Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 44734 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 44734 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 03/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME nata a Napoli il 6 gennaio 1983;
avverso la sentenza del 22 gennaio 2024 della Corte d’appello di Napoli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso per l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato in relazione al trattamento sanzionatorio, con rigetto nel resto del ricorso; udito l’avv.to NOME COGNOME nell’interesse della ricorrente, che si riporta ai motivi visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; d’impugnazione ed insiste per l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME è stata tratta a giudizio per rispondere di plurimi reati di falso, fabbricazione di documenti d’identificazione falsi, sostituzione di persona e truffa. In particolare:
del reato di cui agli artt. 81, 61 n. 2, 48, 110, 479 in relazione all’art. 476, commi 1 e 2, cod. pen. (capo n. 1), per essersi presentata, in concorso con altri
soggetti non identificati e al fine di commettere il reato di cui al n. 3 della imputazione, al notaio NOME COGNOME quale procuratrice speciale della madre adottiva NOME COGNOME esibendo al predetto una carta di identità contraffatta in ogni sua componente, così inducendo in errore il notaio circa l’identità della persona da rappresentare e la propria qualità di procuratrice speciale, così determinando la falsa attestazione nella redazione dell’atto di procura speciale della presenza della NOME e del conferimento della procura alla COGNOME a vendere l’appartamento in Pozzuoli;
del reato di cui agli artt. 81, 61 n. 2, 110, 494, 495, 476, 482 cod. pen. (capo n. 2), per aver lasciato, in concorso con altro soggetto non identificato e al fi ne di commettere il reato di cui al capo n. 1, che terzi si sostituissero alla persona di NOME COGNOME e apponessero la firma di quest’ultima in calce alla procura speciale;
del reato di cui agli artt. 81, 48, 479, in relazione all’art. 476, commi 1 e 2, 640 cod. pen. (capo n. 3), per avere, con artifizi e raggiri consistiti nel formare l’atto di procura speciale di cui al capo n. 2, nel presentarsi a COGNOME NOME e NOME COGNOME quale procuratrice speciale della proprietaria di un appartamento sito in Pozzuoli, proponendo loro l’acquisto dell’appartamento, indotto in errore i predetti circa la titolarità della qualità di procuratrice, e quindi il notaio NOME COGNOME dinanzi al quale veniva stipulato l’atto di compravendita il quale, per effetto dell’atto di procura esibito, attestava falsamente esservi in sua presenza la procuratrice speciale della proprietaria dell’appartamento, così procurandosi l’ingiusto profitto rappresentato dalla somma pari ad euro 80.000, corrisposta alla Lubrano;
del reato di cui agli artt. 48, 479 in relazione all’art. 476, commi 1 e 2, cod. pen. (capo n. 4), per avere, in concorso con altri soggetti non identificati, presentandosi al notaio NOME COGNOME il quale procuratrice speciale della madre adottiva NOME COGNOME esibendo al predetto una carta d’identità contraffatta, indotto in errore il predetto notaio circa l’identità della persona da rappresentare e la propria qualità di procuratrice speciale, così determinando la falsa attestazione nella redazione dell’atto di procura speciale della presenza della NOME e del conferimento alla COGNOME della procura a vendere l’appartamento, di proprietà di NOME
del reato di cui agli (artt. 81, 61 n. 2, 110, 494, 495, 476, 482 cod. pen.: capo n. 5), per avere lasciato, in concorso con altro soggetto non potuto identificare e al fine di commettere il reato di cui al capo n. 4, che terzi si sostituissero alla persona di NOME COGNOME e apponessero la firma di quest’ultima in calce alla procura speciale (artt. 81, 61 n. 2, 110, 494, 495, 476, 482 cod. pen.: capo n. 5);
del reato di cui agli artt. 81, 61 n. 2, 48, 110, 479, commi 1 e 2, cod. pen. (capo n. 6), per essersi presentata, in concorso con altri soggetti non identificati e al fine di commettere il reato di cui al n. 8 dell’imputazione, al notaio NOME COGNOME quale procuratrice speciale della madre adottiva NOME COGNOME esibendo al predetto una carta di identità contraffatta in ogni sua componente, così inducendo in errore il notaio circa l’identità della persona da rappresentare e la propria qualità di procuratrice speciale, così determinando la falsa attestazione nella redazione dell’atto di procura speciale della presenza della Giacobbe e del conferimento della procura alla COGNOME a vendere l’appartamento in Pozzuoli;
