Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 210 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 210 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 25/10/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Genova il 13.12.1970;
avverso la sentenza del 20 dicembre 2022 emessa dalla Corte di appello di Genova;
visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso, riqualificando i fat di cui al capo e) come violazione dell’art. 479 cod. pen., in relazione all’art. 476 cod. pen., con conseguente condanna del ricorrente alle spese del grado; lette le conclusioni dell’avvocato NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale Genova, con decreto emesso in data 15 giugno 2021, ha disposto il rinvio a giudizio di NOME COGNOME per rispondere dei reati di cui agli artt. 81, secondo comma, 110, 314 cod. pen. (capo a), di cui agli artt. 81, secondo comma, 110 cod. pen., 479, in relazione agli artt. 475, 61 n. 2, cod. pen. (capo e) e di cui agli artt. 81, secondo comma, 640, secondo comma, n. 1 cod. pen. (capo f).
Secondo l’ipotesi di accusa, NOME COGNOME, assistente capo coordinatore della Polizia di Stato, avrebbe posto in essere condotte di peculato, appropriandosi dell’autovettura di servizio e del carburante necessario per ac:compagnare il suo superiore NOME COGNOME, dirigente superiore della Polizia di Stato, in numerosi viaggi di trasferimento dalla sede di servizio a vari aeroporti del settentrione d’Italia, in occasione del rientro a casa del medesimo in Sardegna nel fine settimana.
L’imputato, inoltre, in tali occasioni, avrebbe attestato falsamente nei fogli di viaggio (sottoscritti dall’imputato e controfirmati dal superiore) di aver svolt missioni per motivi di servizio e di essere stato impiegato in servizi esterni e, dunque, avrebbe lucrato indebitamente la retribuzione per le 1:rasferte e il lavoro straordinario asseritamente svolto.
Il Tribunale di Genova, con sentenza emessa in data 27 gennaio 2022, all’esito del giudizio dibattimentale:
ha assolto l’imputato, ai sensi dell’art. 530, comma 2, cod. proc. pen., dal reato di peculato a lui ascritto al capo a) perché il fatto non costituisce reato;
ha dichiarato l’imputato responsabile dei reati continuati di falso e di truffa contestati ai capi e) e f) e, concesse le attenuanti generiche ritenute equivalenti alla contestata aggravante, lo ha condannato alla pena sospesa di due anni di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali;
ha disposto la confisca della somma di euro 12.427,59 quale profitto del reato e la restituzione all’imputato della somma di euro 363,43.
La Corte di appello di Genova, con la sentenza impugnata, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, appellata dall’imputato e dal Procuratore della Repubblica, ha dichiarato l’imputato colpevole del reato ascrittogli al capo a), riqualificato ai sensi dell’art. 314, secondo comma, cod. pen. e riqualificato anche il reato ascritto al capo e) ai sensi degli artt. 110, 81, secondo comma, 483 cod.,
pen, lo ha condannato alla pena di un anno, otto mesi e venti giorni di reclusione, confermando nel resto la sentenza di primo grado.
L’avvocato NOME COGNOME nell’interesse dell’imputato, ha presentato ricorso avverso tale sentenza e ne ha chiesto l’annullamento, deducendo tre motivi.
4.1. Con il primo motivo il difensore deduce che la Corte di appello, nel ribaltare la sentenza di assoluzione di primo grado in ordine al delitto di peculato, non si sarebbe conformata al canone della c.d1. motivazione rafforzata.
La motivazione della Corte di appello si sarebbe, infatti, limitata a sostituire quella del giudice di primo grado, senza, tuttavia, dimostrare l’insostenibilità del ragionevole dubbio in ordine alla sussistenza del dolo di peculato.
La Corte di appello, del resto, avrebbe illogicamente inferito la prova del dolo del delitto di peculato dalla prova del delitto di falso, senza chiarire perché, a front di reati strutturalmente diversi, la prova dell’uno abbia influito sulla dimostrazione dell’altro delitto contestato.
4.2. Con il secondo motivo il difensore censura la qualificazione delle condotte di falsificazione dei fogli di viaggio, originariamente contestate come violazioni dell’art. 479 cod. pen., in relazione all’art. 476 cod. pen., successivamente ascritte dalla Corte d’Appello all’ambito applicativo dell’art. 483 cod. pen.
La falsificazione del foglio di viaggio non sarebbe, tuttavia, penalmente rilevante, in quanto mero falso ideologico in un atto rilevante esclusivamente tra privati.
