Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 29344 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 29344 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 21/03/2024
SENTENZA
avverso la sentenza del 15/03/2023 della Corte di appello di Lecce – sez. dist. di sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato a Martina Franca il DATA_NASCITA Taranto;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata, relativamente al reato di cui alla seconda parte del capo D) dell’imputazione, al diniego della richiesta di rinnovazione dell’istruttori dibattimentale ai sensi dell’art. 603 cod. proc. pen. ed alla negata applicazione degli artt. 131-bis, 62-bis e 62, primo comma, n. 6), cod. pen., per omessa motivazione, nonché il rigetto del ricorso nel resto.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 15 marzo 2023, la Corte di appello di Lecce, in riforma della sentenza di condanna del Tribunale di Taranto resa in data 17 maggio 2022, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti del ricorrente in relazione ai reati di cui agli artt. 110 e 734 cod. pen. (capo B), e 71 e 95 del d.P.R. n. 380 del 2001 (capo C), perché estinti per intervenuta prescrizione, confermando invece la condanna alla pena condizionalmente sospesa di mesi 2 di reclusione, per i reati di cui al capo D) dell’imputazione, previsti dagli artt. 81 e 481 cod. pen., per avere il ricorrente, in qualità di direttore dei lavori, con più atti esecutivi di un medesi disegno criminoso, attestato il falso nella S.C.I.A. presentata il 29 dicembre 2014, allorché ha dichiarato, con riferimento al PPTR adottato dalla Regione Puglia ed al PAI, che l’immobile non fosse assoggettato ad alcun vincolo, nonché per avere dichiarato falsamente, nella S.C.I.A. in sanatoria del 28 novembre 2016, che i lavori fossero conformi agli strumenti urbanistici approvati e ai regolamenti edilizi vigenti, fossero stati compatibili con la normativa in materia sismica e non avessero interessato le parti strutturali dell’edificio.
Avverso la sentenza, l’imputato, mediante il difensore, ha proposto ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento.
2.1. Con un primo motivo di doglianza, si censurano il vizio di motivazione afferente sia alla condotta materiale relativa alla presentazione della SRAGIONE_SOCIALE in data 29 dicembre 2016, sia alla presunta esistenza giuridica, oltre che dei vincoli paesaggistici al momento di tale asseverazione, anche di uno specifico vincolo idrogeologico sull’immobile in esame – nonché la conseguente violazione degli artt. 125 e 546, comma 1, n. 1), cod. proc. pen., e l’erronea applicazione della legge penale sostanziale con riferimento all’art. 481 cod. pen. e ad altre norme di cui è necessario tenere conto (artt. 181, 143, 134 del d.lgs. n. 42 del 2004 e atti normativi di settore), in relazione all’elemento oggettivo del reato di cui al capo D).
In primo luogo, sostiene il ricorrente che la Corte di appello di Lecce avrebbe omesso qualsivoglia riferimento alla materialità della condotta di falso relativa alla S.C.I.A. del 29 dicembre 2016. Il giudice di secondo grado, infatti, da un lato, si sarebbe limitato alla trattazione della sola condotta afferente alla S.C.I.A. del 2014; dall’altro, si sarebbe, invece, erroneamente astenuto dall’affrontare nel merito le questioni concernenti l’effettiva sussistenza del reato di cui al capo C) dell’imputazione, dichiarato estinto per prescrizione, omettendo di considerare che il solo eventuale accertamento positivo della prescritta violazione contestata avrebbe consentito di sostenere la falsità della condotta di cui al capo D), costituendone un antecedente logico, giacché in tanto l’attestazione dedotta avrebbe potuto dirsi falsa, in quanto il relativo tipo di opera fosse stato suscettibil
di essere ascritto alle categorie per cui sono richieste l’autorizzazione e le denunce relative; di talché, nel caso di specie, ancor più evidente risulterebbe la totale carenza motivazionale lamentata sul punto, non potendosi dedurre le ragioni della decisione neanche dalle considerazioni relative al predetto capo C).
Né i giudici di merito si sarebbero adeguatamente confronl:ati con le doglianze difensive, sollevate con l’atto di appello, concernenti la necessità di qualificare l lavorazioni effettuate in termini di opere minori, come tali prive di rilevanza per l pubblica incolumità a fini sismici, omettendo di precisare quale fosse il substrato fattuale e normativo costituente, nel caso di specie, l’elemento oggettivo del falso contestato.
Quanto, invece, alle censure relative alla presunta esistenza giuridica, oltre che dei vincoli paesaggistici al momento di tale asseverazione, anche di uno specifico vincolo idrogeologico sull’immobile in questione, rileva il ricorrente la contraddittorietà della motivazione del provvedimento impugnato.