del reato di cui agli artt. 81, 61 n. 2, 110, 494, 495, 476, 482 cod. pen. (capo n. 7), per avere lasciato, in concorso con altro soggetto non potuto identificare e al fine di commettere il reato di cui al capo n. 6, che terzi si sostituissero alla persona di NOME COGNOME e apponessero la firma di quest’ultima in calce alla procura speciale;
del reato di cui agli artt. 81, 48, 479, 640 cod. pen. (capo n. 8) per avere, con artifizi e raggiri consistiti nel formare l’atto di procura speciale di cui ai capi 6 e 7, nel presentarsi al rappresentante della società RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME quale procuratrice speciale della proprietaria di un appartamento sito in Pozzuoli, proponendo loro l’acquisto dell’appartamento, indotto in errore i predetti circa la titolarità della qualità di procuratrice, e quindi il notaio NOME COGNOME dinanzi al quale veniva stipulato l’atto di compravendita il quale, per effetto dell’atto di procura esibito, attestava falsamente esservi in sua presenza la procuratrice speciale della proprietaria dell’appartamento, così procurandosi l’ingiusto profitto rappresentato dalla somma pari ad euro 40.000, corrisposta alla Lubrano;
del reato di cui agli artt. 110 e 497-bis, commi 1 e 2, cod. pen. (capo 9), per avere formato o lasciato formare, in concorso con altro soggetto non identificato, una carta di identità falsa, su cui venivano apposte le generalità di NOME e la effigie fotografica di altro soggetto.
La prospettazione accusatoria, integralmente confermata in primo grado, veniva parzialmente ridimensionata in appello, dove, rideterminata la pena in relazione ai reati di falso di cui ai capi 1), 3), 4) e 6), confermate le statuizioni civili veniva dichiarata l’intervenuta prescrizione delle residue imputazioni.
Ricorre per cassazione la COGNOME, articolando cinque motivi d’impugnazione.
3.1. Il primo attiene alle imputazioni di cui ai capi 3) e 8) (quest’ultimo dichiarato prescritto all’esito del giudizio di secondo grado) e deduce, sotto i profili della violazione di legge (in relazione agli artt. 48, 479 e 476 cod. pen.) e del vizio
di motivazione, la necessità di qualificare i fatti ai sensi dell’art. 495 cod. pen. e non già in termini di falso in atto pubblico fidefaciente, non avendo il rogito notarile la funzione di attestare la veridicità delle dichiarazioni rese dalle parti e delle identità e qualità personali dichiarate;
3.2. Il secondo attiene ai capi nn. 2 e 5 e deduce, sotto i profili della violazione di legge (in relazione agli artt. 192 cod. proc. pen., 476, 482 e 495 cod. pen.), vizio di motivazione e inosservanza di norma processuale: a) che non vi sarebbe prova alcuna che la ricorrente fu presente innanzi ai notai al momento della formazione delle procure speciali e, comunque, non sarebbe stato dimostrato in che termini ella avrebbe causalmente contribuito alla consumazione del reato; b) che l’asserita condotta di “aver lasciato” che altri si sostituissero alla Giacobbe rappresenterebbe un’ipotesi di mera connivenza non idonea ad integrare la condotta necessaria per il perfezionamento del reato contestato; c) che tanto veniva specificamente argomentato attraverso una memoria difensiva, ritualmente depositata il 14 settembre 2020, ma mai menzionata dalla Corte territoriale. In ciò l’inosservanza di norma processuale e la conseguente nullità della sentenza impugnata.
3.3. Il terzo attiene al capo n. 6 e deduce, sotto i profili della violazione di legge (in relazione agli artt. 129, 531 e 535 cod. proc. pen.) e del vizio di motivazione, che la Corte territoriale, nonostante avesse dichiarato il predetto reato estinto per prescrizione, lo avrebbe comunque considerato ai fini della quantificazione del trattamento sanzionatorio.
3.4. Il quarto e il quinto motivo di impugnazione attengono al trattamento sanzionatorio e deducono l’eccessività della pena irrogata (alla luce dell’intervenuta prescrizione) e l’omessa motivazione in ordine alla relativa determinazione e al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche.
