Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 25509 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 25509 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 11/04/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
L.
NOME COGNOME nata a I
I
I
nata a I
COGNOME RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE
avverso la sentenza del 29/11/2024 della CORTE APPELLO di CATANIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME
COGNOME
che ha concluso chiedendo come da requisitoria scritta di dichiarare inammissibile l’appello di COGNOME L. COGNOME I) e di annullare senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla parte in cui, nel dispositivo della sentenza, non statuisce rispetto a COGNOME T COGNOME la riforma della sentenza di primo grado rideterminando il trattamento sanzionatorio in quello di mesi otto di reclusione uditi i difensori: l’avvocato AVV_NOTAIO. che si riporta alle conclusioni scritte che deposita unitamente alla nota spese e si associa alle richieste del Proc. Gen., insistendo per l’inammissibilità dei ricorsi; l’avvocato NOME AVV_NOTAIO COGNOME che chiede l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza impugnata, la Corte d’Appello di Catania, in riforma della sentenza emessa in data 11.7.2019 dal Tribunale di Catania, ha condannato agli effetti civili COGNOME NOME. COGNOME già assolta in primo grado dal reato di cui all’art. 361 cod. pen. con formula “perché il fatto non sussiste”, accogliendo l’appello della parte civile, ed ha confermato la condanna a carico di COGNOME NOME per il reato di falso continuato in atto pubblico fidefacente.
Le due imputate sono accusate, rispettivamente:
T COGNOME in qualità di docente e vicepreside della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE
, di aver formato
5 verbali falsi del consiglio della classe RAGIONE_SOCIALE, di cui era stata coordinatrice e segretaria, per l’anno 2012-2013 ( n particolare quelli relativi alle sedute dei giorni: 11.9.2012; 1.10.2012; 4.12.2012; 20.3.2013; 2.5.2013). L’imputata avrebbe commesso il reato apponendo ai verbali la falsa firma di presenza di un’altra docente, COGNOME COGNOME (dapprima segretaria di classe e quindi coordinatrice di classe anch’ella, succeduta alla prof.ssa COGNOME , che, per i primi quattro verbali in ordine di tempo, l’ha disconosciuta pur essendo stata presente, e, nel caso della seduta del 2.5.2013, non era neppure presente ma assente giustificata e ciò risultava dallo stesso verbale;
RAGIONE_SOCIALE in qualità di preside della citata RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE COGNOME , di aver omesso di denunciare il reato di falso in atto pubblico commesso da T e di cui era venuta a conoscenza nell’esercizio delle sue funzioni, in quanto denunciatole dalla persona offesa] R. I
Secondo la ricostruzione dei giudici di merito, la vicenda trae origine dalla denuncia della NOME di un alunno della classe
NOME
COGNOME
della RAGIONE_SOCIALE media citata, la quale aveva chiesto l’accesso agli atti scolastici relativi alla posizione del figlio, perché lamentava una condotta penalizzante nei suoi confronti da parte del corpo docente.
Dalla visione di tali atti era emerso che la prof.ssa COGNOME COGNOMENOME COGNOME docente della classe con il ruolo di coordinatrice, nel verbale del 2.5.2013, risultava, al tempo stesso, assente giustificata e firmataria del verbale nella sua qualità, come se invece fosse stata presente. Ciò aveva indotto la docente a presentare un esposto alla Procura della Repubblica di Catania a sua volta.
La I RAGIONE_SOCIALE COGNOME. COGNOME [aveva ammesso di aver apposto le firme sui 5 verbali contestati, porgendo le sue scuse alla preside e sostenendo di aver erroneamente
dimenticato di apporre la dicitura “per conto di” o equivalente agli atti, i contenuti dei quali sono veri, come ha chiarito la sentenza di primo grado.
La preside COGNOME NOME COGNOME ha avviato il procedimento disciplinare sanzionando la docente con l’ammonimento, ma non ha sporto denuncia, fidando nel fatto che le persone direttamente coinvolte – la prof.ssa] RCOGNOME, la cui firma era stata apposta falsamente, e la sig.ra NOME le avevano assicurato che avrebbero provveduto loro. Su tali basi, il giudice di primo grado ha ritenuto di assolvere l’imputata perché il fatto non sussiste, sia perché ha ritenuto che ella avesse in qualche modo ottemperato all’obbligo di denuncia, sia perché ha rilevato l’insussistenza dell’elemento soggettivo.