Quest’ultimo, infatti, avrebbe ribadito la condotta dolosa del COGNOME, omissiva della dichiarazione di sottoposizione dell’immobile ai vincoli in esame, salvo poi richiamare successivamente una pronuncia della Corte di cassazione (Sez. 3, n. 19146 del 22/11/2017, dep. 2018, Rv. 273195) che – a) effettuando una ricognizione della normativa prevista dal d.lgs. n. 42 del 2004 e, segnatamente, delle modifiche apportate dal d.lgs. n. 63 del 2008 agli artt. 134, comma 1, lettera c), 143 e 146 del primo decreto; b) fissando il principio di diritto secondo cui «non sono beni paesaggistici ai sensi dell’art. 134 del d.lgs. n. 42 del 2004, gli immobili e le aree sottoposti a tutela dai piani paesaggistici ai sensi della lettera e) dell’art. 143, comma 1, d.lgs. n. 42 del 2004»; c) prevedendo che «Gli interventi eseguiti su dette aree ed immobili senza autorizzazione non sono punibili ai sensi dell’art. 181 del d.lgs. n. 42 del 2004 ma restano punibili ai sensi dell’art 44, primo comma, lettera c), del d.P.R. n. 380 del 2001» – consentirebbe, invece, di ricondurre l’immobile in esame nell’alveo di quei beni che, rientrando nella categoria degli «ulteriori contesti», non potrebbero dirsi «beni paesaggistici» e, pertanto, non necessiterebbero di specifica autorizzazione per cgli interventi edilizi.
Parimenti contraddittoria apparirebbe la motivazione della sentenza gravata in punto di applicabilità della disciplina di cui al PPTR della Regione Puglia. La Corte di appello, ritenendo coerente la mancanza di indicazioni nel certificato di destinazione urbanistica relativo all’immobile con la mancata approvazione del piano, ne avrebbe, in un primo momento, implicitamente ammesso la mancata approvazione, salvo poi ritenere comunque sussistente, sul piano giuridico, al momento della presentazione della SRAGIONE_SOCIALEARAGIONE_SOCIALE, il vincolo in questione, omettendo di considerare che il PPTR, pur adottato con delibera del 2 agosto 2013, sarebbe stato definitivamente approvato con d.G.R. n. 176 del 16 febbraio 2015, di talché
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Ak esso – come risultante dalla stessa sentenza impugnata e dagli allegati ivi addotti – non sarebbe stato ancora in vigore alla data di presentazione della prima S.C.I.A. (29 dicembre 2014). La Corte di appello sarebbe, pertanto, incorsa in un vizio di manifesta illogicità, presupponendo essa che il ricorrente avrebbe dovuto ricavare l’esistenza del vincolo dalla mera adozione del piano, ancorché non ancora approvato definitivamente, da parte della Regione. A sostegno delle proprie argomentazioni, il ricorrente richiama anche l’art. 143, primo e terzo comma, del d.lgs. n. 42 del 2004, che, nella parte in cui prevede un termine per provvedere all’approvazione del piano, alla scadenza del quale non vi sarebbe alcun automatismo, dovendo intervenire il potere sostitutivo dell’autorità amministrativa ministeriale.
Il ricorrente lamenta, inoltre, il difetto di motivazione del provvedimento impugnato in ordine alla sussistenza, a carico dell’immobile in questione, di un vero e proprio vincolo paesaggistico anche a seguito dell’entrata in vigore del PPTR. Pur a fronte del fatto che – avendo tale atto individuato quale «ulteriore contesto» il «Parco multifunzionale della valle dei trulli» e disposto l’obbligo, per soggetti pubblici competenti, di individuare e tutelare, all’interno di tale area, beni specifici oggetto di tutela, valendo l’individuazione della predetta area solo come direttiva – la cisterna interrata di proprietà dell’originario coimputato e oggetto di giudizio non sarebbe risultata tra gli oltre trecento elementi individuati dal comune di Martina Franca come beni da tutelare, né essa sarebbe stata censita – come risulta dalle prove testimoniali acquisite al dibattimento – come bene paesaggistico oggetto di tutela, la Corte di appello si sarebbe limitata a dare atto dell’adozione delle norme di salvaguardia e dell’inserimento dell’area in quella SIC «Murgia Sud Est» e nella cartografia «Ambiti territoriali Estesi», senza tuttavia, spiegare se il bene oggetto di lavori, anche qualora rientrante nella relativa area, fosse stato specificamente indicato come bene sottoposto a tale tutela, così ulteriormente contravvenendo alla vigente normativa di settore ed altresì violando l’art. 481 cod. pen. relativamente al profilo oggettivo del fatto di reato previsto. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Per quanto attiene, infine, al vincolo idrogeologico ex PAI, specifica la ricostruzione difensiva che la Corte di appello avrebbe fallacemente omesso di confrontarsi con le doglianze avanzate nei motivi di appello, secondo le quali, in particolare: a) nessuna traccia dell’esistenza di un Piano di Assetto Idrogeologico e delle relative perimetrazioni sarebbe esistita nella certificazione di destinazione urbanistica allegata all’atto di compravendita, con cui il coimputato committente acquistò la proprietà del fondo rustico con fabbricato a trulli interessati dall’odierna vicenda; b) lo RAGIONE_SOCIALE, a seguito della ricezione della RAGIONE_SOCIALE, non si sarebbe mai adoperato per acquisire l’atto di assenso dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE per l’esecuzione delle opere segnalate; c) l’applicabilità dei vinc:oli del PAI sarebbe
pressocché irrilevante nel caso di specie, non rientrando le aree interessate dalla S.C.I.A. né tra quelle ad alta né tra quelle a media o bassa pericolosità idraulica; d) la compatibilità paesaggistica delle opere realizzate con la SCIA con il contenuto della normativa PAI sarebbe stata oggetto di verifica, con esito positivo, da parte dell’RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE della Puglia.
