Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 10364 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 10364 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 21/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME nato il 20 ottobre 1948;
avverso la sentenza dell’8 marzo 2024 della Corte d’appello di Catanzaro;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
letta la memoria del Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso; letta la memoria depositata il 15 gennaio 2025 dall’avv. NOME COGNOME nell’interesse del ricorrente, con la quale, anche in replica alle conclusioni rassegnate dal Procuratore generale, si insiste per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Oggetto dell’impugnazione è la sentenza con la quale la Corte d’appello di Catanzaro, confermando la condanna pronunciata in primo grado, ha ritenuto NOME COGNOMEin concorso con NOME COGNOME responsabile del reato di cui agli artt. 110, 476, commi 1 e 2, a lui ascritto al capo F) della rubrica perché, nell’esercizio delle sue funzioni di dirigente del settore lavori pubblici del
Comune di Rende (unitamente a NOME COGNOME delegato alla firma per conto della RAGIONE_SOCIALE, avrebbe formato un falso verbale di consegna dei lavori indicando quale data di redazione e sottoscrizione quella del 16 marzo 2012 in luogo di quella effettiva del 13 aprile 2012; con l’aggravante di aver commesso il fatto in relazione ad un atto fidefaciente.
Il ricorso, proposto nell’interesse dell’imputato, si compone di tre motivi d’impugnazione.
2.1. Il primo, formulato sotto i profili della violazione di legge (in relazione agli artt. 476 e 479 cod. pen.), dell’inosservanza di norma processuale (in relazione agli artt. 521, 530 e 533 cod, proc. pen.) e connesso vizio di motivazione, deduce: a) violazione del principio di necessaria correlazione tra l’imputazione contestata e la sentenza (in quanto la Corte territoriale, nel confermare la sentenza pronunciata in primo grado, avrebbe condannato l’imputato per una fattispecie di reato – il falso ideologico – radicalmente differente rispetto a quella oggetto del capo d’imputazione – il falso materiale); b) violazione degli artt. 476 e 479 cod. pen. (in quanto, essendo stata applicata – in ragione della prevalenza delle riconosciute circostanze attenuanti generiche – la pena prevista al primo comma dell’art. 476 cod. pen., si sarebbe dovuto rilevare l’intervenuto decorso del termine di prescrizione).
2.2. Il secondo deduce vizio di motivazione, nella parte in cui i giudici di merito avrebbero omesso di motivare in ordine alle ragioni per cui hanno ritenuto superabili le censure sollevate dalla difesa: a) attribuendo alle dichiarazioni rese dal teste NOME COGNOME un significato non coerente con l’oggettivo contenuto delle stesse, avendo quest’ultimo dichiarato di aver personalmente redatto, il 16 marzo 2012, il verbale di consegna; b) omettendo di valutare l’assoluta irrilevanza dell’atto ritenuto falso, in quanto connesso ad un contratto di fornitura, che, in sé, non necessita di alcuna consegna dei lavori.
2.3. Il terzo, formulato sotto i profili dell’inosservanza di norma processuale (in relazione agli artt. 192, 224 e 271 cod. proc. pen.) e del connesso vizio di motivazione, deduce che la Corte territoriale avrebbe omesso di motivare compiutamente in ordine alle ragioni per cui ha ritenuto di superare le argomentazioni difensive offerte con la consulenza di parte, quanto, in particolare, alla ritenuta non attendibilità del dato probatorio raccolto attraverso le intercettazioni ambientali, prive dei codici hash e, quindi, dei dati necessari per individuare la corretta sequenza cronologica delle conversazioni.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso è infondato.