Nel caso di specie, il c.d. foglio di viaggio sarebbe, infatti, privo di ogn rilevanza esterna per la pubblica amministrazione, in quanto conterrebbe attestazioni operate al solo scopo di ottenere la liquidazione della indennità di missione e, dunque, avrebbe una finalità meramente privatistica, nel contesto del rapporto contrattuale intercorrente tra il COGNOME e l’amministrazione.
4.3. Con il terzo motivo il difensore si duole del vizio di motivazione in ordine al reato di truffa.
Il COGNOME, infatti, si sarebbe limitato ad assolvere alle mansioni di servizio impartitegli dal COGNOME; la retribuzione dell’imputato, peraltro, sarebbe dovuta sulla base dell’orario di lavoro e non già del risultato conseguito.
Il COGNOME del resto, quale autista, ai sensi del D.P.C.M. 25/09/2014, non avrebbe avuto alcun potere di scelta rispetto alle disposizioni impartite dal superiore.
La Corte di appello, peraltro, motivando sul delitto di truffa in poche righe, avrebbe omesso di rispondere alle articolate censure mosse nel motivo di appello.
Non essendo stata richiesta la trattazione orale del procedimento, il ricorso è stato trattato con procedura scritta, ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. n. 137 del 28 ottobre 2020, convertito in legge n. 176 del 18 dicembre 2020, prorogato per effetto dell’art. 16, comma 1, del d.l. 30 dicembre 2021, n. 228, convertito con modificazioni dalla legge n. 15 del 25 febbraio 2022, e per le impugnazioni proposte sino al 30 giugno 2023 dall’art. 94, comma 2, del d.lgs. 10/10/2022, n. 150.
Con la requisitoria e le conclusioni scritte depositate in data 9 ottobre 2023, il Procuratore generale ha chiesto di rigettare il ricorso, riqualificando i fatti di al capo E) come violazione dell’art. 479 cod. pen., in relazione all’art. 476 cod. pen., con conseguente condanna del ricorrente alle spese del grado.
In data 12 ottobre 2023 l’avvocato NOME COGNOME ha depositato una memoria, nella quale ha replicato alle conclusioni del Procuratore generale e ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, in quanto i motivi proposti sono manifestamente infondati.
Con il primo motivo il difensore deduce il difetto di motivazione rafforzata con riferimento al ribaltamento della sentenza di assoluzione pronunciata in primo grado in relazione al delitto di peculato.
3. Il motivo è manifestamente infondato.
Secondo le Sezioni Unite di questa Corte, in tema di motivazione della sentenza, il giudice di appello che riformi totalmente la decisione di primo grado ha l’obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, COGNOME, Rv. 231679 – 01).
La giurisprudenza di legittimità ha, peraltro, precisato che, in tema di giudizio di appello, la motivazione rafforzata, richiesta nel caso di riforma della sentenza assolutoria o di condanna di primo grado, consiste nella compiuta indicazione delle ragioni per cui una determinata prova assume una valenza dimostrativa completamente diversa rispetto a quella ritenuta dal giudice di primo grado, nonché in un apparato giustificativo che dia conto degli specifici passaggi logici
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relativi alla disamina degli istituti di diritto sostanziale o processuale, in modo d conferire alla decisione una forza persuasiva superiore (Sez. 6, n. 51898 del 11/07/2019, P., Rv. 278056 – 01).
Nel giudizio di appello, per la riforma di una sentenza assolutoria, dunque, non basta, in mancanza di elementi sopravvenuti, una mera e diversa valutazione del materiale probatorio già acquisito in primo grado ed ivi ritenuto inidoneo a giustificare una pronuncia di colpevolezza, che sia caratterizzata da pari o addirittura minore plausibilità rispetto a quella operata dal primo giudice, occorrendo, invece, una forza persuasiva superiore, tale da far venir meno ogni ragionevole dubbio (ex plurimis: Sez. 3, n. 6817 de 27/11/2014 (dep. 2015), S., Rv. 262524 – 01; Sez. 2, n. 11883 del 08/11/2012 (dep. 2013), COGNOME, Rv. 254725 – 01, nella specie, la Corte ha confermato la sentenza di condanna del giudice di appello che, riformando una sentenza di assoluzione di primo grado per il delitto di truffa per l’incertezza sulla sussistenza del dolo, aveva valorizzat circostanze di fatto già esistenti, ma pretermesse dal primo giudice, idonee a dimostrare con certezza il carattere doloso della condotta; Sez. 6, n. 8705 del 24/01/2013, COGNOME, Rv. 254113 – 01).
Nel caso di specie, tuttavia, la Corte di appello di Genova si è conformata a questo consolidato principio di diritto, nel motivare la consapevolezza dell’imputato dell’illecito utilizzo dell’autovettura di servizio per le esige personali del proprio superiore.