2.2. In secondo luogo, si lamentano il vizio di motivazione, in ordine agli artt. 190, 603, 546, 581, comma 1, lettera b), cod. proc. pen., la violazione degli artt. 223 e 178, comma 1, lettera c), cod. proc. pen, e la mancata acquisizione di prova decisiva di cui all’art. 606, comma 1, lettera d), cod. proc. pen., anche con riferimento agli artt. 111, secondo comma, Cost. e 6 CEDU, per violazione del diritto al contraddittorio tecnico e del diritto alla prova, per la manca rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale volta all’acquisizione della consulenza tecnica di parte, decisiva ai fini del giudizio.
In particolare, vi sarebbe carenza assoluta di motivazione, da parte del giudice dell’appello, sulle ragioni per le quali la richiesta consulenza di parte non avrebbe dovuto essere acquisita. La Corte di appello di Lecce, infatti, avrebbe erroneamente omesso di motivare in ordine alla decidibilità del giudizio allo stato degli atti e sulla presunta superfluità della negata rinnovazione istruttoria, la quale, all’opposto, secondo quanto sostenuto dalla difesa, offrendo un’accurata analisi della normativa complementare ed extrapenale, avrebbe consentito, conformemente a quanto previsto dalla giurisprudenza di legittimità in materia di rinnovazione istruttoria, di colmare le lacune e le manifeste illogicità rilevanti.
A fronte dei molteplici difetti motivazionali rilevati sub 2.1., il consulente tecnico della difesa, del resto, avrebbe potuto chiarire che: a) né la individuazione nel PPTR dell’ulteriore contesto costituito dal <<parco multifunzionale della valle dei trulli» né le misure di salvaguardia e utilizzazione dei paesaggi rurali di cui all'ar 83 delle NTA del PPTR sono fonte impositiva di vincoli, con la conseguenza che la perimetrazione territoriale dello stesso «parco multifunzionale della valle dei trulli» non avrebbe potuto rappresentare di per sé un vincolo paesaggistico, tanto che, altrimenti, gli interventi possibili al suo interno non sarebbero stati assoggettati a semplice accertamento di compatibilità ex art. 91 delle NTA del PPTR ma a vera e propria autorizzazione paesaggistica; b) dai rilievi fotografici documentati, non è emersa la realizzazione di un complesso di strutture, bensì quella di sporadiche e indipendenti modestissime travi; di talché non avrebbe potuto essere possibile parlare di opere in conglomerato cementizio armato normale ai sensi dell'art. 53, comma 1, lettera a), del d.P.R. n. 380 del 2001; c) la doppia verifica di conformità ha offerto dimostrazione effettiva della veridicità di quanto dichiarato dall'odierno ricorrente; d) gli interventi contestati sono stati considerati, nella stessa deliber della Giunta regionale, come opere minori, come tali irrilevanti dal punto di vista
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della sicurezza sismica; e) la cisterna interrata di pertinenza del fabbricato rurale non rientra nei 303 elementi individuati come beni da tutelare nello studio di dettaglio dello strumento urbanistico PUG del Comune di Martina Franca.
Secondo la ricostruzione difensiva, tale mancata acquisizione istruttoria integra, poi, sia la violazione del diritto al contraddittorio – e, dunque, la nullit ordine AVV_NOTAIO di cui all'art. 178, comma 1, lettera c), cod. proc. pen. – sia il vizi di cui all'art. 606, comma 1, lettera d), cod. proc. pen., in ordine alla mancata assunzione di una prova decisiva e, più in AVV_NOTAIO, del diritto ad un equo processo (artt. 111 Cost. e 6 CEDU), per avere la Corte di appello impedito all'imputato di offrire al giudice una prova di tipo tecnico a discarico, a fronte di una prova altrettanto tecnica posta a suo carico.
