieri di Sicilia con apposita consulenza tecnica che ne aveva chiarito l’inadeguatezza e, ciò nonostante, la Corte di merito non aveva disposto la perizia tecnica richiesta.
2.5. Con il quinto motivo eccepisce la competenza a decidere del giudice militare, posto che, con l’esclusione del delitto di falso per induzione o con la sua derubricazione, diveniva più grave il delitto di truffa militare.
Il Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte, nella persona del sostituto NOME COGNOME ha inviato una memoria scritta in cui ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso presentato nell’interesse dell’imputato è manifestamente infondato.
1. Le censure del ricorrente muovono dalla sostanziale affermazione che l’imputato, quale delegato eletto nel Co.Ce.R. (l’organo sia interforze, sia in rappresentanza di ciascuna Arma, creato dalla legge 11 luglio 1978 n. 382 ed ora superato, e quindi abrogato, dalla legge del 28 aprile 2022 n. 46 e dal d.lgs. del 24 novembre 2023, che hanno riconosciuto ai militari una più ampia libertà sindacale, che comprende la possibilità di costituire proprie associazioni sindacali, sia che i militari appartengano alle Forze armate, sia che siano inquadrati nelle Forze di polizia a ordinamento militare), dovesse considerarsi un ‘fuori ruolo’ (così nel quinto motivo di ricorso) rispetto al suo stesso incardinamento nell’Arma dei Carabinieri ed al servizio reso presso la Stazione dei carabinieri di Borgetto.
Nulla, invece, di meno esatto.
Già, infatti, con il d.P.R. del 4 novembre 1979 n. 691, emesso in attuazione della già citata legge n. 378/1992, si era precisato, all’art. 12 (con la rubrica ‘ facoltà e limiti del mandato ‘, si intendeva dei rappresentanti Co.Ce.R.), che:
‘ i militari eletti quali delegati rappresentano le categorie di appartenenza nei consigli dei quali fanno parte.
Tutte le operazioni inerenti le rappresentanze militari sono svolte dal personale ‘per motivi di servizio’.
Il mandato, il cui esercizio è limitato alle attività previste dal presente regolamento, non esime i delegati dai doveri inerenti il proprio stato di militare.
I membri dei consigli di rappresentanza devono essere messi in condizione di espletare le funzioni per le quali sono stati eletti ed avere a disposizione il tempo che si renda necessario, fatte salve le esigenze operative e quelle di servizio non altrimenti assolvibili’ .
L’intera materia – della rappresentanza militare costituita dal Co.Ce.R. (quale organo centrale e da altri organi, diversamente nominati, nei territori) – veniva poi rivisitata in sede di adozione del Testo unico dell’ordinamento militare (con il d.P.R. 15 marzo 2010 n. 90), al cui art. 882 si ripetevano, pressoché identiche (con l’eccezione nominalistica più che di contenuto del terzo paragrafo che veniva così riformulato: l’esercizio del mandato è limitato alle attività previste dal regolamento e non sottrae i delegati ai diritti e ai doveri derivanti dal proprio stato militare) , le disposizioni sopra ricordate.
Testo unico che era vigente al momento dei fatti contestati all’imputato.
Ed è allora evidente come un rappresentante CoRAGIONE_SOCIALE, come era il prevenuto, non fosse affatto paragonabile ad un ‘fuori-ruolo’ ma mantenesse pienamente il suo incardinamento nel Corpo, e non solo nell’Arma ma anche nella Stazione di appartenenza, visto che:
– gli impegni relativi allo svolgimento del mandato rientravano nei ‘motivi di servizio’ (il virgolettato era riportato anche nel citato Testo unico) e i delegati non erano esentati
dai doveri (oltre che godere dei diritti) derivanti dal proprio stato militare, nel caso di specie, di militare dell’Arma dei carabinieri;
seppure i diretti superiori (fra i quali il Comandante di Stazione, che contribuiva a compilare il foglio di viaggio ed annotava la trasferta nel memoriale di servizio) dovessero tenere conto dei relativi impegni del militare, gli stessi potevano e dovevano essere vagliati dal momento che potevano divenire recessivi rispetto alle ‘ esigenze operative e quelle di servizio non altrimenti assolvibili’ .
Se ne deduce, allora, che il prevenuto non potesse semplicemente affermare di non poter prestare l’ordinario servizio di Stazione perché genericamente impegnato in attività inerenti la sua appartenenza all’organo di rappresentanza militare ma dovesse riferirle in modo compiuto e specifico, onde consentire al superiore la ricordata valutazione comparativa (fra gli impegni di delegato e le necessità del servizio).