Il 21 giugno 2024, l’avv. NOME COGNOME nell’interesse delle parti civili costituite, NOME COGNOME e NOME COGNOMEnelle more deceduta), ha depositato una memoria difensiva con la quale ha chiesto la conferma della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo è complessivamente infondato.
1.1. Va premesso che il concetto di atto pubblico è, agli effetti della tutela penale, più ampio di quello desumibile dall’art. 2699 cod. civ., ricomprendendo qualsiasi atto formato da un pubblico ufficiale (o da un incaricato di pubblico ser-
vizio) avente l’attitudine ad assumere rilevanza giuridica o valore probatorio interno alla pubblica amministrazione (Sez. 5, n. 3542 del 17/12/2018, dep. 2019, Rv. 275415).
All’interno di questa ampia categoria, sono documenti dotati di fede privilegiata solo quelli emessi nell’esercizio di una speciale potestà documentatrice, in forza della quale l’atto assume una presunzione di verità assoluta, eliminabile solo con l’accoglimento della querela di falso o con la sentenza penale (Sez. 6, n. 35219 del 28/04/2017, Rv. 270855).
Un potere – quello di documentazione fidefaciente – che può essere esplicitamente attribuito da una specifica previsione normativa o implicitamente desunto dal sistema, anche alla luce di eventuali particolari modalità prestabilite alle quali il pubblico ufficiale deve attenersi (cfr. Sez. 6, n. 35219 del 28/04/2017, Re, Rv. 270855, in motivazione) e che, sotto il profilo contenutistico, attiene solo a quei fatti che lo stesso funzionario redigente riferisce come visti, uditi o compiuti direttamente da lui, senza estendersi al contenuto intrinseco ed alla veridicità delle dichiarazioni delle parti (Sez. 5, n. 39682 del 04/05/2016, Franchi, Rv. 267790; Sez. 6, n. 10414 del 12/12/1989, dep. 1990, COGNOME, Rv. 184934). In altri termini, l’atto pubblico non è di fede privilegiata per il solo fatto che il pubblico ufficiale sia chiamato ad esplicare una funzione di attestazione relativa a fatti da lui compiuti o avvenuto in sua presenza, ma è necessario che egli sia fornito di quella speciale potestà, attribuita normativamente (anche implicitamente), alla luce della quale l’atto acquisisce una presunzione di verità assoluta (Sez. 5, n. 802 del 24/11/1983, dep. 1984, COGNOME, Rv. 162429).
1.2. Ciò considerato, per come si è detto, il falso si sarebbe sostanziato nell’aver indotto in errore il notaio, dinanzi al quale veniva stipulato un atto di compravendita, quanto alla presenza della procuratrice speciale della proprietaria dell’appartamento compravenduto, determinando la relativa falsa attestazione. Ebbene, il ricorrente deduce che, non avendo il rogito notarile la funzione di attestare la veridicità delle dichiarazioni rese dalle parti e delle identità e qualità personali dichiarate, i fatti dovrebbero essere qualificati ai sensi dell’art. 495 cod. pen. e non già in termini di falso in atto pubblico fidefaciente.
Ritiene il Collegio che la deduzione sia infondata, in quanto riduce la funzione notarile al mero accertamento della volontà delle parti. Il notaio, invece, ad avviso del Collegio, è ben altro: il notaio concorre a creare il diritto attraverso la formulazione di una regola negoziale, essa stessa frutto di una complessa attività di maieutica ed ermeneutica (ed in ciò la natura giurisdizionale dell’attività notarile e la – conseguente – necessaria personalità della prestazione, imposta dall’art. 1 della legge notarile), finalizzata al successivo adeguamento degli intenti raccolti;
un’attività attraverso la quale il notaio assicura la legittimità e la meritevolezza dello strumento negoziale adottato.