L’assunto dal quale muove la difesa è corretto. Le due fattispecie di reato, descritte, rispettivamente, agli artt. 476 (falso materiale) e 479 cod. pen. (falso ideologico), divergono profondamente: il falso materiale si sostanzia nella creazione dell’esistenza documentale dell’oggetto (tipo di condotta corrispondente all’espressione normativa contenuta nell’art. 476 cod. pen. forma in tutto o in parte un atto falso) ovvero nella modifica di un atto genuino preesistente (secondo l’altra espressione, altera un atto vero); prescinde dall’esistenza di profili di difformità dal vero (poiché la rispondenza ad un dato naturalistico che dovrebbe essere riprodotto nell’atto non è un requisito compreso nella descrizione normativa e non assume anzi alcuna rilevanza); può incidere su ogni tipo di atti, non soltanto su quelli precostituiti a fini probatori ed istituzionalmente indirizzati a provare la verità dei fatti in essi attestati (Sez. U, n. 35814 del 28/03/2019, Marcis, Rv. 276285). La falsità ideologica, viceversa, presuppone che il documento sia genuino e provenga realmente da chi appare esserne l’autore, ma il suo contenuto non corrisponde al vero (Sez. 2, n. 28076 del 27/06/2012, Napoli, Rv. 253419) e che l’atto sia destinato a provare la verità dei fatti in esso attestati (essendo il disvalore dell’azione indicato nella violazione dei doveri di fedeltà inerenti all’esercizio della pubblica funzione di certificazione, realizzata attraverso lo sviamento dell’atto dal suo scopo istituzionale, facendovi cioè risultare fatti diversi da quelli che invece dovevano esservi legittimamente raccolti). Cosicché, se la falsità riguarda il medesimo documento, i due reati non possono concorrere atteso che, trattandosi di un atto alterato o contraffatto, è irrilevante che lo stesso sia veridico o meno (Sez. 5, n. 12400 del 13/11/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 266700)
Ciononostante, va considerato, sotto un profilo generale, che per aversi mutamento del fatto, occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione e scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa. E questa Corte ha già avuto modo di osservare come l’indagine volta ad accertare la violazione del principio non si esaurisce nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza, ma coinvolge la valutazione del complessivo iter processuale e la conseguente verifica della sussistenza di concrete possibilità di esercitare il diritto di difesa in ordine all’oggett dell’imputazione (Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Rv. 205619; Sez. U, Sentenza n. 36551 del 15/07/2010, Rv. 248051).
Ebbene, in concreto, come correttamente osservato dalla Corte territoriale, tra il fatto-reato contestato e quello di cui l’imputato è stato ritenuto responsabile non si percepisce alcuna alterità, ma, al contrario, i medesimi elementi fattuali di un’identica condotta: l’indicazione di una data di redazione e sottoscrizione (16
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marzo 2012) differente rispetto a quella effettiva (13 aprile 2012). Ciò che diverge, rispetto alla contestazione, è la sola indicazione normativa e la conseguente sussunzione dei fatti in una fattispecie (479 cod. pen.) diversa rispetto a quella indicata nel capo d’imputazione (476 cod. pen.): una semplice differente qualificazione, ampiamente prevedibile alla luce degli univoci riferimenti fattuali contenuti nella contestazione.
2. Il secondo e il terzo motivo sono, invece, indeducibili.
La prima censura è integralmente articolata in fatto. La Corte territoriale ha dato atto dell’irrilevanza delle deduzioni difensive: il fatto che i documenti prodotti (relativi alla consegna dei materiali da parte della società a seguito della valutazione effettuata sui luoghi in cui si sarebbero dovuti porre i loculi), siano riferiti alla data del 30 marzo 2012 non comporta automaticamente la prova dell’effettiva redazione alla data del 16 marzo 2012 del verbale di consegna dei lavori; cosi come non vale a provare che i lavori si siano effettivamente conclusi alla data del 6 aprile 2012, alla luce delle conversazioni captate all’interno del Comune, dalle quali emerge esplicitamente la differente indicazione della data di sottoscrizione del documento.
