Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 2477 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 2477 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 27/11/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da COGNOME NOME nata a Ravenna il 21 giugno 1934; COGNOME NOME nata a Ravenna il 25 settembre 1967; COGNOME NOME nata a Ravenna il 3 giugno 1962;
avverso la sentenza del 29 maggio 2024 del Tribunale di Ravenna;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi;
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME NOME e NOME COGNOME venivano tratte a giudizio per rispondere dei reati di cui agli artt. 56, 48, 110, 479, 61, n. 2, cod. pen. (capo A) e 56, 110, 640 e 61 n. 7 cod. pen. (capo B), per aver presentato, in allegato alla comparsa di costituzione e risposta, redatta nella causa civile n. 1992/2020 R.G., instaurata presso il Tribunale di Ravenna, un documento datato 15 settembre 2018, con la quale NOME COGNOME (deceduta il 18 ottobre 2018) dispensava, tra
gli altri, le predette ricorrenti dall’onere restitutorio relativo a prestiti loro er nel tempo, ammontanti complessivamente a 141 mila euro (documento la cui sottoscrizione risultava apocrifa) e, così, ponendo in essere atti diretti in modo non equivoco a determinare, previa induzione in errore del giudice adito, un esito loro favorevole del procedimento civile instaurato.
Fissata l’udienza preliminare, preso atto della sopravvenuta remissione della querela e della concorde richiesta delle parti, veniva dichiarato non doversi procedere in relazione alla truffa contestata al capo B) e, contestualmente, applicata, ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., in relazione al falso contestato al capo A), la pena di mesi tre di reclusione.
2. Propongono ricorso per cassazione le imputate articolando un unico motivo d’impugnazione a mezzo del quale si deduce violazione di legge e connesso vizio di motivazione. La difesa sostiene che il fatto sarebbe privo di rilevanza penale in quanto la condotta contestata (la semplice allegazione documentale), in quanto semplice introduzione di un elemento di falsità all’interno di un giudizio civile non genera, sempre e in ogni caso, in capo al soggetto agente, una responsabilità ai sensi degli articoli 48 e 479 del codice penale. È necessario che la sentenza, nella parte “descrittiva” in essa contenuta contenga l’attestazione, non conforme a verità, dell’esistenza di una data situazione di fatto costituente il presupposto indispensabile per il compimento dell’atto. Ebbene, da un canto, la sentenza del giudice civile non potrebbe ritenersi attestativa della veridicità del fatto documentato (ma semplicemente valutativa dell’idoneità della prova a dimostrare, in concreto, un determinato fatto); dall’altro, la produzione del giudizio civile da parte delle imputate del documento che si assume falso non ha integrato un presupposto di fatto indispensabile per l’emanazione della sentenza, in quanto la mancata produzione del documento non solo non avrebbe in alcun modo condizionato l’adozione del provvedimento, ma non ne avrebbe potuto condizionare neanche il contenuto. Il documento allegato, infatti, non solo è privo della forma necessaria per produrre effetti (essendo rappresentativa di una ipotetica volontà donativa della de cuius), ma è anche intrinsecamente inutile in quanto le convenute (oggi imputate) non avevano alcun obbligo di collazione ai sensi dell’articolo 737 cod. civ. e, quindi, non necessitavano di alcuna dispensa. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono inammissibili.
Va premesso che, a fronte della richiesta di applicazione della pena formulata dalle parti, il giudice ha il dovere di verificare la corretta qualificazione giuridi del fatto contestato; una verifica che, in quanto funzionale alla valutazione della
congruità della pena, va compiuta in termini non meramente formali, ma secondo criteri sostanziali e specifici, alla luce della fattispecie concreta (Sez. 6, n. 6156 del 14/01/2013, COGNOME, Rv. 254897).
Logico corollario di tale assunto è la possibilità di ricorrere per cassazione deducendo, ai sensi dell’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., l’erronea qualificazione giuridica del fatto contenuto in sentenza.