La funzione notarile (che è funzione di interesse generale), quindi, non si esplica (solo) nella mera rappresentazione, su base materiale, della volontà delle parti, ma si sostanzia anche (e, forse, soprattutto), nell’adempimento di tutte quelle attività preparatorie e successive necessarie perché sia salvaguardata la serietà e certezza dell’atto giuridico da rogarsi ed in particolare la sua attitudine ad assicurare il conseguimento dello scopo tipico di esso e del risultato pratico voluto dalle parti dell’atto (Cass. civ. n. 8470 del 13/06/2002, Rv. 555036). Attività preparatorie fra le quali, per quel che rileva in questa sede, anche la verifica (con la diligenza richiesta dalla natura dell’operazione) della sussistenza degli eventuali poteri di rappresentanza prospettati dalle parti.
Ebbene, attenendo ad un’attività propria del notaio (che, si ripete, non si esaurisce nella mera documentazione dell’attività delle parti), la relativa falsa attestazione integra (sotto il profilo oggettivo) l’ipotesi criminosa di cui all’art. 479 cod. pen. (e, ove è frutto di un errore indotto dalla falsa dichiarazione di una delle parti, la fattispecie di cui agli artt. 48, 479 cod. pen.): né quella sanzionata dal parallelo art. 483 cod. pen. (che invece attiene alle attestazioni immediatamente riconducibili al privato, aventi per oggetto fatti che il notaio si limita a riportare nell’atto pubblico come riferiti: Sez. 5, n. 22839 del 17/04/2019, COGNOME, Rv. 276632), né, tanto meno, quella di cui all’art. 495 cod. pen. (riferita alle attestazioni o dichiarazioni relative all’identità o qualità personali), fattispecie che pur potendo concorrere con quella più grave di cui all’art. 479 cod. pen. (Sez. 5, n. 23681 del 27/04/2021, COGNOME, Rv. 281407), non esclude la sussistenza di quest’ultima, proprio perché il notaio non si è limitato a trasfondere nell’atto le dichiarazioni rese dall’imputata, ma, in adempimento di un dovere connesso all’esercizio della sua funzione, ha posto in essere una verifica autonoma, seppur fondata (anche) sulle false attestazioni della parte.
1.3. Residua il profilo della fidefacienza.
Si è detto che tale qualità dell’attestazione notarile (che garantisce la formazione extraprocessuale della certezza, divenendo l’atto prova legale di quanto documentato) attiene, sotto il profilo contenutistico, solo a quei fatti che lo stesso notaio redigente riferisce come visti, uditi o compiuti direttamente da lui, senza estendersi al contenuto intrinseco ed alla veridicità delle dichiarazioni delle parti, né, tantonneno, ai giudizi valutativi eventualmente espressi (Cass. civ., Sez. 2 n. 27489 del 28/10/2019, Rv. 655679). E l’apprezzamento dell’esistenza dei poteri rappresentativi, in linea di principio, presuppone, di norma, il compimento di un’at-
tività valutativa fondata su criteri tecnico-giuridici. Un’attività che, ontologicamente, non solo non può essere apprezzata in termini di “verità” (salvo il profilo del falso valutativo), ma non può mai ritenersi fidefaciente.
In concreto, tuttavia, alla COGNOME è contestato di essersi presentata dinanzi al notaio quale procuratrice speciale della proprietaria dell’appartamento da vendere esibendo, a tal fine, la procura in precedenza (falsamente) formata (oggetto della contestazione di cui al capo 1). In questi termini, quindi, l’attività di verifica rimessa al notaio (oggetto dell’imputazione) non si è sostanziata in un’attività valutativa, ma nel solo controllo di esistenza della procura (quale fonte dei poteri negoziali della parte comparsa) e, conseguentemente, della presenza, innanzi a sé del procuratore speciale, legittimato all’atto. Cosicché, la falsità della relativa attestazione è il diretto portato della inesistenza di un dato oggettivo (il reale conferimento di poteri rappresentativi, frutto dell’incontestata falsità dell’identità personale del conferente al momento della formazione della procura), pienamente conosciuto dall’autore – mediato – del reato, e della conseguente induzione in errore del notaio rogante, che ha confidato nell’esistenza della procura.
Ebbene, è proprio l’assenza di qualsiasi profilo valutativo a dar conto della sussistenza della fattispecie aggravata: la pacifica falsità di un dato (oggetto, nei termini in precedenza evidenziati, dell’attestazione notarile) si è trasfusa nella conseguente falsità dell’attestazione promanante dal notaio, che, nel dare atto dell’esistenza della procura (con efficacia fidefaciente, in assenza di profili valutativi), ha (autonomamente) attestato l’esistenza di un dato nella realtà non corrispondente al vero.