La Corte d’Appello, ribaltando la decisione su impugnazione della parte civile, ha condannato agli effetti civili la preside, ritenendo che l’autorità giudiziaria non fosse già a conoscenza dei reati di falso in atto pubblico commessi nella scuola dell’imputata, quando ella ne ha avuto notizia e ha deciso di non sporgere denuncia; d’altra parte, secondo la Corte territoriale, è irrilevante, ai fini del configurabilità del reato ex art. 361 cod. pen., che ella abbia riposto affidamento nel fatto che le due più dirette interessate alla vicenda avrebbero sporto denuncia.
Avverso la sentenza d’appello hanno proposto ricorso per cassazione entrambe le imputate, tramite i rispettivi difensori di fiducia e diversi atti impug nazione.
Il ricorso di COGNOME T COGNOME formulato dall’AVV_NOTAIO, è composto da tre differenti motivi.
2.1. Il primo argomento difensivo denuncia violazione di legge in relazione all’art. 476 cod. pen.
La Corte d’Appello avrebbe errato nel ritenere che i verbali dei consigli di classe abbiano rilevanza esterna e possano configurare il delitto di falso in atto pubblico con riguardo all’attestazione di presenza dei docenti intervenuti; l’unico contenuto dotato di tale rilievo esterno attiene alla parte dell’atto in cui si riport quanto discusso e deliberato: il verbale è destinato a provare all’esterno quanto deliberato e non chi lo ha deliberato.
Nel caso di specie, i verbali hanno fedelmente riportato quanto avvenuto durante le sedute, sul piano dei contenuti e delle decisioni adottate.
Inoltre, le condotte sono state commesse per negligenza e leggerezza, sicchè non sono punibili, in quanto il delitto di falso non è configurabile come fattispecie colposa e, comunque, esse sono inidonee in concreto a ledere il bene giuridico protetto dalla disposizione incriminatrice, vale a dire la fede pubblica nella genuinità del documento falsificato, poiché l’atto di verbalizzazione non perde
validità, quanto ai suoi contenuti, in caso di falsificazioni sull’attestazione de presenti alla riunione del consiglio di classe.
Infatti, ai sensi del d.lgs. n. 297 del 1994, l’organo collegiale in ambito scolastico (consiglio di istituto, consiglio di classe) è validamente costituito anche nel caso in cui non tutte le componenti abbiano espresso la propria rappresentanza e senza necessità di una quota di presenze. Il consiglio di classe, precisamente, ai sensi dell’art. 37 del Testo Unico sulla scuola, è sempre validamente riunito e formato, a prescindere dalle presenze, purchè vi sia l’intervento di un presidente e di un segretario verbalizzante.
Mancherebbe, altresì, la prova dell’elemento soggettivo doloso del reato a carico della ricorrente, visto che la sentenza impugnata non si è preoccupata di indagarlo e considerata la sua buona fede, desumibile dal fatto che, nel verbale del 2.5.2013, dichiaratamente la prof.ssa NOME era assente e, nonostante ciò, erroneamente è stata apposta la sua firma apocrifa.
2.2. Il secondo motivo di ricorso eccepisce manifesta illogicità della motivazione, che non ha ritenuto l’ipotesi di falso inidoneo o impossibile in relazione all’apposizione, nel verbale del 2.5.2013, della falsa firma di una persona che, nello stesso verbale, viene dichiarata assente.
Proprio tale circostanza dimostrerebbe la mancanza di dolo e, prima ancora, l’inidoneità dell’atto a trarre in inganno i terzi, riguardo alla presenza della persona la cui firma sia stata falsamente apposta; dunque, la sua inutilità ed innocuità.
2.2. La terza ragione di censura denuncia contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione del provvedimento impugnato, che ha diversamente valutato le circostanze attenuanti generiche ed il giudizio di comparazione tra circostanze di segno opposto, senza trarne le inevitabili conseguenze in tema di quantificazione della pena.
Il ricorso di COGNOME NOME COGNOME , proposto tramite l’AVV_NOTAIO, si snoda seguendo le direttrici di cinque differenti motivi.