2.3. Con una terza censura, ci si duole della violazione degli artt. 42, 43 e 481 cod. pen. per carenza dell'elemento soggettivo del reato, nonché del relativo difetto di motivazione, anche alla luce dei parametri di cui agli artt. 192 e 533 cod. proc. pen. sul rilievo che il delitto in questione sarebbe punito esclusivamente a titolo di dolo, mentre, all'odierno ricorrente potrebbe imputarsi, al massimo, un rimprovero a titolo di colpa per la negligenza riposta nel non avere operato verifiche più approfondite in ordine all'esistenza o meno dei vincoli in questione.
A fronte della scarsa diligenza dell'imputato – che avrebbe confidato nella inesistenza dei vincoli paesaggistici sulla base della circostanza che, come già anticipato sub 2.1., il PPTR non potesse ritenersi vigente al momento della presentazione della prima S.C.I.A., giacché non ancora definitivamente approvato, e nell'assenza del vincolo idrogeologico per aver consultato una cartografia ufficiale, allegata anche all'atto di compravendita del gennaio 2014, che non ne dava atto – la Corte di appello avrebbe, infatti, illogicamente ritenuto integrato i coefficiente psicologico del dolo eventuale, sulla base della presunta «mancata verifica dell'esistenza di ulteriori prescrizioni». Sennonché, osserva il ricorrente che, proprio sul rilievo delle medesime argomentazioni, si era pronunciato il Tribunale di primo grado, il quale, all'opposto, si era espresso nel senso di un rimprovero in termini di "leggerezza" (dunque colposo), evidenziando la necessità di maggiori approfondimenti tecnici. Secondo la prospettazione difensiva, inoltre, la ricostruzione fornita dai giudici di merito finirebbe illogicamente per ammettere la coesistenza, nell'unico reato di falso ideologico, di più tipologie di dolo, allorch il ricorrente, in un caso, avrebbe semplicemente accettato il rischio, mentre, in altro momento avrebbe avuto la precisa volontà di attestare il falso per guadagnare il tempo che altrimenti avrebbe speso nell'ottenimento dei permessi.
In maniera altrettanto illogica e contraddittoria, la Corte di appello avrebbe poi ritenuto sussistente, in capo all'odierno imputato, benché agente in qualità di direttore dei lavori e non di committente, un concreto interesse alla falsificazione
della rappresentazione e all'elusione delle procedure amminis:rative – rinvenendo i! fine da costui perseguito nell'eventuale ottenimento postumo del permesso a costruire, sulla base del rilievo del tempo intanto guadagnato nella realizzazione delle opere – salvo poi non contestare al committente dei lavori la correità nel delitto di falso; con ciò, dunque, sostenendo illogicamente che il professionista avrebbe agito volontariamente per un suo interesse, senza tuttavia considerare che, secondo le comuni massime di esperienza, il professionista stesso è sempre incaricato di svolgere un servizio nell'interesse esclusivo del proprio cliente.
Al fine poi di sostenere l'erroneità della sussunzione dell'elemento soggettivo nella categoria del dolo eventuale, il ricorrente richiama due pronunce della Corte di cassazione in materia di dolo eventuale di falso – calibrato per lo più sul rimprovero per difetto di controllo – dalle quali emergerebbero le due diverse ipotesi fattuali intorno alle quali si sarebbe consolidata la giurisprudenza di legittimità, e nelle quali, tuttavia, a parere del ricorrente, non sarebbe possibil incasellare il caso di specie. La prima pronuncia, infatti, farebbe riferimento al soggetto che attesta la veridicità di un fatto senza aver minimamente esperito alcuna verifica, riconducendo dunque tale condotta alla categoria del dolo eventuale; la seconda, invece, tratterebbe di colui che si sia confrontato direttamente con il rischio che quanto dichiarato possa non essere conforme alla realtà, così escludendo la rilevanza del difetto di controllo ai fi n i del dolo, salvo caso del dolo eventuale, allorché risulti la rigorosa dimostrazione che l'agente si sia confrontato con la specifica categoria di evento. Nel caso di specie, tuttavia, avendo il COGNOME consultato la cartina idrogeografica ufficiale ed il certificato destinazione urbanistica da cui non emergevano vincoli e avendo ritenuto le opere, oggetto della seconda S.C.I.A., come opere minori non incasellabili nella normativa di riferimento, non vi sarebbe stato difetto di controllo né sarebbe mai stata presa in considerazione l'ipotesi di una non corrispondenza al vero. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Infine, non si sarebbe tenuto adeguatamente conto della circostanza che tutte le attività edilizie avessero trovato poi sanatoria successiva con efficacia ex ante; ciò che, anzi, secondo la ricostruzione difensiva, unitamente alla carenza di interesse diretto del professionista ad attestare il falso, deporrebbe univocamente pe- l'assenza del dolo nel caso di specie, potendosi al più discutere di profili di colpa professionale.