Il Tribunale ha, infatti, ritenuto che il dolo dei delitti di falso contesta capo e), relativo alla compilazione dei fogli di viaggio, non fosse sufficiente a dimostrare il dolo del delitto di peculato, in quanto più volte il Di COGNOME aveva detto al COGNOME di essere stato autorizzato a far rientro alla residenza e non vi era stata alcuna reazione da parte degli altri dirigenti dell’ufficio di appartenenza.
La Corte d’Appello ha, tuttavia, non certo incongruamente rilevato che la falsificazione dei fogli di viaggio ha costituito diretta dimostrazione dell consapevolezza da parte dell’imputato del carattere illegittimo dei viaggi compiuti con l’autovettura di servizio nell’interesse del Di COGNOME.
La Corte ha, infatti, precisato che l’imputato era «consapevole che l’autovettura della pubblica amministrazione non avrebbe potuto essere utilizzata per i viaggi in questione, tanto da occultarne la reale consistenza mediante la falsificazione circa le destinazioni raggiunte».
Nella valutazione non certo illogica della Corte di appello, dunque, il COGNOME ha falsificato i fogli di viaggio, in quanto era consapevole della natura illecit dell’utilizzo dell’autovettura nell’interesse personale del proprio superiore.
La Corte di appello ha, inoltre, escluso in radice che la connivenza dei dirigenti dell’amministrazione potesse assumere efficacia scusante della condotta
illecita del COGNOME, in quanto mera prassi amministrativa contra legem; parimenti il dolo dell’imputato non poteva essere escluso dal rilievo che la condotta illecita era stata tenuta su richiesta di un suo superiore gerarc:hico, trattandosi di attività manifestamente illecita che il COGNOME avrebbe potuto e dovuto rifiutare.
In tal modo la Corte di appello ha confutato integralmente ciascuno degli argomenti posti a fondamento dell’assoluzione pronunciata in primo grado in relazione al delitto di peculato, dimostrando l’insostenibilità del ragionevole dubbio in ordine alla sussistenza del dolo di tale delitto.
La rivisitazione della decisione di primo grado sul punto relativo alla sussistenza del dolo di peculato in capo all’imputato è, dunque, sorretta da argomenti tali da evidenziare oggettive carenze e insufficienze della decisione assolutoria e si sovrappone integralmente alla decisione riformata, dimostrando come il diverso apprezzamento sia l’unico prospettabile al di là di ogni ragionevole dubbio.
Con il secondo motivo il difensore censura la qualificazione dei delitti di falsificazione dei fogli di viaggio, originariamente contestai:i come violazione dell’art. 479 cod. pen., in relazione all’art. 476 cod. pen. e riqualificati dalla Cor d’appello ai sensi dell’art. 483 cod. pen.
Ad avviso del difensore, la falsificazione del foglio di viaggio non sarebbe, infatti, penalmente rilevante, in quanto falso ideologico in un atto rilevante esclusivamente tra privati.
5. Il motivo è manifestamente infondato.
La Corte di appello ha qualificato le condotte di falso accertate quali delitti di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico, ai sensi dell’art. 483 cod. pen., sulla base di una motivazione che necessita di rettifica al sensi dell’art. 619 cod. proc. pen.
La Corte di appello ha, infatti, posto a fondamento della propria riqualificazione una recente pronuncia della Corte di cassazione (Sez. 5, n. 28316 del 05/05/2021, Fuoco, Rv. 281628 – 01), che ha ritenuto applicabile la fattispecie di cui all’art. 483 cod. pen. in un caso di falsificazione di “fogli di viaggio” da par di un impiegato dell’Azienda territoriale per l’edilizia residenziale pubblica regionale (A.T.E.R.P.) della Calabria; in tal caso la Corte di cassazione ha ritenuto che l’imputato agisse come soggetto privato, nell’ambito di un rapporto di lavoro soggetto a disciplina privatistica, e che, dunque, i “fogli di viaggio” fossero dirett in via immediata e diretta, a determinare il regolare svolgimento della prestazione di lavoro e la retribuzione dovuta e, solo in via mediata e indiretta, ad accertare il regolare svolgimento del servizio.
Nel caso di specie, tuttavia, l’autore della condotta di falsificazione è un assistente della Polizia di Stato e, pertanto, risulta appropriata l’originari ascrizione delle condotte accertate nel presente giudizio al delitto di falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici.
L’imputato, infatti, per quanto accertato nei giudizi di merito, nella propria qualità di pubblico ufficiale, mediante la compilazione dei fogli di viaggio, ha attestato falsamente di aver svolto «missioni» e, dunque, attività istituzionali del proprio ufficio, in realtà non avvenute.