Da ciò l’infondatezza dell’assunto difensivo.
1.4. Per mera completezza, va precisato che, con riferimento al reato di cui al capo 8 (dichiarato estinto per prescrizione), il motivo deve essere dichiarato inammissibile, in quanto, conducendo il relativo accoglimento solo ad una diversa qualificazione giuridica del fatto, difetterebbe un interesse giuridicamente rilevante alla proposizione della impugnazione, non rilevabile, in assenza di un concreto vantaggio perseguito dalla parte, nella mera aspirazione all’esattezza tecnico-giuridica del provvedimento (Sez. 1, n. 39215 del 03/07/2017, COGNOME, Rv. 270957).
2. Il secondo motivo è, invece, indeducibile.
2.1. Preliminarmente, quanto all’invocata omessa valutazione di un atto difensivo, va ribadito che tale dato può essere dedotto in sede di legittimità come vizio di motivazione purché, in virtù del dovere di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, si rappresenti puntualmente la concreta idoneità disarticolante dei temi della memoria pretermessa rispetto alla pronunzia avversata, evidenziando
il collegamento tra le difese della memoria e gli specifici profili di carenza, contraddittorietà o manifesta illogicità argonnentativa della sentenza impugnata (Sez. 5, n. 17798 del 22/03/2019, C., Rv. 276766). Dato che, in concreto, non viene fornito dalle prospettazioni difensive.
2.2. Quanto alla motivazione offerta, i giudici di merito, nel ricostruire concordemente i fatti (e, quindi, ai fini della valutazione di congruità della decisione, le relative decisioni ben possono integrarsi vicendevolmente), hanno dato atto (per quel che rileva in questa sede) della presenza della COGNOME dinanzi al notaio, delle relative fonti di prova e della condotta causalmente rilevante assunta da quest’ultima, evidenziando come proprio la sua presenza (acclarata attraverso le dichiarazioni rese dal notaio e l’acquisizione della copia dei documenti d’identità presentati al notaio al momento del conferimento della procura) e la circostanza che accompagnasse un’anziana donna (presentata al notaio come sua madre NOME NOME COGNOME, e così identificata sula base del documento – contraffatto esibito) avesse rafforzato la falsa rappresentazione (in ordine all’effettiva identità della donna), contribuendo a trarre in inganno il notaio stesso.
Ebbene, a fronte di ciò, le censure prospettate seppur formulate sotto i profili della violazione di legge e di asserita illogicità o travisamento della prova, si risolvono in una rivalutazione dei dati probatori acquisiti e dell’attendibilità e credibilità dei testi esaminati, dimenticando che l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione non è diretta a verificare l’intrinseca adeguatezza delle argomentazioni offerte dal giudice di merito, ma al solo riscontro dell’esistenza, della non manifesta illogicità e della coerenza dell’apparato argomentativo, valutato nel suo complesso, sui vari punti della decisione impugnata. Viceversa, la scelta tra divergenti versioni ed interpretazione del dato fattuale, come l’indagine sull’attendibilità dei testimoni, nella sua dimensione fattuale, non può formare oggetto di ricorso per cassazione, in quanto postula, intrinsecamente, la necessità di comparare e coordinare i singoli elementi di prova, nella loro individuale e complessiva valenza dimostrativa. Un apprezzamento, in fatto, riservato, ontologicamente, al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare in modo accurato le ragioni del proprio convincimento (Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, Rv. 271623).
3. Fondato, invece, è il terzo motivo, in quanto, effettivamente, la Corte territoriale ha considerato il reato di cui al capo n. 6 ai fini della quantificazione del trattamento sanzionatorio, pur avendo, in altra parte della motivazione, dato atto della relativa estinzione per prescrizione.
Sotto tale profilo, quindi, la sentenza impugnata deve essere annullata, ma senza rinvio, potendo essere eliminata la relativa pena (irrogata in primo grado), pari a mesi uno di reclusione.
Il quarto e il quinto motivo sono, in ultimo, indeducibili.