2.4. Con un quarto motivo di ricorso, si deducono la violazione dell'art. 131bis cod. pen. ed il connesso difetto motivazionale. Il giudice dell'appello, con motivazione apparente perché mancante di qualsivoglia valutazione congiunta delle peculiarità della fattispecie concreta, pur debitamente evidenziate dalla difesa nell'atto di gravame, ai fini della applicazione della causa di esclusione della punibilità della particolare tenuità del fatto, avrebbe omesso di confrontarsi con i
molteplici presupposti, emergenti nel caso di specie, per la sua applicazione, quali: a) l'estinzione del reato di cui all'art. 181 del d.lgs. n. 42 del 2004; b) concessione, da parte delle autorità competenti, del permesso in sanatoria relativamente alle irregolarità oggetto dei due atti di S.C.I.A.; c) la non abituali del reato e l'incensuratezza del ricorrente; d) la pacifica inesistenza di un caso di totale difformità amministrativa dell'opera, avendo al più l'imputato erroneamente presentato una in luogo della richiesta di permesso a costruire; e) la bassissima intensità del dolo contestato al COGNOME, nella forma minima del dolo eventuale. Né i giudici di merito, ponendosi in contrasto con la giurisprudenza di legittimità in materia di riconoscimento della causa di non punibilità in questione a fronte di reati unificati nel vincolo della continuazione (Sez. U., n.18891 del 27/01/2022, Rv. 283064), avrebbero tenuto debitamente conto delle modalità di esecuzione del disegno criminoso, dell'esiguità del pericolo, del lasso di tempo intercorrente tra un fatto e un altro e della condotta, tenuta dall'imputato, prima e dopo la commissione del presunto fatto di reato.
2.5. Un quinto motivo di impugnazione si riferisce all'inosservanza della legge peiiale sostanziale e alla connessa manc:anza totale di motivazione circa l'applicazione delle circostanze attenuanti di cui agli artt. 62-bis e 62, primo comma, n. 6, cod. pen. A parere del ricorrente, la richiesta di concessione della circostanza attenuante di cui all'art. 62, primo comma, n. 6, cod. pen. sarebbe giustificata dalla circostanza che l'imputato aveva interamente riparato il danno, essendosi adoperato spontaneamente per elidere, o comunque attenuare, le conseguenze dannose o pericolose del reato, mediante il deposito di una S.C.I.A. in sanatoria pochi giorni dopo il primo intervento sulle aree di cantiere da parte del Corpo forestale. La Corte di appello avrebbe inoltre omesso di confrontarsi con le doglianze difensive relative alla concessione delle attenuanti generiche, limitandosi apoditticamente a negarne il riconoscimento.
2.6. Con una sesta doglianza, si lamentano la violazione degli artt. 175 cod. peri. e 597 cod. proc. pen. ed il relativo difetto motivazionale con riferimento alla mancata concessione del beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale. Secondo le asserzioni difensive, tale beneficio sarebbe stato escluso senza alcuna giustificazione ancorché esso, sussistendone i presupposti, fosse stato espressamente richiesto nell'atto di appello – ciò che, secondo la giurisprudenza di legittimità, imporrebbe in capo al giudice uno specifico onere motivazionale sul punto – e benché la Corte di appello, incorrendo in evidente contraddizione, avesse confermato, a favore del ric:orrente, sulla base degli stessi indici di cui all'art. 133 cod. pen., il beneficio della sospensio condizionale della pena.
2.7. Con un ultimo motivo di censura, si solleva, infine, eccezione di maturata prescrizione parziale di cui agli artt. 157, 159' 161 e 481 cod. pen. con riferimento ad entrambe le condotte contestate nell'ambito del capo C)) dell'imputazione. Secondo la difesa, avendo il reato di falso ideologico natura istantanea e datazione, nel caso di specie, al 2014, dovrebbe applicarsi – conformemente a quanto disposto dalla giurisprudenza della Corte di cassazione in materia di successione delle leggi penali nel tempo – la formulazione dell'art. 158 cod. pen. vigente tra il 2005 e il 2019, secondo la quale la prescrizione dei reati continuati deve calcolarsi, come per ogni altro reato, dal giorno in cui si sia esaurita la singola condotta illecita e non anche, come previsto dall'attuale formulazione della citata norma, dal giorno in cui sia cessata la continuazione; di talché, posto che il delitto in esame risulta datato al 29 dicembre 2014 e prevede un termine prescrizionale di sei anni, cui devono aggiungersi un ulteriore anno e mezzo per gli atti interruttivi e 287 giorni di sospensione, il relativo termine di prescrizione dovrebbe ritenersi decorso il 12 aprile 2023.