3.1. La prima ragione difensiva contesta violazione di legge in relazione all’art. 576 cod. proc. pen.: l’appello della parte civile avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile perché privo di indicazioni sull’interesse ad impugnare ai fini del risarcimento del danno, tenuto conto anche del comportamento proattivo della ricorrente, la quale ha consentito immediatamente l’accesso agli atti ed ha avviato il procedimento disciplinare nei confronti della professoressa T
3.2. Il secondo motivo di ricorso denuncia vizio di motivazione carente in ordine alla richiesta della difesa di dichiarare l’inammissibilità dell’impugnazione della parte civile ai sensi dell’art. 576 cod. proc. pen., per l’omessa indicazione dell’interesse civile perseguito dalla parte appellante.
Le richieste della difesa nell’udienza del 27.9.2024 erano state specifiche in merito all’inammissibilità dell’atto di appello, anche ai sensi dell’art. 593, comma 3, cod. proc. pen. e del limite generale di impugnabilità delle sentenze di proscioglimento per reati puniti con pena pecuniaria (come quello previsto dall’art. 361, primo comma, cod. pen. contestato all’imputata) o con pena alternativa.
La sentenza impugnata ha motivato soltanto su tale seconda richiesta di inammissibilità, ma la risposta fornita non copre gli argomenti della censura relativa all’omessa indicazione dell’interesse perseguito con l’impugnazione d’appello della parte civile, essendo completamente diverse le rispettive linee di censura.
3.3. Il terzo argomento difensivo proposto nel ricorso denuncia violazione di legge in relazione all’art. 593 cod. proc. pen.
La Corte avrebbe errato nel ritenere non applicabile al caso di specie il terzo comma della citata disposizione, limitandone l’operatività alle sole sentenze di non luogo a procedere per reati puniti con la sola pena pecuniaria emesse dopo la data di entrata in vigore del d.lgs. n. 150 del 2022, interpretando così analogicamente la disciplina transitoria introdotta con l’art. 88-ter d. Igs. n. 150 del 2022, con risultato sfavorevole all’imputato.
Secondo la difesa, l’art. 88-ter d.lgs. n. 150 del 2022 non è riferibile alla regola di inammissibilità dettata dall’art. 593, comma 3, cod. proc. pen., sicchè andava applicato il criterio generale di immediata operatività dell’inappellabilità delle sentenze di proscioglimento per reati puniti con sola pena pecuniaria.
3.4. La quarta censura denuncia violazione di legge in relazione all’art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen., per omessa rinnovazione della prova dichiarativa in caso di ribaltamento in appello della decisione assolutoria di primo grado, sia pure ai soli effetti civili.
La sentenza di riforma emessa dalla Corte territoriale ha valorizzato le dichiarazioni testimoniali delle testi NOME (la persona offesa dal reato), NOME (un’altra professoressa presente al consiglio) e NOME (la denunciante, madre di un alunno della classe in relazione alla quale si era formato il verbale del consiglio di classe in contestazione). La difesa della ricorrente evoca giurisprudenza della
Quinta Sezione penale, in particolare la sentenza n. 43779 del 2023.
3.5. Il quinto motivo di ricorso denuncia difetto di motivazione del provvedimento impugnato in relazione all’affermazione di responsabilità della ricorrente, che doveva essere esclusa quanto meno sotto il profilo della mancanza del coefficiente soggettivo doloso, per la constatazione che, appena saputo della vicenda, ella si era attivata, consentendo l’immediato accesso agli atti e disponendo un ammonimento scritto nei confronti della sua docente T , e si era curata di accertarsi che altre due persone coinvolte – la NOME che aveva
richiesto gli atti del consiglio di classe e la prof.ssa COGNOME la cui firma era stata falsificata – si sarebbero attivate per la denuncia penale.
Correttamente il giudice di primo grado aveva ritenuto di assolvere del tutto la ricorrente, mentre la Corte d’Appello, errando, ha valutato l’affidamento sul comportamento insufficiente ad escludere l’elemento soggettivo del reato: tale argomento è inadeguato a fondare una valutazione di responsabilità, ancorchè ai soli fini civili. Tanto più perché una delle due persone su cui l’affidamento era riposto, vale a dire la dott.ssa NOME dell’alunno e interessata all’accesso agli atti, all’epoca dei fatti era dirigente della Polizia di Stato, sicc mai potrebbe ritenersi che la ricorrente avesse una seria volontà di evitare la conoscenza del reato all’autorità giudiziaria.