4.1. Deve premettersi che la graduazione della pena presuppone un apprezzamento in fatto e un conseguente esercizio di discrezionalità ed è, quindi, riservata al giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità, ove non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, Rv. 259142). E l’obbligo di motivazione deve ritenersi adempiuto allorché il giudice di merito abbia indicato, nel corpo della sentenza, gli elementi ritenuti rilevanti o determinanti nell’ambito della complessiva dichiarata applicazione di tutti i criteri di cui all’art. 133 cod. pen. (Sez. 6, n. 9120 del 02/07/1998, Rv. 211582; Sez. 1, n. 3155 del 25/09/2013, dep. 2014, Rv. 258410) ed è tanto meno stringente quanto più la determinazione è prossima al minimo edittale, rimanendo, in ultimo, sufficiente il semplice richiamo al criterio di adeguatezza, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen. (Sez. 2, n. 28852 del 08/052013, Rv. 256464).
In questo contesto, le circostanze attenuanti generiche, in sé, non costituiscono oggetto di un diritto conseguente all’assenza di elementi negativi connotanti la personalità del soggetto, ma necessitano, in positivo, di elementi ritenuti idonei a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio rendendolo coerente rispetto alla concreta gravità del fatto (Sez. 1, n. 46568 del 18/05/2017, Rv. 271315; Sez. 3, n. 19639 del 27/01/2012, Rv. 252900; Sez. 3, n. 24128 del 18/03/2021, Rv. 281590). In altri termini, la nneritevolezza dell’adeguamento della pena, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni del fatto o del soggetto, tipica delle circostanze attenuanti generiche, non potendo essere data per presunta, necessita di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti idonei a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio; trattamento la cui esclusione risulta, per converso, adeguatamente motivata, a fronte di specifica richiesta dell’imputato, anche attraverso la sola indicazione delle plausibili ragioni a sostegno del rigetto di detta richiesta, senza la stretta necessità della contestazione o dell’invalidazione degli elementi sui quali la richiesta stessa si fonda.
4.2. Ebbene, sul presupposto per cui non risultava alcun elemento valorizzabile ai fini del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche (alla luce delle particolari modalità della condotta, posta in essere ai danni dell’anziana genitrice) e richiamando la generica applicazione dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen., la pena, in primo grado, è stata determinata in complessivi anni tre e mesi sei di reclusione (pena base, in relazione al reato di cui al capo 1, anni tre di
reclusione, aumentata, ai sensi dell’art. 81 cod. pen., di un mese ciascuno per i reati di cui ai capi 4 e 6, mesi due per il capo 9, giorni venti per il capo 3, giorni dieci per il capo 8, mesi uno per il reato di cui all’art. 495 dinanzi al notaio COGNOME).
È pur vero che la Corte territoriale, nel rideterminare il trattamento sanzionatorio (alla luce delle dichiarate prescrizioni), si è limitata a confermare le valutazioni offerte in primo grado, ma di tanto l’imputata non se ne può dolere, essendosi limitata, con i motivi di appello, ad invocare l’eccessività del trattamento sanzionatorio e il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche (allegando il comportamento processuale della Lubrano, la sua giovane età e la non specificità dei precedenti), senza confrontarsi con la motivazione resa con la sentenza impugnata (e, quindi, con le evidenziate particolari modalità della condotta, posta in essere ai danni dell’anziana genitrice). E la genericità del relativo motivo di appello (con la conseguente sua inammissibilità) rende indeducibile la corrispondente censura sollevata in questo grado, non potendo l’eventuale annullamento condurre a risultati favorevoli all’imputata.
In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata, ma senza rinvio, potendo essere eliminata la relativa pena (irrogata in primo grado), pari a mesi uno di reclusione. Nel resto il ricorso deve essere rigettato.
Essendo l’accoglimento del ricorso limitato al profilo sanzionatorio, l’imputata deve essere condannata alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute dalla parte civile, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata in relazione al capo 6) perché il reato è estinto per prescrizione ed elimina la relativa pena di un mese di reclusione.
Rigetta nel resto il ricorso.
Condanna, inoltre, l’imputata alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili assistite dall’avv. NOME COGNOME che liquida in complessivi euro 2500,00, oltre accessori di legge.
Così deciso il 3 ottobre 2024
GLYPH Il Presidente li re estensore Il C