In virtù della giurisprudenza di legittimità richiamata sul punto, il ricorrent lamenta, pertanto, la maturata prescrizione di entrambe le condotte di cui al capo D) dell'imputazione, ovvero, in subordine, la decorrenza del termine prescrizionale della sola prima condotta datata 29 dicembre 2014, con relativa estinzione del reato.
In data 14 marzo 2023, la difesa dell'imputato ha depositato memoria, con la quale, in replica alla requisitoria scritta del pubblico ministero, specifi ulteriormente i motivi sub 2.1. 2.3. e 2.6., ed insiste nell'integrale accoglimento del ricorso.
In primo luogo, osserva il difensore che il PPTR della regione Puglia, comunque non in vigore al momento della presentazione della S.C.I.A. giacché approvato soltanto in data 16 febbraio 2015, non avrebbe imposto alcun vincolo diretto né generalizzato su tutto «l'ulteriore contesto» costituito – non rientrante nell'alve dei beni paesaggistici da tutelare ai sensi dell'art. 134 del d.ligs.n.42 del 2004 e non specificamente individuato come tale dal piano paesaggistico ai sensi dell'art. 143, comma 1, lettera e), del medesimo decreto – limitandosi piuttosto ad imporre a determinati soggetti pubblici l'individuazione di quei beni del paesaggio che lo avessero contraddistinto. Più nello specifico, sostiene il ricorrente che proprio la natura degli ulteriori contesti in specie farebbe sì che gli stessi non possano essere annoverati tra quelli di cui all'art. 134, disponendo l'art. 143, comma 9, citato nella requisitoria che «A far data dall'adozione del piano paesaggistico non sono consentiti, sugli immobili e nelle aree di cui all'art. 134, interventi in contrasto c le prescrizioni di tutela previsti nel piano stesso». Né, ribadisce la memoria, la
cisterna oggetto di contestazione verrà annoverata nella delibera del Comune di Murtina Franca tra i 303 elementi individuati come beni da tutelare nello studio di dettaglio del P.U.G. del Comune, tanto che, sul punto, interverrà sanatoria. Sulla base dell'assoggettamento a semplice accertamento di compatibilità – confermato dalla sanatoria verificatasi nel caso di specie – inoltre, nemmeno la perimetrazione territoriale del «parco multifunzionale della valle dei trulli» costituirebbe di per vincolo paesaggistico.
Quanto all'inesistenza del vincolo idrogeologico, ribadisce invece il ricorrente che – ferma restando l'impossibilità di ricondurre il bene in esame alla nozione di bene paesaggistico di cui all'art. 134 del cligs. n. 42 del 2004 e, dunque, la conseguente inapplicabilità della contravvenzione di cui all'art. 181 dello stesso decreto – esso non sarebbe presente né nel certificato di destinazione urbanistica, allegato all'atto di compravendita, né nella cartografia consultata dall'imputato sul sito ufficiale dell'RAGIONE_SOCIALE. Le aree in esame, del resto, risulterebbero tuttora non inquadrate né tra quelle ad alta, né tra quelle a media o bassa pericolosità idraulica, rientrando meramente nel reticolo idrografico e nell'area di pertinenza del corso d'acqua episodico ID 24560, tanto che la compatibilità paesaggistica delle opere realizzate con la SRAGIONE_SOCIALEI.A. con la normativa PAI verrà certificata con la verifica, avente esito positivo, operata dalla stessa RAGIONE_SOCIALE d RAGIONE_SOCIALE della Puglia.
Per quanto concerne, invece, le censure relative alla insussistenza dell'elemento soggettivo del reato, osserva il ricorrente che la Corte di appello ha adoperato il riferimento al dolo eventuale quale mera formula di stile.
Sotto il versante della mancata concessione del beneficio di cui all'art. 175 cod. pen., infine, si evidenziano: a) la ricorrenza dei limiti edittali previsti d norma, essendo la pena irrogata dal Tribunale e confermata dal giudice di secondo grado pari a 2 mesi di reclusione; b) il potere del giudice di pronunciarsi d'ufficio qualora ritenga di potervi procedere; c) il dovere del giudice di motivare l'eventuale diniego del beneficio, laddove esso, come nel caso di specie, sia stato espressamente sollecitato dalla parte.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato limitatamente all'ultimo motivo di impugnazione, quanto al reato riferito alla S.C.I.A. del 29 dicembre 2014, ed infondato nel resto.
1.1. Per ragioni logico-giuridiche, giova esaminare preliminarmente l'ultima censura sollevata dal ricorrente, in ordine alla maturata prescrizione di entrambe le condotte contestate nell'ambito del capo D) dell'imputazione.
Ebbene, la doglianza è fondata limitatamente al reato riferito alla S.C.I.A. del 29 dicembre 2014 ed infondata per quello datato 28 novembre 2016.