La sentenza d’appello non si fa carico di quest’ultima circostanza, fondamentale, nella sua motivazione.
Il Sostituto Procuratore Generale della Corte di cassazione ha chiesto, con requisitoria scritta, di dichiarare inammissibile l’appello di COGNOME L.
e di annullare senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio di COGNOME T
La parte civile ha depositato conclusioni e nota spese in udienza, tramite il difensore di fiducia presente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso di COGNOME COGNOME è fondato limitatamente agli aspetti di seguito indicati.
1.1. Il primo ed il secondo motivo di censura sono fondati quanto alla contestazione relativa alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato.
Quanto all’elemento oggettivo della fattispecie di cui all’art. 476, secondo comma, cod. pen., non vi è dubbio che, anche nel caso di specie, valgano i principi consolidati di questa Corte regolatrice, secondo cui è configurabile il delitto di falso in atti pubblici quando la falsità ricade, oltre che su contenuti alla prova dei quali l’atto è specificamente destinato, anche su requisiti formali e necessari dell’attestazione, quali le persone presenti, il tempo e il luogo di formazione dell’atto, asseverati dal pubblico ufficiale (così, specificamente, la recente Sez. 5, n. 16012 del 28/02/2025, COGNOME, Rv. 287917 – 01; nello stesso senso).
Ed il verbale della riunione del consiglio di classe di un istituto scolastico, quale atto interno di un procedimento amministrativo funzionale all’approvazione delle
valutazioni finali contenute negli scrutini, costituisce certamente atto pubblico, secondo la declinazione della giurisprudenza di legittimità.
Deve, infatti, ribadirsi che, ai fini della configurazione del reato di fals ideologico in atto pubblico, la nozione di atto pubblico comprende non solo gli atti destinati ad assolvere una funzione attestativa o probatoria esterna, con riflessi diretti ed immediati nei rapporti tra privati e pubblica amministrazione, ma anche gli atti c.d. interni. Tali devono intendersi sia quelli destinati ad inserirsi procedimento amministrativo, offrendo un contributo di conoscenza o di valutazione, che quelli che si collocano nel contesto di una complessa sequela procedimentale – conforme o meno allo schema tipico – ponendosi come necessario presupposto di momenti procedurali successivi (Sez. 5, n. 38455 del 10/05/2019, Carta, Rv. 277092; Sez. 5, n. 49417 del 6/10/2003, COGNOME, Rv. 227659 01).
Si tratta di un principio che si esprime anche mediante la considerazione di come il concetto di atto pubblico agli effetti della tutela penale sia più ampio di quello desumibile dall’art. 2699 cod. civ., dovendo rientrare in detta nozione non soltanto i documenti redatti da un notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato, ma anche quelli formati dal pubblico ufficiale o dal pubblico impiegato, nell’esercizio delle loro funzioni, per uno scopo diverso da quello di conferire ad essi pubblica fede, purché aventi l’attitudine ad assumere rilevanza giuridica e/o valore probatorio interno alla pubblica amministrazione (cfr., per tutte, Sez. 5, n. 15901 del 15/02/2021, Pizzuto, Rv. 281041 – 01).
Il verbale della seduta di un consiglio di classe costituisce, dunque, atto pubblico, dotato di fede privilegiata poiché idoneo a documentare le attività e gli adempimenti necessari per la realizzazione dei compiti istituzionali dell’organo collegiale previsto per legge in ambito scolastico ed a produrre effetti nei confronti dei terzi (vedi Sez. 5, n. 46852 del 14/06/2005, COGNOME, Rv. 233037 – 01; Sez. 5, n. 2577 del 16/12/2003, dep. 26/01/2004, COGNOME e altro, Rv. 227856 – 01).