E, comunque, nell’odierno caso di specie, l’imputato – come si è già osservato, e come avevano accertato i giudici del merito con motivazione in fatto manifestamente priva di vizi logici – non si era limitato ad attestare delle trasferte a Roma piuttosto che delle trasferte nella sua stessa regione, la Sicilia (per ragioni solo asseritamente attinenti al suo mandato) ma si era anche premurato di ottenerne le relative indennità, facendo figurare sia le dette trasferte sia le spese, di vitto ed alloggio, asseritamente sostenute laddove, invece, non si era affatto recato.
Attestando pertanto degli impegni per ‘motivo di servizio’ del tutto inesistenti. E ciò, ripetutamente, in plurime occasioni, come si evince dalle imputazioni e dalle sentenze di merito.
Deve ora affrontarsi l’ulteriore parte della argomentazione difensiva (segmentata nei plurimi motivi di ricorso), inerente la natura pubblica degli atti oggetto delle falsità ideologiche contestate, il foglio di viaggio prima, il memoriale della Stazione poi.
2.1. Non può, allora che muoversi dalla sentenza delle Sezioni unite Sepe (citata anche dal ricorrente) – n. 15983 del 11/04/2006 – che, sul tema della falsità ideologica nell’attestazione della presenza in ufficio di un dipendente pubblico, ha fissato il seguente principio di diritto:
Non integra il delitto di falso ideologico in atto pubblico la falsa attestazione del pubblico dipendente circa la sua presenza in ufficio riportata nei cartellini marcatempo o nei fogli di presenza, in quanto documenti che non hanno natura di atto pubblico, ma di mera attestazione del dipendente inerente al rapporto di lavoro, soggetto a disciplina privatistica, documenti che, peraltro, non contengono manifestazioni dichiarative o di volontà riferibili alla P.A..
Le Sezioni unite aggiungevano, tuttavia, che la fattispecie in questione si referiva ‘agli imputati, pubblici dipendenti, si erano allontanati dal luogo di lavoro senza far
risultare tale allontanamento, non dovuto a ragioni di servizio, attraverso la prescritta marcatura del cartellino ‘ .
E, in motivazione, nella sentenza Sepe, si chiariva ancora quando l’attestazione del dipendente doveva considerarsi operare nel solo ambito del rapporto di lavoro di natura privatistica:
‘Premesso, invero, che secondo la costante giurisprudenza di questa Suprema Corte e la prevalente dottrina, «agli effetti delle norme sul falso documentale, il concetto di atto pubblico è più ampio rispetto a quello che si desume dalla definizione contenuta nell’articolo 2699 Cc, in quanto comprende non soltanto quei documenti che sono redatti con le richieste formalità da un notaio o da un altro pubblico ufficiale autorizzato ad attribuirgli pubblica fede, ma anche i documenti formati dal pubblico ufficiale o dal pubblico impiegato incaricato di pubblico servizio nell’esercizio delle sue funzioni, attestanti fatti da lui compiuti o avvenuti in sua presenza ed aventi attitudine ad assumere rilevanza giuridica» (così, fra altre, Cassazione, Sezione quinta 8151/76, COGNOME), rimane che – come si esprime autorevole dottrina – «la falsa rappresentazione della realtà che viene documentata deve essere rilevante in relazione alla specifica attività del pubblico ufficiale… e ciò significa che la falsità deve investire un fatto che, in relazione al concreto esercizio della funzione o attribuzione pubblica, abbia la potenzialità di produrre effetti giuridici».
Quanto dire che – secondo altre voci della dottrina – la nozione di atto pubblico «si fonda sulla qualità del soggetto (pubblico ufficiale o impiegato dello Stato o di altro ente pubblico incaricato di un pubblico servizio articolo 493) e sul piano del documento che si redige per una ragione inerente all’esercizio delle pubbliche funzioni o del pubblico servizio, o per uno scopo cui l’atto è destinato»; e nei reati di falso, in generale, «funzionali (o propri), data la posizione giuridica dell’agente (che è un pubblico ufficiale), si delinea uno stretto collegamento tra il soggetto ed il bene, in virtù del quale la cura del bene medesimo… è ‘affidata’ al soggetto per essere quest’ultimo titolare di un potere pubblicistico ben individuato (il potere certificativo’), attributivo di ‘certezza pubblica».
E la giurisprudenza di questa Suprema Corte ha, da tempo, puntualizzato che atto pubblico è «ogni scritto redatto da un pubblico ufficiale per uno scopo inerente alle sue funzioni» (Cassazione, Sezione quinta, 1576/75, Pansa).