Secondo la disciplina vigente ratione temporis, infatti, il delitto di cui agli artt. 81 e 481 cod. pen., commesso in data 29 dicembre 2014, in presenza di atti interruttivi, si prescrive nel termine ordinario di sette anni e sei mesi, previst dagli artt. 157, primo comma, e 161, secondo comma, cod. pen., cui deve aggiungersi il periodo di sospensione di 287 giorni – 20 giorni, per rinvio dovuto ad emergenza sanitaria, dal 21 aprile al 12 maggio 2020; 189 giorni, per richiesta difensiva, dal 16 marzo al 21 settembre 2021; 78 giorni, per rinvio dovuto ad emergenza sanitaria, dal 1 marzo al 17 maggio 2022 – giungendosi, così, alla data finale del 12 aprile 2023, precedente alla pronuncia della presente sentenza.
Per il reato riferito alla S.C.I.A. del 28 novembre 2016, invece, il termine di prescrizione non può ritenersi maturato, perché andrà a scadere 1 111 marzo 2025.
1.2. Ciò premesso, il primo ed il terzo motivo di doglianza – che possono essere trattati congiuntamente allorché afferenti, con argomentazioni in parte coincidenti, alla pretesa insussistenza, rispettivamente, dell'elemento oggettivo e soggettivo del reato – devono dichiararsi infondati.
Il Collegio ritiene che la sentenza di primo grado, con la quale quella impugnata si salda sul piano argomentatvo, abbia correttamente rilevato l'esistenza dei vincoli paesaggistici ed idrogeologici a carico dell'immobile in esame, sul rilievo dei certificati di destinazione urbanistica acquisiti presso i Comune e sulla base delle norme di salvaguardia conseguenti all'adozione del PPTR, con delibere della Giunta regionale del 2 agosto e del 29 ottobre 2013.
Contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, infatti, la ratio delle norme di salvaguardia del PPTR risponde alla necessità di anticipare la tutela, apprestata dal piano regolatore al bene sottoposto al vincolo, ad un momento antecedente alla definitiva approvazione del piano medesimo, così precludendo l'effettuazione di qualsivoglia intervento che vi si ponga in contrasto, ivi compreso l'avvio di lavori subordinatamente alla presentazione della S.C.I.A. in quelle ipotesi in cui sia necessario un vero e proprio permesso di costruire. Correttamente i giudici di merito hanno pertanto ritenuto tali norme vigenti anche prima della definitiva approvazione dello stesso PPTR.
Univoco in tal senso, appare, inoltre, il disposto dall'art. :143, comma 9, del Codice dei beni culturali e del paesaggio, che, nel prevedere che «A far data dall'adozione del piano paesaggistico non sono consentiti, sugli immobili e nelle aree di cui all'art. 134, interventi in contrasto con le prescrizioni di tutela previ nel piano stesso», conferma la circostanza che, all'epoca dei fatti, i vincoli previsti dal piano regolatore fossero in vigore e prescrittivi.
Lo stesso deve dirsi, peraltro, in ordine al reato di falso ideologico riferito all S.C,I.A. del 28 novembre 2016, afferente alla falsa attestazione di conformità dei lavori con gli strumenti urbanistici approvati e con i regolamenti edilizi vigenti rispetto al quale assume valenza certamente dirimente la considerazione che le opere in esame non potessero definirsi come opere minori – e come tali necessitanti non già di una semplice S.C.I.A. ma di un vero e proprio permesso di costruire – tanto che il Comune ha, dapprima, disposto la sospensione della S.C.I.A. e adottato, poi, un successivo provvedimento di diniego.
Fatte queste premesse, ritiene il Collegio che nessun dubbio possa sussistere sulla correttezza della motivazione del provvedimento impugnato circa la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato.
Una volta accertata l'effettiva esistenza dell'elemento oggettivo della fattispecie criminosa in esame e, dunque, la sussistenza di vincoli paesaggistici ed idrogeologici sul bene in questione, disattesi dal ricorrente, occorre infatti rilevar che – come opportunamente specificato dalla Corte di appello di Lecce – anche a ritenere che il vincolo in questione non fosse espressamente menzionato nella certificazione di destinazione urbanistica visionata dall'imputai:o, univoca appare, ne; senso dell'esistenza della sua esistenza, la circostanza che dalla stessa certificazione risultasse esplicitamente l'inserimento dell'area interessata nell'ambito del Sito di Importanza Comunitaria (SIC) «Murgie Sud Est», nonché nella cartografia «Ambiti territoriali estesi», onde l'impossibilità di ipotizzare, capo all'imputato, l'ignoranza delle conseguenze del richiamo a tali norme ed indici, ovvero un errore sulla loro portata, tenuto conto delle sue specifiche conoscenze e competenze tecniche.
Sia il Tribunale di Taranto che la Corte di appello hanno dunque rilevato – con conforme e argomentata valutazione – la sussistenza dell'elemento soggettivo del dolo eventuale, correttamente valorizzando, a tal fine, l'insufficienza della sola cehificazione di destinazione urbanistica reperita dal ricorrente e l'accettazione, da parte di quest'ultimo, del rischio insita nella mancata verifica, pur doverosa, di possibili ulteriori prescrizioni paesaggistiche ed ambientali sull'immobile in esame.
1.2. La seconda censura, riferita alla mancata acquisizione di prova decisiva, è manifestamente infondata.
Dal contenuto della consulenza tecnica di parte, come rappresentato specificamente dalla prospettazione difensiva, emerge che l'accertamento tecnico del cui diniego si duole il ricorrente, lungi dal fornire al giudice i chiarimenti tecn afferenti alla asserita conformità dell'immobile ai vincoli paesaggistici ed idrogeologici in esame – necessari per gli ulteriori sviluppi processuali e costituenti una prova nuova, rilevante ai sensi dell'art. 603 cod. proc. pen., avrebbe avuto piuttosto lo scopo di rendere un parere giuridico circa il regime normativo da
applicare all'immobile in questione, sulla base di una ricostruzione, peraltro, manifestamente errata, perché meramente reiterativa di quanto fallacemente prospettato dalla parte. Il compito istituzionale del consulente, tuttavia, ha carattere esclusivamente tecnico, potendo costituire fonte oggettiva di prova solo quando si risolva in valutazioni a carattere tecnico-scientifico ed in accertamenti di situazioni di fatto, tali da essere rilevabili unicamente con il ricorso a da cognizioni tecniche (Cass. civ., Sez. 2, n. 7557 del 16/12/1936, Rv. 449585), sì che ad esso devono ritenersi estranee la definizione di situazioni e questioni giuridiche, nonché la formulazione di valutazioni a contenuto giuridico: compiti che spettano, istituzionalmente ed inderogabilmente, al giudice e che non possono dunque essere delegati al consulente (Cass. civ., Sez. 3, n. 3044 del 13/10/1972, Rv. 360809).
1.3. Anche i rilievi di cui ai motivi di ricorso 2.4., 2.5. e 2.6., relativi al di dell'applicazione dell'art. 131-bis cod. pen., del riconoscimenl:o delle circostanze attenuanti di cui all'art. 62 -bis e 62, primo comma, n.6), cod. pen. e della concessione del beneficio di cui all'art. 175 cod. pen. – che possono essere trattati congiuntamente – devono essere dichiarati inammissibili.
Con riferimento alla mancata applicazione dell'art. 62-bis cod. pen., oggetto del quinto motivo di censura, la sentenza di primo grado – con la quale, come già anticipato, quella impugnata si salda dal punto di vista argomentativo – seppure con motivazione succinta, ha escluso le circostanze attenuanti generiche, facendo riferimento alla gravità dei fatti; esprimendo, dunque, un giudizio di merito insindacabile in questa sede.
Quanto, invece, al mancato riconoscimento della causa di esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto di cui all'art. 131-bis, della circosta attenuante prevista dall'art. 62, n. 6), cod. peri, e del beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale di cui all'art. 175 cod. pen. va osservato che, presa visione degli atti del procedimento – e, segnatamente, della memoria conclusiva depositata dalla difesa ed allegata al verbale di udienza del 17 maggio 2022 – non risulta che l'imputato e il suo difensore abbiano prospettato al giudice di primo grado l'applicazione di nessuno dei predetti istituti giuridici, di talché tali censure devono oggi ritenersi precluse al sindacato di legittimità della Corte di cassazione.
In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio relativamente al reato riferito alla S.C.I.A. del 19 dicembre 2014, perché estinto per prescrizione; ciò che esclude la necessità del rinvio alla Corte di appello per la rideterminazione della pena, ben potendo provvedervi direttamente questa Corte ai sensi della nuova formulazione dell'art. 620, comma 1, lettera I), cod. proc.
pen., come sostituito dall'art. 1, comma 67, legge n. 103 del 2017 (ex multis, Sez. 6, n. 12391 del 18/01/2018, Rv. 272458; Sez. 2, n. 48997 del 13/10/2017, Rv. 271324).
Vista l'entità del fatto di reato, come accertata sulla base degli elementi fattuali emergenti dal giudizio di merito, pena congrua può dunque stimarsi, a fini di giustizia, quella finale di giorni 15 di reclusione – pari, cioè, al minimo editt – fermo restando il beneficio della sospensione condizionale della pena già riconosciuto all'imputato.
Il ricorso deve, invece, essere rigettato nel resto.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato relativo alla S.C.I.A. del 29/12/2014, perché estinto per prescrizione. Rigetta nel resto il ricorso e ridetermina la pena per il residuo reato in giorni 15 di reclusione.
Così deciso il 21/03/2024.