Le specifiche competenze del consiglio di classe, del resto, sono regolate da un decreto legislativo – il d. Igs. n. 297 del 1994, c.d. Testo Unico Istruzione – che le attribuisce a tale organo scolastico: il verbale dà atto dell’attuazione di tal compiti e prerogative, ma anche, come per qualsiasi documento formato da un pubblico ufficiale, della provenienza dell’atto sia con riferimento ai presenti che alla veridicità dei suoi contenuti di attestazione e firma (sulla rilevanza penale della firma apocrifa pur se apposta per conto di soggetto consenziente, cfr. Sez. 5, n. 10671 del 23/11/2021, dep. 2022, Licata Rv. 282862 – 01).
Ciò posto, il reato di falso ideologico pacificamente si configura come ipotesi necessariamente dolosa, ancorché a dolo generico costituito dalla consapevolezza
della falsità dell’attestazione (ex multis, Sez. 1, n. 27230 del 11/09/2020, Taroni, Rv. 279785 – 03).
Tuttavia, l’immutatio veri non costituisce un dolo in “re ipsa” e deve essere provato, dovendosi escludere il reato quando il falso derivi da una semplice leggerezza dell’agente oppure da una negligenza dell’agente, poiché il sistema vigente non incrimina il falso documentale colposo (cfr., oltre alla citata Sez. 1, n. 27230 del 2020, anche, tra le tante, Sez. 3, n. 30862 del 14/05/2015, Di Stasi, Rv. 264328 – 01).
In particolare, la Cassazione ha conferito rilievo, per quanto concerne il tema dell’esclusione del dolo del reato, all’esistenza di prassi amministrative di enti od organismi collegiali proprio riguardo alla redazione di atti quali i verbali, concludendo per la configurabilità di comportamenti negligenti, per non aver compiutamente accertato il pubblico ufficiale le condizioni di redazione formalmente necessarie dell’atto, che, tuttavia, escludono la sussistenza di un atteggiamento doloso e, dunque, del reato di falso, che non è possibile strutturare come fattispecie colposa (cfr., ad esempio, Sez. 5, n. 1963 del 10/12/1999, dep. 2000, Veronese, Rv. 215354; nonché, nel contesto scolastico, Sez. 5, n. 3004 del 13/01/1999, COGNOME, Rv. 212939 – 01).
La scarsa frequenza delle decisioni di questa Corte con le quali si è escluso l’elemento soggettivo prova senz’altro che, nella pratica, le ipotesi di falso “colposo” per negligenza sono raramente accertate.
L’orientamento interpretativo richiamato è, in linea astratta, del tutto condivisibile e va ribadito, applicandolo alla fattispecie in esame, in cui i giudici di merito non hanno preso in considerazione le giustificazioni dell’imputata che, nel ruolo di docente e vicepreside della RAGIONE_SOCIALE comune di RAGIONE_SOCIALE , era stata per l’anno scolastico 2012/2013 nominata sia quale docente coordinatore che quale segretario nei consigli della
classe (dalla contestazione risulta sia stata coordinatrice fino a settembre 2012 e segretario dal mese di ottobre 2012); in periodi sovrapponibili, dunque, in assenza di specifiche indicazioni della sentenza d’appello, ai giorni dei consigli di classe oggetto delle verbalizzazioni per le quali si contesta la falsa apposizione della firma della docente COGNOME (le sedute dei giorni: 11.9.2012; 1.10.2012; 4.12.2012; 20.3.2013).
Il fatto che l’imputata abbia creduto di poter attestare la presenza, in tali sedute del consiglio di classe, di una docente effettivamente intervenuta, come pacificamente risulta dalle sentenze di merito, mediante la sigla della firma “per conto di lei”, è circostanza che potrebbe rilevare e che la Corte d’Appello non ha tenuto in considerazione, quantomeno per far comprendere le ragioni della sua
irrilevanza ai fini della configurabilità dell’elemento soggettivo del reato, irrilevanza certamente possibile.