La giurisprudenza di legittimità ha, del resto, statuito che integra il delitto d cui all’art. 479 cod. pen. la compilazione da parte di un agente di polizia di una relazione di servizio, completa di nota di straordinario e di foglio di viaggio attestante falsamente la presenza ad un servizio di ordine pubblico fuori sede, funzionale a conseguire l’indennità di straordinario (Sez. 5, n. 5079 del 10/01/2020, Cosimati, Rv. 278739 – 01).
I fogli di comunicazione di lavoro straordinario redatti da agenti di polizia hanno, infatti, natura di atti pubblici, in quanto, non diversamente dalle relazioni di servizio, attestano attività di ordine pubblico svolta dai pubblici uffici nell’esercizio delle loro funzioni (Sez. 5, in. 34817 del 05/07/2011, COGNOME, Rv. 250942 – 01); in questa pronuncia la Corte ha rilevato che tali atti costituiscono tra l’altro la base per la futura organizzazione del servizio, inevitabilmente destinata a rimanerne condizionata in caso di indicazione di operazioni di fatto non svolte.
Le false attestazioni di «missioni» sottoscritte dall’imputato, sono, dunque, non solo penalmente rilevati, in quanto non sono ascrivibili ad un ambito meramente privatistico, ma integrano anche il reato di falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici ai sensi dell’art. 479 cod. plen.
Il motivo è, dunque, manifestamente infondato e le condotte di falsificazione realizzate dal ricorrente devono essere qualificate secondo l’originaria qualificazione (art. 479 in relazione all’art. 476 cod. pen.), pur senza determinare alcun aumento della pena irrogata, in assenza di impugnazione da parte della pubblica accusa sul punto.
Con il terzo motivo il ricorrente deduce il vizio di motivazione in ordine al reato di truffa contestato al capo f) dell’imputazione.
7. Anche questo motivo è manifestamente infondato.
La Corte di appello ha motivato congruamente, sulla base degli accertamenti svolti nel giudizio di merito e delle dichiarazioni confessorie rese dall’imputato, in relazione a ciascun elemento costitutivo del contestato delitto di truffa.
I giudici di secondo grado hanno evidenziato come le false attestazioni sottoscritte dal ricorrente abbiano costituito gli artifizi e raggiri che hanno indot in errore l’amministrazione di appartenenza, determinandola a liquidare in favore dell’imputato compensi non spettanti (per indennità di viaggio, albergo, pasti, diaria, servizio esterno e straordinario) in relazioni a «missioni fuori dalla sede di servizio» false.
L’imputato ha, inoltre, conseguito un ingiusto profitto, percependo emolumenti maggiorati e non dovuti, in relazione ad attività che esulavano da quelle connesse a[ proprio servizio.
La Corte di appello ha, dunque, motivato sinteticamente ma compiutamente sul delitto di truffa e, con tali argomentazioni, ha dimostrato Vinfondatezza delle censure proposte dalla difesa nell’atto di appello relativamente a tale imputazione.
I giudici di secondo grado hanno, inoltre, espressamente confutato l’argomento difensivo secondo il quale non sarebbe configurabile un ingiusto profitto, in quanto l’attività lavorativa svolta dal COGNOME avrebbe pur sempre dovuto essere remunerata sulla base dell’orario di lavoro effettivamente svolto e non già del risultato conseguito.
La Corte di appello ha, infatti, rilevato che il COGNOME non poteva vantare alcun credito per le trasferte illecite oggetto di imputazione, in quanto esulavano del tutto dalle mansioni di servizio – essendo state realizzate nell’esclusivo interesse privatistico del superiore – e, comunque, non hanno recato alcuna utilità, neppure indiretta, all’amministrazione pubblica.
Nessun rilievo possono, inoltre, assumere le deduzioni svolte dalla difesa in ordine all’assenza di poteri di scelta del Ivlorbelli, che svolgeva le mansioni meramente materiali di autista, a fronte delle determinazioni del superiore; la Corte di appello ha, infatti, rilevato, con motivazione congrua, come l’imputato abbia consapevolmente scelto di eseguire un ordine illegittimo e come la L I L «situazione di sudditanza cheyffldebolito la capacità di reazione» dell’imputato non elide la rilevanza penale della sua condotta, ma giustifica solo l’applicazione delle attenuanti generiche.
Il vizio di motivazione denunciato è, dunque, manifestamente insussistente.
Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Il ricorrente deve, pertanto, essere condannato, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento«
In virtù delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso siano stato presentato senza «versare in colpa nella determinazione della
causa di inammissibilità», deve, altresì, disporsi che il ricorrenteversi la somma, determinata invia equitativa, di tremila euro in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 154-ter disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso in Roma, il 25/10/2023.