Tale ineludibile collegamento tra esercizio di funzioni pubbliche ed attività falsificatoria dei pubblici ufficiali (che «non consente di ritenere automaticamente che tutti gli atti dagli stessi compiuti siano atti pubblici»: Cassazione 12789/03, cit.), non può, quindi, condurre ad annoverare nella nozione di atto pubblico, rilevante ai fini penali, attività attestative che, invece, appaiono collegate direttamente ed immediatamente ad «istituti sicuramente riconducibili alla disciplina privatistica» (per mutuare altra espressione dottrinaria) e che, soprattutto, in tale ambito esauriscono la loro funzione di rilevanza attestativa.
Deve, allora, convenirsi che, in effetti, il cartellino marcatempo ed i fogli di presenza sono destinati ad attestare solo una circostanza materiale che afferisce al rapporto di lavoro tra il pubblico dipendente e la Pa, ed in ciò esauriscono in via immediata i loro effetti, non involgendo affatto manifestazioni dichiarative, attestative o di volontà riferibili alla Pa. Il pubblico dipendente, in sostanza «non agisce neppure indirettamente per conto della Pa, ma opera come mero soggetto privato, senza attestare alcunché in ordine all’attività della Pa» (come rileva Cassazione, Sezione quinta, 15271/05, Piano COGNOME ed altro, ancorché in fattispecie concernente attestazioni relative a ‘missioni’ fuori sede del pubblico funzionario, ma con principio valido anche nella fattispecie qui in esame).
Va, quindi, affermato il seguente principio di diritto: i cartellini marcatempo ed i fogli di presenza dei pubblici dipendenti non sono atti pubblici, essendo essi destinati ad attestare da parte del pubblico dipendente solo una circostanza materiale che afferisce al rapporto di lavoro tra lui e la Pa (oggi soggetto a disciplina privatistica), ed in ciò esauriscono in via immediata i loro effetti, non involgendo affatto manifestazioni dichiarative, attestative o di volontà riferibili alla Pa.
Tanto ritenuto, pure torna opportuno, da ultimo, rilevare che, ove, poi, tali attestazioni del pubblico dipendente siano utilizzate, recepite, in atti della Pa a loro volta attestativi, dichiarativi o di volontà della stessa, tanto può dar luogo ad ipotesi di falso per induzione, ai sensi dell’articolo 48 Cp.’
In estrema sintesi, pertanto, il falso, per la sentenza Sepe, non si configura solo quando la presenza del pubblico dipendente sul luogo di lavoro, falsamente attestata, si limiti ad incidere sul rapporto di lavoro stesso (come del resto nel caso di specie all’esame delle Sezioni unite in cui i dipendenti non aveva segnalato la loro mera assenza fisica dall’ufficio), senza riflesso alcuno sulla complessiva attività dell’ente pubblico interessato.
2.2. Senonché, la presente fattispecie è del tutto diversa da quella da cui la sentenza Sepe ha preso le mosse.
L’odierno imputato, infatti, non si era limitato ad attestare falsamente la sua presenza/assenza dalla Stazione in cui doveva prestare la sua attività quale sottoufficiale dei carabinieri ma aveva falsamente attestato lo svolgimento di un impegno per ‘motivi di servizio’, quale la trasferta a Roma come delegato all’organo di rappresentanza militare, del tutto inesistente.
Una trasferta che essa stessa costituiva una ‘servizio’ reso in quanto militare ma che presupponeva, anche, una valutazione del suo superiore gerarchico, in ordine alle ulteriori esigenze di servizio (pur non altrimenti assolvibili) ed ai compiti da affidare agli altri militari, rimasti in servizio in Stazione.
Così che era del tutto evidente sia l’inerenza della trasferta al pubblico servizio, reso dall’imputato, sia l’incidenza della medesima sul complessivo servizio prestato dall’ufficio a cui l’imputato apparteneva.
Non può pertanto che concludersi nel senso che le false attestazioni fornite dall’imputato abbiano travalicato il mero rapporto lavorativo intercorrente fra il medesimo e l’ente di appartenenza ed abbiamo, invece, direttamente inciso sul servizio complessivamente reso dall’ente medesimo.
2.3. Entrambi gli atti indicati in imputazione devono considerarsi di natura pubblica.
Quanto al ‘foglio di viaggio’, questo era un atto complesso, in parte compilato dall’imputato, in altra parte dal suo superiore gerarchico ed era questa la parte ritenuta falsa ai sensi dell’art. 483 cod. pen.
Una conclusione, questa, dei giudici del merito, del tutto corretta se si pensa, appunto, che l’imputato compilava la prima parte del foglio di viaggio attestando il compimento della trasferta e unendovi poi le conseguenti richieste economiche, così determinando la falsità, ideologica, anche della parte compilata dal superiore gerarchico, la cui natura pubblica derivava, secondo quanto si è già rilevato, dal fatto che quella parte era destinata ad attestare proprio quella attività compiuta dal militare nello svolgimento di un compito rientrante nel ‘servizio’ prestato.