La peculiare circostanza che la prof.ssal COGNOME risulta assente giustificata e, contemporaneamente, falsamente firmataria del verbale relativo alla ulteriore riunione del 2.5.2013, unita agli incarichi scolastici conferiti alla ricorrente i quell’anno scolastico, contribuiscono a colorare un profilo di eventuale mera negligenza o leggerezza da parte di quest’ultima, date le specifiche circostanze del caso concreto, caratterizzato anche dall’inspiegabilità del falso (si scorge solo un cenno insufficiente nel riferimento al fatto che l’imputata avrebbe avuto fretta di compilare i verbali per la richiesta di accesso agli atti proposta da NOME
: pur non essendo necessario un movente ai fini della configurabilità del reato di falso in atto pubblico, l’esistenza di una spiegazione all’agire dell’imputata avrebbe potuto – e potrebbe – fare meglio emergere il coefficiente soggettivo doloso.
Il profilo di indagine relativo alla mera, possibile azione dovuta a negligenza o leggerezza andava meglio esplorato dalla motivazione della sentenza impugnata, che, invece, non se ne occupa, anche con riguardo al verbale del 2.5.2013, in relazione al quale deve pure nuovamente essere considerato, perché in parte autoevidente, a prescindere dal profilo dell’innocuità del falso, in relazione al quale deve rilevarsi come una qualche idoneità ingannatoria permanga, sia pur nell’ambiguità dell’attestazione di assenza e, contemporaneamente, della firma di presenza della docente COGNOME e sia pur del tutto estemporaneamente, trattandosi di incongruenza immediatamente superabile con un banale accertamento.
1.2. Si impone, dunque, l’annullamento con rinvio del provvedimento d’appello, sotto il profilo della configurabilità del reato con riguardo al coefficiente soggettivo, per le ragioni esposte. Il giudice del rinvio dovrà attenersi ai principi di diritto sin qui enunciati nel rivedere gli elementi di prova esistenti, attivandosi eventualmente anche ai sensi dell’art. 603 cod. proc. pen.
Il terzo motivo di ricorso rimane assorbito dall’annullamento così disposto e si rileva, comunque, la mancata corrispondenza del dispositivo alla motivazione quanto al trattamento sanzionatorio ridotto ad otto mesi di reclusione.
Il ricorso di COGNOME NOME COGNOME è parzialmente fondato, per le ragioni di seguito esposte.
2.1. Il primo motivo ed il secondo motivo sono infondati, alla luce delle argomentazioni del giudice d’appello sulla sussistenza dell’interesse a ricorrere della persona offesa costituita parte civile, in caso di proscioglimento dell’imputato, dal momento che la sussistenza del danno derivante da reato è presumibile
quando la parte civile è la persona offesa (cfr. Sez. 2, n. 31574 del 09/05/2023, COGNOME, Rv. 284954 – 02).
Ai fini della condanna generica al risarcimento dei danni, infatti, non è necessaria la prova della concreta esistenza di danni risarcibili, essendo sufficiente l’accertamento della potenziale capacità lesiva del fatto dannoso e dell’esistenza di un nesso di causalità tra questo e il pregiudizio lamentato, desumibile anche presuntivamente (Sez. 1, n. 51160 del 31/10/2023, Mandolini, Rv. 285612 – 01).
Nel caso di specie, la Corte d’Appello ha riformato agli effetti civili la sentenza di assoluzione emessa dal primo giudice nei confronti dell’imputata ricorrente
L. , condannandola al risarcimento dei danni, individuando, quindi, un interesse della parte civile automaticamente desumibile dalla considerazione del bene giuridico tutelato dall’art. 361 cod. pen., erroneamente valutato nella sentenza di primo grado.
2.2. Il terzo motivo è infondato, poiché, anche se la sentenza impugnata motiva erroneamente sulle ragioni in base alle quali l’appello deve ritenersi ammissibile ‘aj. lo facendo riferimento alla disciplina transitoria relativa all modifiche dell’art. 593, comma 3, cod. proc. pen. analogicamente estesa – le Sezioni Unite, con la sentenza Sez. U, n. 23406 del 30/01/2025, hanno affermato: «l’inappellabilità delle sentenze di proscioglimento relative a reati puniti con la sola pena pecuniaria o con pena alternativa, stabilita dalla seconda parte del terzo comma dell’art. 593 cod. proc. pen., si riferisce esclusivamente all’imputato e al pubblico ministero, e non riguarda, invece, la parte civile, che rimane legittimata a proporre appello, ai soli fini della responsabilità civile, avverso qualsiasi tipo di sentenza di proscioglimento pronunciata nel giudizio, in forza della norma di cui all’art. 576 cod. proc. pen.».