Tale sindacato, tuttavia, proprio alla luce dell’accordo intervenuto tra le parti, è limitato ai soli casi di errore manifesto; errore configurabile nelle sole ipotesi nelle quali la qualificazione prospettata nel capo d’imputazione risulti, con indiscussa immediatezza e senza margini di opinabilità, palesemente eccentrica rispetto al fatto contestato (Sez. 4, n. 13749 del 23/03/2022, Gamal, Rv. 283023); impugnazione che, invece, deve ritenersi inammissibile (anche dopo l’introduzione della previsione dell’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen.: Sez. 3, n. 23150 del 17/04/2019, COGNOME, Rv. 275971) ove denunci errori valutativi in diritto che non risultino evidenti dalla contestazione (Sez. 5, n. 33145 del 08/10/2020, Cari, Rv. 279842) o richiami, quale necessario passaggio logico del motivo di ricorso, aspetti in fatto e probatori che non risultino con immediatezza dalla contestazione (Sez. 7, n. 39600 del 10/09/2015, COGNOME, Rv. 264766) o, ancora, che presentino margini di opinabilità (Sez. 3, n. 34902 del 24/06/2015, COGNOME, Rv. 264153).
Ciò premesso, è principio oramai consolidato quello secondo cui il falso ideologico è configurabile anche in atti a contenuto dispositivo (ossia in quegli atti, come la sentenza, che si sostanziano non in una rappresentazione o descrizione di un fatto, ma in una manifestazione di volontà), investendo la falsità, in queste ipotesi, le attestazioni, anche implicite, contenute nel documento e i presupposti di fatto giuridicamente rilevanti ai fini della parte dispositiva dell’atto medesimo (Sez. U., n. 35488 del 28/06/2007, COGNOME, Rv. 236867; Sez. U, n. 1827 del 03/02/1995, COGNOME, Rv. 200117). Cosicché, ove il falso si sia manifestato nelle forme dell’autore mediato e sia stata indotta in errore l’autorità giudiziaria nell’esercizio delle sue funzioni, il delitto è configurabile solo ove siano stati recepit nel provvedimento giurisdizionale elementi fattuali falsi, riguardanti uno dei presupposti necessari all’adozione dell’atto (Sez. 5, n. 24061 del 21/02/2022, Gruppo Ferrovie dello Stato, Rv. 283525). In questi casi, dipendendo la falsità di una conclusione dispositiva non dall’invalidità degli argomenti ma dalla falsità delle premesse fattuali da cui si dipana (ex multis, Sez. 5, n. 31271 del 21/09/2020, Leo, Rv. 279751).
i l ricorrente deduce che la produzione del giudizio civile da parte delle imputate del documento che si assume falso non integrerebbe un presupposto di fatto indispensabile per l’emanazione della sentenza, in quanto la
mancata produzione del documento non solo non avrebbe in alcun modo inficiato l’adozione del provvedimento ma non avrebbe potuto condizionarne neanche il contenuto, non avendo il documento allegato in giudizio la forma necessaria per produrre i suoi effetti (essendo rappresentativa di una ipotetica volontà donativa della de cuius) e non avendo le convenute (oggi imputate) alcun obbligo di collazione.
Tanto, tuttavia, impone una valutazione giuridica che non emerge con immediatezza dalla contestazione in quanto presuppone l’accertamento sussistenza in fatto dell’obbligo di collazione (alla luce del disposto dell’art. 737 cod. civ.) e, parallelamente, dell’eventuale conseguente dispensa (che, peraltro, in astratto, ben può assumere la forma della manifestazione tacita di volontà: Cass. civ., n. 942 del 10/05/1967, Rv. 327175).
Da ciò il logico corollario, a fronte di una sentenza di applicazione concordata della pena, dell’indeducibilità del relativo vizio.
I ricorsi, quindi, devono essere dichiarati inammissibili e le ricorrenti condannate al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 27 novembre 2024
Il Consigli r estensore
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Il Presidente