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Falso in atto pubblico: condanna per l’agente di Polizia

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna di un assistente di Polizia per peculato, falso in atto pubblico e truffa. L’agente aveva utilizzato l’auto di servizio per accompagnare un superiore in viaggi personali, falsificando i relativi fogli di viaggio per farli apparire come missioni istituzionali. La sentenza sottolinea che la falsificazione dei documenti costituisce prova della consapevolezza dell’illecito (dolo) e che il foglio di viaggio, se compilato da un pubblico ufficiale, è un atto pubblico a tutti gli effetti.

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Pubblicato il 16 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Falso in atto pubblico: la Cassazione sul valore dei fogli di viaggio

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 210/2024, ha affrontato un caso delicato riguardante un assistente della Polizia di Stato condannato per peculato, truffa e falso in atto pubblico. La vicenda offre importanti spunti sulla responsabilità del dipendente pubblico che esegue ordini illeciti e sulla natura giuridica dei documenti di servizio. La Corte ha stabilito che la falsificazione dei fogli di viaggio, oltre a costituire un reato autonomo, è la prova diretta della consapevolezza dell’uso illecito dei beni della Pubblica Amministrazione.

I fatti del caso

Un assistente capo coordinatore della Polizia di Stato era stato accusato di essersi appropriato dell’autovettura di servizio e del relativo carburante per scopi non istituzionali. Nello specifico, l’agente aveva effettuato numerosi viaggi per accompagnare il proprio superiore, un dirigente, verso diversi aeroporti del Nord Italia in occasione dei suoi rientri a casa per il fine settimana.

Per mascherare la natura privata di tali trasferte, l’imputato attestava falsamente sui fogli di viaggio di aver svolto missioni per motivi di servizio. Tale condotta gli permetteva, inoltre, di percepire indebitamente retribuzioni per trasferte e lavoro straordinario, configurando così anche il reato di truffa ai danni dello Stato.

L’iter giudiziario

Il percorso processuale è stato complesso. Il Tribunale di primo grado aveva assolto l’imputato dal reato di peculato, pur condannandolo per falso e truffa. Secondo il primo giudice, non era stata raggiunta la prova certa del dolo, ovvero della consapevolezza di commettere un illecito.

La Corte di Appello, invece, aveva riformato la sentenza, dichiarando l’agente colpevole anche del reato di peculato. I giudici di secondo grado hanno ritenuto che la sistematica falsificazione dei fogli di viaggio fosse una prova inequivocabile della piena consapevolezza dell’imputato circa l’illegittimità dell’utilizzo dell’auto di servizio. L’imputato ha quindi presentato ricorso in Cassazione.

## Il falso in atto pubblico come prova del dolo di peculato

Uno dei punti centrali del ricorso riguardava la violazione dell’obbligo di ‘motivazione rafforzata’ da parte della Corte di Appello nel ribaltare l’assoluzione per il peculato. La Cassazione ha respinto questa tesi, giudicando la motivazione d’appello pienamente logica e coerente. I giudici supremi hanno chiarito che la condotta di falsificazione dei fogli di viaggio non era un elemento slegato, ma la diretta dimostrazione del carattere illegittimo dei viaggi. Occultare la reale destinazione e lo scopo del viaggio provava che l’imputato era ‘consapevole che l’autovettura della pubblica amministrazione non avrebbe potuto essere utilizzata per i viaggi in questione’. In sostanza, il falso in atto pubblico è diventato la chiave per dimostrare l’intento criminoso del peculato.

## La natura giuridica del foglio di viaggio

La difesa aveva sostenuto che il foglio di viaggio fosse un atto con rilevanza meramente interna e privatistica, contestando la configurabilità del reato di falso. La Corte di Cassazione ha rigettato anche questa argomentazione, operando una rettifica della qualificazione giuridica data dalla Corte d’Appello. Sebbene i giudici di secondo grado avessero qualificato il fatto come falso commesso dal privato in atto pubblico (art. 483 c.p.), la Cassazione ha precisato che la qualifica originaria era quella corretta: falso ideologico commesso dal pubblico ufficiale in atti pubblici (art. 479 c.p.).

La Corte ha ribadito che un agente di Polizia, nel compilare una relazione di servizio o un foglio di viaggio, agisce nella sua qualità di pubblico ufficiale. Tali documenti sono atti pubblici perché attestano attività istituzionali e sono destinati a produrre effetti giuridici, come la liquidazione delle indennità e l’organizzazione futura del servizio.

le motivazioni

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile in quanto manifestamente infondato. La motivazione dei giudici di legittimità si è concentrata su tre aspetti fondamentali. In primo luogo, ha confermato che la Corte d’Appello ha correttamente adempiuto all’obbligo di motivazione rafforzata, dimostrando come la falsificazione dei registri di viaggio fosse un elemento decisivo e logicamente collegato per provare il dolo del peculato, superando così il ‘ragionevole dubbio’ del primo giudice. In secondo luogo, pur correggendo la qualificazione giuridica del reato di falso, ha stabilito senza equivoci che i fogli di viaggio compilati da un agente di polizia sono atti pubblici, in quanto documentano attività svolte nell’esercizio di funzioni pubbliche. Infine, ha ritenuto infondate le censure sul reato di truffa, evidenziando come le false attestazioni avessero indotto in errore l’amministrazione, portandola a liquidare compensi non dovuti per missioni mai avvenute.

le conclusioni

La sentenza consolida importanti principi in materia di reati contro la Pubblica Amministrazione. Viene rafforzato il nesso probatorio tra il reato di falso e altri delitti, come il peculato, dove il primo può diventare la prova schiacciante dell’intento colpevole del secondo. Inoltre, si riafferma che la qualifica di pubblico ufficiale impone un dovere di veridicità nella redazione di tutti gli atti di servizio, i quali non possono essere considerati mere scritture private. La decisione sottolinea infine l’irrilevanza, ai fini della scusabilità della condotta, dell’aver agito su ordine di un superiore, quando l’ordine è palesemente illegittimo. Tale circostanza può al massimo valere come attenuante, ma non esclude la responsabilità penale.

Un dipendente pubblico può essere condannato se commette un illecito su ordine di un superiore?
Sì. Secondo la Corte, eseguire un ordine manifestamente illecito non esclude la responsabilità penale. La condizione di subordinazione gerarchica può essere considerata come un’attenuante, ma non giustifica la commissione del reato.

Il foglio di viaggio compilato da un agente di Polizia è un atto pubblico?
Sì. La Corte di Cassazione ha chiarito che i fogli di comunicazione di lavoro e di viaggio redatti da agenti di polizia hanno natura di atti pubblici, poiché attestano attività di ordine pubblico svolte da pubblici ufficiali nell’esercizio delle loro funzioni.

La falsificazione di un documento può essere usata come prova per un altro reato?
Sì. In questo caso, la Corte ha stabilito che la sistematica falsificazione dei fogli di viaggio era la prova diretta della consapevolezza dell’imputato di utilizzare illecitamente l’auto di servizio, dimostrando così il dolo necessario per configurare il reato di peculato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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