In precedenza, si richiamano, in senso analogo, Sez. 3, ord. n. 15797 del 10/01/2025, Scarfone, Rv. 287996 – 01 e Sez. 5, ord. n. 36932 del 10/7/2024, G., Rv. 287021 – 01.
Del resto, anche nella sentenza Sez. U, n. 36208 del 28/03/2024, COGNOME, Rv. 286880, non mass. sul punto, la Corte di legittimità, pur decidendo altra questione, aveva chiarito, in motivazione, come la parte civile sia legittimata all’impugnazione di tutte le sentenze di proscioglimento pronunciate nel giudizio, senza alcuna distinzione, ritenendo che la possibilità di ottenere il risarcimento del danno al di fuori del processo penale non possa annullare l’interesse a ottenerlo in sede penale.
2.3. Il quarto motivo delle critiche dalla ricorrente rivolte alla sentenza impugnata è fondato.
La Corte di Appello non ha svolto la doverosa attività di rinnovazione della prova dichiarativa decisiva – si tratta di tre testimoni fondamentali, escusse in
primo grado – prima di riformare la sentenza di assoluzione del Tribunale e di condannare la ricorrente agli effetti civili (sulla necessità di tale rinnovazione anche in caso di overturning agli effetti solo civili, cfr., da ultimo, per tutte, Sez. U, n. 22065 del 28/01/2021, Cremonini, Rv. 281228).
2.4. Il quinto motivo di ricorso è assorbito dall’accoglimento della preliminare questione di natura processuale riferita alla rinnovazione istruttoria.
2.5. La fondatezza del quarto motivo di ricorso dell’imputata COGNOME L. determina l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata anche agli effetti civili.
L’annullamento va disposto con rinvio dinanzi al medesimo giudice penale dinanzi al quale si svolgerà il giudizio rescissorio relativo alla coimputata T agli effetti penali.
In proposito, deve ribadirsi il principio secondo cui, nel caso di annullamento di sentenza sia agli effetti penali sia agli effetti civili, il rinvio deve essere dispo unitariamente davanti al giudice penale, posto che il rinvio al giudice civile, di cui alla seconda parte dell’art. 622 cod. proc. pen., è limitato alla sola ipotesi di accoglimento del ricorso della parte civile proposto ai soli effetti civili e d contestuale mancata presentazione o rigetto di ricorsi rilevanti agli effetti penali (cfr. Sez. 5, n. 10097 del 15/01/2015, Cassaniti, Rv. 262633, in una fattispecie del tutto analoga a quella in esame, in cui la Corte di cassazione ha annullato la sentenza impugnata in relazione alla conferma sia dell’affermazione di penale responsabilità di un imputato, sia della esclusione della responsabilità civile di altro imputato, avverso la cui assoluzione non era stato proposto ricorso ai fini penali. Conforme, Sez. 4, n. 2242 del 22/10/2019, dep. 2020, D., Rv. 278029 – 02, nonché Sez. 3 n. 20559 del 2022, non mass.).
Il fondamento di questo principio è individuato sia nella lettera dell’art. 622 cod. proc. pen. («se annulla “solamente” le disposizioni o i capi che riguardano l’azione civile») sia nella ratio di favorire la concentrazione del processo davanti al medesimo giudice, quando le diverse questioni siano tra loro collegate per assicurare una maggiore efficienza delle attività processuali, evitare una duplicazione di attività non necessaria e ridurre i rischi di giudicati almeno potenzialmente contrastanti.
Alla luce di quanto sin qui esposto e nei limiti già enunciati, deve statuirsi l’annullamento della sentenza impugnata, agli effetti penali, nei confronti di COGNOME T
, e agli effetti civili nei riguardi di COGNOME NOME COGNOME , con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Catania, per il giudizio.
3.1. Deve essere disposto, altresì, che siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52 d.lgs. n. 196 del 2003, in quanto imposto dalla legge.
P. Q. M.
Annulla la, sentenza impugnata nei confronti di entrambe le imputate con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte d’Appello di Catania.
In caso di diffusione del provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell’art. 52 del d. Igs. 196 del 2003 in quanto imposto dalla legge.
Così deciso 1 1 11 aprile 2025.