Analogamente, l’inevitabile trascrizione di tale trasferta nel memoriale di servizio della Stazione, sempre ad opera del superiore gerarchico dell’imputato, concretava sia una diversa condotta (diverso essendo il memoriale dal foglio di viaggio anche per la diversa finalità per cui vengono compilati: il primo per dare ragione del servizio del singolo militare, anche ai conseguenti fini economici, il secondo per dare conto dell’attività dei militari della Stazione, giorno per giorno, anche per consentire il controllo dell’operatività di quella Stazione) sia un falso ideologico per induzione, costituendo, come si è detto, il memoriale, l’atto pubblico che consentiva appunto la verifica dell’attività di istituto svolta da ciascuno, e da tutti, i militari della Stazione.
2.4. Tali conclusioni trovano conferma in una pluralità di arresti di questa Corte.
Con la sentenza Sez. 5, n. 28316 del 05/05/2021, Fuoco, Rv. 281628 – 01 si era, infatti, affermato che commette il delitto di falsità ideologica del privato in atto pubblico il pubblico funzionario che nei fogli di viaggio attesti falsamente l'”avvenuta missione”, trattandosi di dichiarazioni certificative destinate a provare la verità dei fatti attestati.
Con la sentenza Sez. 5, n. 5079 del 10/01/2020, Cosimati, Rv. 278739 – 01 si era precisato che integra il delitto di cui all’art. 479 cod. pen. la compilazione da parte di un agente di polizia di una relazione di servizio, completa di nota di straordinario e di foglio di viaggio, attestante falsamente la presenza ad un servizio di ordine pubblico fuori sede, funzionale a conseguire l’indennità di straordinario.
Con la sentenza Sez. 5, n. 34817 del 05/07/2011, COGNOME Rv. 250942 – 01 si era ricordato come hanno natura di atti pubblici i fogli di comunicazione di lavoro straordinario redatti da agenti di polizia in quanto, non diversamente dalle relazioni di
servizio, attestano attività di ordine pubblico svolta dai pubblici ufficiali nell’esercizio delle loro funzioni.
Con la pronuncia Sez. 5, n. 45441 del 07/10/2019, COGNOME, Rv. 276992 – 01 si era affermato che integra il delitto di falso ideologico in atto pubblico la condotta del carabiniere che, in sede di compilazione del memoriale di servizio giornaliero dell’Arma dei carabinieri, attesti falsamente di avere eseguito in un determinato contesto temporale attività di servizio, poiché le annotazioni di detto memoriale hanno natura di atto pubblico, ai sensi del Regolamento generale dell’Arma, che assegna a detto documento la funzione di registrare i comandi impartiti e i servizi, interni ed esterni alla caserma, assegnati ai militari dipendenti.
Da ultimo si è affermato che integra il delitto di falso ideologico in atto pubblico la condotta del pubblico ufficiale che, nell’ordine di servizio e di uscita di una vettura in uso alla sezione di polizia giudiziaria, attesta falsamente l’uso del mezzo per finalità istituzionali in luogo di quelle private (Sez. 5, n. 11928 del 26/02/2025, Muto, Rv. 287749 – 01).
E si è peraltro precisato come sia possibile il concorso fra il delitto di falsa attestazione ed il delitto di falsità ideologica per induzione (Sez. 5, n. 40800 del 22/09/2022, COGNOME, Rv. 283876 – 01), come del resto si evince dal caso in esame, in cui l’imputato era a perfetta conoscenza del fatto che le sue mendaci attestazioni avrebbero costituito il contenuto sia della parte del foglio di viaggio compilata dal superiore sia del memoriale di servizio della Stazione.
Configurandosi pertanto entrambi i delitti di falso contestati, nelle divere occasioni indicate in imputazione, debbono ritenersi manifestamente infondate anche le ulteriori censure, relative sia alla diversa qualificazione delle condotte consumate, sia alla competenza a decidere del giudice militare.
3.1. Quanto poi, appunto, al delitto di cui all’art. 234 c.p.m.p., alla truffa militare, risulta del tutto evidente come la prova del medesimo, degli artifici e raggiri, derivi dai falsi compiuti dall’imputato nella compilazione dei fogli di viaggio e nella consegna di ricevute di spese, anch’esse non rispondenti al vero.
Né a fronte di tali falsità, anche considerando che la condanna al risarcimento del danno cagionato alla parte civile (il Ministero della Difesa) era stata generica, rinviandosi così al separato giudizio civile la sua quantificazione, risultava del tutto superfluo disporre perizia in ordine alle osservazioni fatte dal consulente di parte a contrasto della relazione proveniente dal Comando dell’Arma in Sicilia.
All’inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, versando il medesimo in colpa, della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Così deciso, in Roma il 10 aprile 2025.
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME