Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 23785 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 23785 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 09/05/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti dalla parte civile NOME COGNOME nato a Roma il 12/11/1980 e dagli imputati COGNOME NOMECOGNOME nato a Sapri il 03/02/1971 Rango Massimo, nato a Roma il 07/02/1971
avverso la sentenza del 09/05/2024 della Corte di appello di Roma letti gli atti, il ricorso e la sentenza impugnata; udita la relazione del Consigliere NOME COGNOME udite le conclusioni del Pubblico ministero in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’annullamento, ai soli effetti civili, limitatamente ai reati di cui ai capi b) e c), con rinvio al giudice ci competente e per il rigetto dei ricorsi nel resto; udite le conclusioni del difensore della parte civile, Avv. NOME COGNOME che ha concluso per l’annullamento senza o con rinvio della sentenza impugnata, come da conclusioni scritte e nota spese depositata; udito il difensore degli imputati, Avv. NOME COGNOME che ha concluso per
l’accoglimento dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Roma ha riformato la sentenza emessa il 23 dicembre 2021 dal Tribunale di Roma nei confronti di COGNOME NOME e COGNOME MassimoCOGNOME dichiarando non doversi procedere in relazione al reato di cui al capo a) per essere il reato estinto per prescrizione e assolvendoli dai reati di cui ai capi b), c) d), f) per insussistenza del fatto contestualmente rideterminando in 10 mila euro ciascuno l’importo della provvisionale assegnata con la sentenza di primo grado, confermando nel resto la sentenza appellata.
E’ stata confermata la sussistenza del reato di falso ideologico, benché estinto per prescrizione, contestato al capo a), relativamente al verbale di arresto redatto 30 agosto 2013 dagli imputati, Carabinieri in servizio presso il Comando Provinciale di Roma, Reparto Operativo Nucleo Radiomobile, nei confronti di NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME per tentata rapina aggravata e lesioni in danno di Testa Martina, nel quale attestavano falsamente di averli sorpresi nelle vicinanze a pochi metri dalla vittima, che riferiva loro l dinamica dell’aggressione subita, mentre il COGNOME impugnava un cacciavite, risultate circostanze non rispondenti al vero, in quanto al momento del loro intervento non era in atto alcuna condotta criminosa né era presente la vittima. Ciò risultava dalle dichiarazioni del COGNOME, militare in servizio sul luogo dei fatti, il quale riferiva che dei tre soggetti presenti nessuno aveva un cacciavite, che la Testa non era sul posto né nelle immediate vicinanze, ma presso l’Ospedale INDIRIZZO, dove si erano recati gli imputati, che avevano raccolto la denuncia e proceduto al riconoscimento degli accusati.
Diversamente, per i reati residui di falso ideologico relativamente alla redazione del verbale di denuncia, arresto illegale e calunnia, rispettivamente oggetto dei capi b), c), d), f), la Corte di appello ne ha escluso la sussistenza in ragione del contesto in cui erano intervenuti gli imputati, della denuncia sporta dalla Testa, del referto medico, che attestava una lesione da arma bianca, della segnalazione del 112 di accoltellamento di una ragazza e della presenza sul posto degli autori. In particolare, la Corte di appello ha ritenuto che gli imputati non avevano motivo di dubitare delle dichiarazioni della Testa – che si era poi accertato essere frutto di ritorsione nei confronti del COGNOME per un diverbio avuto quello stesso giorno- anche in base al ritrovamento di un coltellino nello zaino di questi e di un cacciavite trovato sul posto, sottoposto a sequestro e confisca; al contempo, ha ridotto a diecimila euro l’importo della provvisionale per ciascun imputato.
Avverso la sentenza hanno proposto ricorso il difensore della parte civile e il difensore degli imputati.
Nell’interesse della parte civile NOME COGNOME il difensore articola due motivi.
2.1. Con il primo denuncia plurimi vizi della motivazione, illogica, contraddittoria e carente nonché basata su supposizioni e congetture, sganciate dai dati oggettivi acquisiti, puntualmente illustrati nella sentenza di primo grado.
In primo luogo, sostiene che la contraddittorietà della motivazione è provata dalla confermata sussistenza del reato di cui al capo a), sebbene prescritto, in quanto la falsità del verbale di arresto costituisce l’antecedente logico del grave danno patito dal ricorrente per l’arresto illegittimo e del delitto di calunnia – consistito nell’accusare falsamente il NOME di un reato nella consapevolezza che non lo aveva commesso – come si ricava dalla contestazione dell’aggravante di cui all’art. 61 n.2 cod. pen., del tutto ignorata in sentenza.
Denuncia la carenza di motivazione relativa alla ritenuta insussistenza del delitto di cui al capo b) poiché la falsità dell’attestazione di aver redatto il verbal di ricezione della denuncia alle 20 del 30 agosto 2013 risulta per tabulas, in quanto la COGNOME si trovava in ospedale e non sul luogo dei fatti, né era vicina ai suoi aggressori, che aveva riconosciuto pur non avendoli potuti vedere, come risulta dalle videoriprese presenti sul posto, di cui dà conto la sentenza di primo grado. Da tale dato oggettivo deriva la falsità del riconoscimento operato dalla persona offesa visionandone i documenti di identità, ma la sentenza non spiega la discrasia risultante dal verbale, superata dando credito alla versione del COGNOME di aver utilizzato un file precedentemente compilato e una scarsa proprietà di linguaggio.
Deduce, ancora, la carenza di motivazione sull’insussistenza del reato di arresto illegale, nonostante la stessa Corte di appello riconosca che è falsamente affermata la circostanza che il COGNOME avesse in mano un cacciavite, nonostante sia provata la falsità delle dichiarazioni della Testa e della correttezza di quelle divergenti del COGNOME, operante disinteressato.
Deduce, altresì, la carenza di motivazione in ordine all’insussistenza del concorso nella calunnia ai danni del ricorrente, invece, ampiamente motivato nella sentenza di primo grado (pag.23) in base a prove oggettive nonché la carenza di motivazione in relazione alla ulteriore calunnia, diretta conseguenza della falsità del verbale di arresto nel quale gli imputati attestavano fatti non veri e procedevano ad un arresto illegittimo di tre innocenti, che hanno patito un lungo periodo di detenzione e una condanna poi annullata solo grazie alle videoriprese, acquisite solo tempo dopo.
Con il secondo motivo denuncia la mancanza di motivazione in relazione alla rideterminazione della provvisionale concessa dal primo giudice per avere la Corte ridotto l’importo in base all’assoluzione dagli altri reati senza argomentare, nonostante risulti provato il danno patrimoniale e morale subito – a causa della
custodia cautelare in carcere e della condanna in primo grado- e il falso verbale di arresto costituisca l’antecedente logico di tutte le gravi conseguenze e sofferenze subite dal ricorrente.
Con distinti ricorsi, ma di identico contenuto, il difensore del COGNOME e del COGNOME chiede l’annullamento della sentenza sia ai fini penali che civili, in quanto mira ad ottenere l’assoluzione nel merito per insussistenza del fatto di cui al capo a) e l’annullamento del capo che condanna al risarcimento del danno in favore delle parti civili per i seguenti motivi.
3.1. Con il primo motivo denuncia plurimi vizi della motivazione in relazione al capo a), in particolare, per travisamento della testimonianza del COGNOME relativamente alla circostanza, riportata nel verbale di arresto, che il COGNOME avesse in mano un cacciavite.
Sostiene che la Corte di appello ha travisato la deposizione del teste, in quanto, nel negare che il COGNOME avesse un cacciavite in mano, il COGNOME si riferiva al momento del suo intervento iniziale, precedente all’arrivo del COGNOME e del COGNOME, sicché la Corte ha errato nella lettura del dato istruttorio e ritenuto falsa l’attestazione degli imputati, nonostante non sia stata mai contestata né rilevata la falsità del sequestro di un cacciavite sul luogo del fatto.
3.2. Con il secondo motivo denuncia la manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione in relazione alla falsità della circostanza indicata nel verbale di arresto ovvero che la COGNOME aveva riferito loro oralmente la dinamica dell’aggressione al momento del loro arrivo: falsità in palese contrasto con l’assoluzione dagli altri reati, ritenendo certo che gli imputati avessero appreso dalla Testa i fatti poi rappresentati nella denuncia. Gli imputati depositarono la denuncia insieme al verbale di arresto e dagli orari indicati risulta chiaro che la redazione della denuncia (ore 20) fu di molto successiva all’intervento (ore 18.20); nel verbale di arresto non si intendeva attribuire contestualità alla denuncia rispetto all’intervento iniziale degli imputati, che si recarono presso il Pronto Soccorso del San Camillo prima della redazione della denuncia e, quindi, ottennero in quella sede l’esposizione orale dei fatti. Il punto già evidenziato nell’atto di appello non ha ricevuto risposta.
3.3. Con il terzo motivo denuncia la mancanza di motivazione in ordine alle deduzioni difensive relative al capo a).
Era stato evidenziato che: il COGNOME era stato condannato in via definitiva per il reato di cui all’art. 4 I. n. 110/75 proprio per la detenzione d cacciavite; nessuno aveva messo in dubbio la genuinità del verbale di sequestro dello stesso; le testimonianze del COGNOME e del COGNOME, che escludevano che il COGNOME avesse in mano il cacciavite, si riferivano al momento della prima identificazione, pertanto, la sua deposizione era inutilizzabile; l’affermazione
contenuta nel verbale di arresto circa la presenza degli autori del fatto “rimasti nelle vicinanze a pochi metri dalla vittima” è erroneamente interpretata, avendo gli imputati affermato, nella parte iniziale del verbale, di aver trovato solo gli autori del fatto e non la vittima; in ogni caso vi era stata approssimazione nella redazione dell’atto, ma gli orari riportati nel verbale e quelle risultanti da altr documenti rendevano evidente che la vittima non si trovava sul posto al momento dell’arrivo degli imputati.
3.4. Con il quarto motivo si contesta la mancanza di motivazione relativamente alla rideterminazione della provvisionale per mancata indicazione della natura del danno riconducibile all’unico reato per il quale gli imputati so o stati ritenuti responsabili; non è possibile ritenere implicito il rinvio alla sentenza di primo grado poiché il danno era collegato all’arresto, al procedimento penale e alla custodia cautelare ovvero ai reati per i quali vi è stata assoluzione piena. Non è indicato il nesso causale tra il falso ideologico di cui al capo a) e gli effetti pregiudizievoli subiti dalle parti civili e manca anche l’indicazione dei criteri adottati per la quantificazione, non essendo sufficiente la mera riduzione dell’importo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto dalla parte civile NOME COGNOME è fondato per le ragioni di seguito illustrate.
Sono fondate le censure difensive, risultando la motivazione della sentenza impugnata carente, sommaria e lacunosa a fronte di una vicenda gravissima e di una sentenza di primo grado puntuale, analitica e ampiamente motivata.
E’ noto il risalente principio di diritto che impone al giudice di appello, che riformi in senso assolutorio la sentenza di condanna di primo grado, l’obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2015, COGNOME, Rv. 231679). Il giudice di appello non può, quindi, limitarsi a notazioni critiche di dissenso, essendo, invece, necessario che egli riesamini, sia pure in sintesi, il materiale probatorio vagliato dal giudice di primo grado, consideri quello eventualmente sfuggito alla sua delibazione e quello ulteriormente acquisito, per dare, riguardo alle parti della prima sentenza non
condivise, una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia ragione delle difformi conclusioni assunte (Sez. 5, n. 7815 del 08/01/2025, N., Rv. 287634).
A tali coordinate non si è attenuto il giudice di appello, che non ha operato il minimo raffronto con le argomentazioni rese nella sentenza di primo grado né ha giustificato le difformi conclusioni raggiunte con motivazione esaustiva.
3. La vicenda origina dalla falsa denuncia sporta da COGNOME, che aveva denunciato di aver subito un tentativo di rapina ad opera di tre soggetti, tra cui la parte civile, mai avvenuto (in realtà, per ritorsione nei confronti de ragazzo polacco con il quale aveva avuto un diverbio per futili motivi nel pomeriggio del 30 agosto 2013, aveva denunciato un’aggressione), che aveva portato all’arresto, alla carcerazione e alla condanna di tre ragazzi, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME, poi assolti in appello per non aver commesso il fatto in base all’esame delle videoriprese, che dimostravano l’innocenza dei tre ragazzi, l’assenza della persona offesa sul posto all’atto dell’intervento degli imputati, la falsità delle circostanze riportate nel verbale di arresto e nella denuncia nonché l’illegittimo modo di procedere degli imputati, ricostruito con estrema puntualità e attenzione nella sentenza di primo grado.
Il primo giudice forniva una ricostruzione degli accadimenti in base a dati oggettivi e dichiarativi convergenti nel dimostrare che la COGNOME non aveva mai denunciato nell’immediatezza un tentativo di rapina, ma solo un’aggressione e che la ferita sull’avambraccio, attribuita all’aggressione dei tre ragazzi, era già presente sin da prima che accadesse il fatto, come riferito dalle amiche che erano sull’autobus con la COGNOME e avevano assistito al diverbio con il COGNOME (pag. 14-15 e 20 sentenza di primo grado); diverbio al quale erano del tutto estranei il COGNOME e il COGNOME, coinvolti solo perché a loro si era avvicinato i ragazzo polacco e aveva narrato l’accaduto dopo l’intervento di una prima pattuglia, alle 17.20, che aveva sentito le versioni dei due litiganti e, non ravvisando nessun reato, aveva prospettato alla Testa la possibilità di sporgere eventuale querela per lo schiaffo ricevuto (v. pag.13-14 sentenza di primo grado).
Dopo questo primo controllo si è accertato che sia la Testa che il COGNOME si erano allontanati in direzioni opposte e che dopo circa un’ora era intervenuta altra pattuglia, composta dal COGNOME e da altri militari, ai quali alcuni ragazzi (non identificati) avevano segnalato che una loro amica, nel frattempo accompagnata in ospedale, aveva avuto una lite con un ragazzo ancora presente nei paraggi e indicavano i tre ragazzi, ai quali il COGNOME si era avvicinato per identificarli, precisando che erano tranquilli, sereni, che il COGNOME non
impugnava alcunché ed erano rimasti tutti sotto il suo controllo fino all’arrivo degli imputati, che li avevano fatti salire sulla loro auto di servizio.
A fronte di una ricostruzione meticolosa e dettagliata del primo giudice, la sentenza si limita a ritenere la falsità del solo verbale di arresto nel quale gli imputati davano atto di aver sorpreso i tre ragazzi sul posto nelle vicinanze della vittima- invece, già al Pronto Soccorso, ove si era fatta accompagnare da un amico dopo il diverbio con il ragazzo polacco e senza che gli altri due fossero mai stati coinvolti nell’episodio- e a riconoscere la falsità della circostanza relativa al cacciavite detenuto dal COGNOME, invece, smentita dall’operante COGNOME indifferente e presente sul posto prima che intervenissero gli imputati.
Del tutto superficiale e lacunosa risulta l’analisi dei fatti e la motivazione resa per escludere la sussistenza degli altri reati, soprattutto, dell’arresto illegale, eseguito in assenza di flagranza, in assenza della persona offesa, che non era sul posto e non poteva riconoscere gli altri due correi, tra cui il COGNOME perché non coinvolti nella discussione con il ragazzo polacco, come documentato dalle videoriprese.
La Corte di appello giustifica la decisione assolutoria, facendo leva sull’assenza di ragioni per gli imputati di non credere alla denunciante, senza, tuttavia, analizzare e confutare gli elementi oggettivi indicati dal primo giudice né tener conto delle discrasie evidenziate, indicate nel verbale di arresto, non solo in relazione al cacciavite impugnato dal COGNOME, ma anche alla descrizione dell’abbigliamento indossato dai ragazzi, assolutamente smentito dalle videoriprese (pag. 17 sentenza di primo grado) e senza tener conto delle risultanze dei tabulati e delle dichiarazioni rese dalle amiche della COGNOME e dall’amico che l’aveva accompagnata in ospedale molto prima dell’arrivo degli J 4 imputati sul posto della presunta aggressione. Elementi questi, invece, valutati congiuntamente alle immagini estratte dalle telecamere nel piazzale ove si sarebbe consumata l’aggressione a fini di rapina denunciata dalla COGNOME al fine di escludere la sussistenza di evidenti elementi di prova dell’innocenza dell’imputata, chiamata a rispondere del reato di calunnia, dichiarato estinto per prescrizione.
La contraddittorietà e l’illogicità della decisione sono, pertanto, rese ancor più evidenti dalla riconosciuta natura calunniosa della denuncia della Testa con affermazione che stride con l’esito decisorio per gli imputati (pag. 3 sentenza impugnata).
Fondata è anche la censura difensiva sulla rilevanza del falso verbale di arresto per le ricadute sulla sussistenza degli altri reati, atteso che dal falso verbale deriva la calunnia ai danni dei tre ragazzi di tentata rapina aggravata
dall’uso dell’arma. Essendo accertato – perché lo dimostrano le videoriprese- che la COGNOME non aveva mai visto il COGNOME e il COGNOME, è evidente che non avrebbe potuto fornire una descrizione degli imputati e del loro abbigliamento, invece, operata dai ricorrenti, che falsamente la attribuivano alla persona offesa; conseguentemente falso è anche il verbale di denuncia, redatto dal COGNOME alle ore 20,00, esponendo circostanze non vere, quali la presenza della denunciante, che avrebbe riconosciuto gli aggressori presenti sul posto e indicati agli operanti.
Inesistente è la motivazione sul danno derivato dal reato e sulla provvisionale ridotta senza una minima motivazione.
Le gravi lacune della motivazione rilevate impongono l’annullamento della sentenza impugnata agli effetti civili con rinvio ai sensi dell’art. 622 cod. proc. pen. al giudice civile competente in grado di appello, cui si rimette la regolazione delle spese nei confronti della parte civile.
I ricorsi degli imputati sono, invece, infondati, ai limiti della inammissibilità nella misura in cui sollecitano una rilettura dei fatti e propongono una interpretazione riduttiva delle discrasie rilevabili nel verbale di arresto, attribuendole ad improprietà espressive o a semplici inesattezze.
I primi tre motivi possono essere trattati congiuntamente, riguardando la falsità del verbale di arresto.
In particolare, i motivi si concentrano sulla detenzione del cacciavite da parte del COGNOME e sull’asserito travisamento delle dichiarazioni del COGNOME, attribuendo particolare rilievo al rinvenimento e sequestro di un cacciavite sul luogo dell’aggressione, poi confiscato con la sentenza di condanna del COGNOME.
Si tratta di censure infondate a fronte della ricostruzione dei fatti descritta in precedenza, alla quale si rinvia, che esclude il travisamento delle dichiarazioni del COGNOME in ragione della tempistica dell’intervento dei ricorrenti rispetto al controllo operato dal COGNOME, che non aveva assistito ad alcuna aggressione, aveva tenuto in consegna i ragazzi, rimasti sempre sotto il suo controllo, e ha affermato che il COGNOME non impugnava alcun cacciavite, come confermato anche dagli altri componenti della pattuglia. Ma, soprattutto, le censure si fondano su una lettura parziale del materiale probatorio, atteso che dalle dichiarazioni delle amiche e dell’amico che accompagnò la COGNOME in ospedale risulta che non vi era stata alcuna aggressione armata, ma solo un’accesa discussione; che la COGNOME aveva già un graffio sul braccio e dopo l’alterco con il ragazzo polacco non aveva alcuna lesione visibile, ma aveva dichiarato di volersi recare in ospedale al solo fine di ottenere un referto per supportare a denuncia che intendeva sporgere (pag. 20 sentenza di primo grado).
Ancora, nei ricorsi non si tiene conto della circostanza che le videoriprese non documentano affatto fié che il ragazzo polacco impugnasse un cacciavite Pré
che la Testa fosse sul posto, mentre in possesso del COGNOME fu trovato, nello zaino, solo un coltello multiuso per il quale fu denunciato, come risulta dal
verbale di arresto allegato al ricorso e quest’ultimo dato conferma ulteriormente la falsa circostanza indicata nel verbale di arresto, sicché la base probatoria
prescinde dalle dichiarazioni del ragazzo.
Alla luce della puntuale ricostruzione e evoluzione dei fatti descritta dal primo giudice in base alla coordinata lettura dei dati oggettivi acquisiti e di tutte
le dichiarazioni testimoniali rese dai soggetti coinvolti nella vicenda risulta insostenibile ricondurre a mere imprecisioni o a scarsa proprietà di linguaggio le
discrasie rilevabili dal verbale di arresto, invece, risultate circostanze false, artificiosamente costruite per giustificare un arresto illegittimo.
8. Anche l’ultimo motivo è infondato, in quanto non è impugnabile con ricorso per cassazione la statuizione pronunciata in sede penale e relativa alla
concessione e quantificazione di una provvisionale, trattandosi di decisione di natura discrezionale, meramente delibativa e non necessariamente motivata, per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinata ad essere travolta dall’effettiva liquidazione dell’integrale risarcimento (Sez. 2, n. 44859 del 17/10/2019, COGNOME, Rv. 277773).
Per le ragioni esposte i ricorsi degli imputati devono essere rigettati con conseguente condanna al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile costituita, che si liquidano in complessivi euro 3686,00, oltre accessori di legge.
P. Q. M.
Annulla la sentenza impugnata agli effetti civili e dispone trasmettersi gli atti al giudice civile competente per valore in grado di appello.
Rigetta il ricorso degli imputati. Condanna, inoltre, gli imputati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile costituita che liquida in complessivi euro 3686,00, oltre accessori di legge.
Così deciso il 9 maggio 2025
COGNOME IA DI CASSAZIONE Il consigliere es
Il Presidente