A fronte di ciò, la difesa, invocando una differente valutazione delle dichiarazioni rese dal teste NOME COGNOME chiede a questa Corte un apprezzamento in fatto estraneo al suo sindacato, dimenticando che l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione non è diretta a verificare l’intrinseca adeguatezza delle argomentazioni offerte dal giudice di merito, scegliendo tra diverse possibili ricostruzioni, ma è finalizzata al solo riscontro dell’esistenza, della non manifesta illogicità e della coerenza dell’apparato argomentativo, valutato nel suo complesso, sui vari punti della decisione impugnata. La scelta tra divergenti versioni ed interpretazione del dato fattuale, come l’indagine sull’attendibilità dei testimoni, nella sua dimensione fattuale, non può formare oggetto di ricorso per cassazione, in quanto postula, intrinsecamente, la necessità di comparare e coordinare i singoli elementi di prova, nella loro individuale e complessiva valenza dimostrativa. Un apprezzamento, in fatto, riservato, ontologicamente, al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare in modo accurato le ragioni del proprio convincimento (Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, Rv. 271623).
Né le circostanze in fatto evidenziate dalla difesa possono concretamente rappresentare quel “dubbio ragionevole” che, secondo la costante interpretazione offerta da questa Corte, va identificato in una ricostruzione della vicenda che, alla luce delle risultanze processuali, assunte nella loro oggettiva consistenza, sia non
un’astratta possibilità (come, all’evidenza, emerge dalla stessa prospettazione difensiva) ma un’eventualità concretamente plausibile e suscettibile di essere argomentata con ragioni verificabili (Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, Troise, Rv. 272430).
Quanto, in ultimo alla pretesa irrilevanza dell’atto, all’interno della sequenza procedimentale posta in essere, è sufficiente rilevare, da un canto, che, a prescindere dalla qualificazione del contratto (nel quale, peraltro, la necessaria esecuzione dei lavori di posa in opera dei loculi prefabbricati forniti, giustifica la necessità di una consegna), il falso innocuo è quello che cade sull’atto o su una parte di esso assolutamente privo di valenza probatoria (Sez. 5, n. 11498 del 05/07/1990, Casarola, Rv. 18513201; Sez. 5, n. 28599 del 07/04/2017, Rv. 270245), Laddove, in concreto, la condotta falsificatrice attiene all’attestazione relativa alla data e al luogo di consegna e, quindi, ad un profilo coperto, per come si è detto, dalla funzione fidefaciente dell’atto.
Quanto alle deduzioni afferenti alla “affidabilità” delle intercettazioni, è sufficiente ribadire quanto correttamente già evidenziato nella sentenza impugnata. La doglianza fa leva sulle conclusioni raggiunte dal consulente tecnico di parte, il quale ha redatto una memoria tecnico-difensiva nella quale ha riscontrato la mancanza dei codici hash, che, secondo la prospettazione difensiva, costituirebbe l’unica garanzia di corrispondenza dei file estratti a quelli originali, anche in termini di scansione cronologica delle intercettazioni. Ma il motivo è inammissibile sotto distinti profili. Sia per la genericità della formulazione, non essendo stata indicata l’effettiva incidenza delle intercettazioni sulla decisione di condanna; sia perché si introduce un dato (a garanzia della genuinità delle intercettazioni) avulso dal sistema processuale, che contempla un diverso complesso di tutele, strutturato intorno al controllo (da parte dell’autorità giudiziaria) dell’uso degli impianti di intercettazione, anche attraverso l’installazione degli impianti di captazione presso gli Uffici Giudiziari (Sez. U n. 28717 del 21/06/2012, COGNOME, Rv. 252935, in motivazione). E ciò senza tipizzare misure tecniche e procedure specifiche dirette a validare la corrispondenza dei file audio estratti all’originale conservato nel server (cfr. Sez. 3, n. 37644 del 28/05/2015 R., Rv. 265180 in tema di perquisizione di sistema informatico o telematico), ma riconoscendo alla difesa tutte le facoltà necessarie per verificare che eventuali abusi non siano stati compiuti (Sez. 5, n. 27918 del 25/05/2021, Grande Aracri, Rv. 281603).
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 21 gennaio 2025
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Il Presidente