Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 22533 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 22533 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 13/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a MONTECCHIO MAGGIORE il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 29/05/2023 della CORTE APPELLO di VENEZIA
udito il AVV_NOTAIO Procuratore generale, AVV_NOTAIOssa NOME COGNOME, la quale ha concluso visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; per l’inammissibilità del ricorso.
udita l’AVV_NOTAIO, sostituto processuale dell’avvocato NOME AVV_NOTAIO, difensore di fiducia di COGNOME NOME, che si riporta ai motivi di ricorso ed insiste per l’accoglimento dello stesso.
Ritenuto in fatto
Con sentenza del 29 maggio 2023 la Corte d’appello di Venezia: a) in parziale riforma della decisione di primo grado, ha assolto NOME COGNOME, non ricorrente in cassazione, e NOME COGNOME, entrambi in servizio presso l’Ufficio Protezione della Squadra Mobile di Vicenza, dal delitto di falso ideologico loro attribuito in relazione ai verbali di contestazione amministrativa n. NUMERO_DOCUMENTO e 284778; b) ha confermato l’affermazione di responsabilità del COGNOME con riguardo: b1) al medesimo delitto in relazione al verbale di contestazione amministrativa n. 284779, avente ad oggetto il rifiuto di NOME COGNOME di «esibire la patente di guida, la carta di circolazione o altro documento ai verbalizzanti che si qualificavano»; b2) alla relazione di servizio del 21 novembre 2012 e alla successiva annotazione del 28 novembre 2012, laddove avevano attribuito al medesimo COGNOME, al quale era stata richiesta l’esibizione di documenti che l’uomo aveva rifiutato di consegnare, una condotta aggressiva, che aveva, alla fine, provocato una colluttazione, in esito alla quale, pur avendo avuto la peggio, non aveva riportato «alcun segno evidente». Al contrario, per quanto emerso in altro processo, ormai definito con sentenza irrevocabile, il COGNOME e il COGNOME avevano prima costretto il COGNOME, che si trovava alla guida del suo camioncino, a fermarsi in una piazzola di sosta, per poi ingaggiare con lui una colluttazione così violenta dal provocare lesioni personali guarite in oltre venti giorni.
Nell’interesse del COGNOME è stato proposto ricorso per cassazione, affidato ai seguenti motivi, di seguito enunciati nei limiti richiesti dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo si lamenta carenza assoluta o manifesta illogicità della motivazione, per violazione della regola probatoria dell’oltre ogni ragionevole dubbio, per avere la sentenza impugnata fondato l’affermazione di responsabilità per la falsità del verbale NUMERO_DOCUMENTO esclusivamente su una pretesa illogicità della tesi difensiva e non su elementi di fatto idonei a dimostrarne con certezza la falsità.
In particolare, il fatto che il COGNOME non avesse riferito, sia nella querela che nella telefonata intercorsa con l’assistenza della Polizia di Stato AVV_NOTAIO, della richiesta di esibizione dei documenti, oltre a costituire circostanza negativa, insuscettibile di prova, era c:onnunque giustificabile con la preoccupazione di non autoaccusarsi di un illecito. Quanto, poi, alla considerazione, per la quale, se i documenti fossero stati richiesti, gli operanti avrebbero condotto a termine la verifica, osserva il ricorso che essa ha carattere
congetturale, non essendo basata su un fatto certo e collide c:on il rilievo che i due agenti non avrebbero avuto alcun interesse, per rafforzare la ricostruzione dei fatti, ad elevare un separato e falso verbale per violazione dell’obbligo di esibizione dei documenti.
2.2. Con il secondo motivo si lamenta: a) manifesta illogicità della motivazione per avere desunto la falsità della relazione di servizio del 21 novembre 2012, quanto all’iniziativa dello scontro, esclusivamente da una pretesa illogicità della tesi contraria, con violazione della regola dettata dall’art. 533 cod. proc. pen.; b) violazione di legge in relazione all’omesso riconoscimento della causa di esclusione di non punibilità per esercizio del diritto di non rendere dichiarazioni autoaccusatorie, sia pure nella forma meramente putativa.
Si osserva, quanto al primo profilo sub a, che, una volta esclusa la falsità delle relazioni con riguardo alla fase prodromica degli avvenimenti, in ragione dell’impossibilità di ricostruire con esattezza i comportamenti tenuti dalle diverse persone coinvolte, la Corte territoriale avrebbe dovuto prendere atto che lo stesso limite conoscitivo riguardava la vicenda relativa al rifiuto del COGNOME di consegnare i documenti e il tema dell’iniziativa dello scontro. Escluso che le conclusioni siano fondate sulle dichiarazioni del COGNOME, dal momento che è la stessa Corte territoriale a riconoscere di essersi basata su deduzioni logiche, si sarebbe dovuto considerare che la regola dell’oltre ogni ragionevole dubbio non consente di fondare l’affermazione di colpevolezza su un’ipotesi del tutto congetturale, seppur plausibile. In ogni caso, il COGNOME non avrebbe avuto interesse ad autoaccusarsi di avere aperto lo sportello dell’autovettura degli operanti e di avere afferrato il COGNOME per il bavero. Infine, la c:ircostanza – mai riferita dal COGNOME – costituiva un mero fatto negativo che non poteva essere assunto come dato noto per potere risalire a quanto si sarebbe dovuto dimostrare.
Quanto al secondo profilo sub b, si rileva che, impregiudicato l’accertamento operato nel distinto procedimento svoltosi a carico degli imputati, comunque si sarebbe dovuto riconoscere l’operatività del principio nemo tenetur se detegere, quantomeno in termini di putatività, soprattutto alla luce del capo di imputazione che assegnava rilievo all’avere omesso di riferire circostanze di natura spiccata mente a utoaccusatoria.
L’avere eluso il confronto con quest’ultimo tema, avendo la Corte d’appello ritenuto che fosse stato contestato agli imputati di avere affermato falsamente fatti diversi da quelli accaduti, aveva superato i limiti di una riqualificazione giuridica, finendo per attribuire un fatto diverso nella forma di manifestazione, con conseguente nullità ai sensi dell’art. 178, comma 1, lett. b), cod. proc. pen.
3. Sono state trasmesse, ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. 28/10/2020, n. 137, conv. con I. 18/12/2020, n. 176, le conclusioni scritte del AVV_NOTAIO Procuratore generale, AVV_NOTAIO, la quale ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
All’udienza del 13 marzo 2024 si è svolta la discussione orale.
Considerato in diritto
1. Il primo motivo è, nel suo complesso, infondato.
Come più volte ribadito dalla giurisprudenza di questa Corte, il dubbio ragionevole di cui all’art. 530, primo comma, cod. proc. pen. deve identificarsi in una ricostruzione della vicenda non solo astrattamente ipotizzabile in rerum natura, ma la cui plausibilità nella fattispecie concreta risulti ancorata alle risultanze processuali, assunte nella loro oggettiva consistenza. È dunque necessario che il dubbio ragionevole risponda non solo a criteri dotati di intrinseca razionalità, ma sia suscettibile di essere argomentato con ragioni verificabili alla stregua del materiale probatorio acquisito al processo (Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017 – dep. 03/04/2018, Troise, Rv. 272430), non potendo il dubbio fondarsi su un’ipotesi del tutto congetturale, seppure plausibile (Sez. 3, n. 5602 del 21/01/2021, P. Rv. 281647 – 04).
Ora, nel caso di specie, i dati oggettivi valorizzati dalla Corte territoriale sono rappresentati dal fatto che il COGNOME e il COGNOME, componenti dell’equipaggio della Polizia che aveva fermato il COGNOME, persino dopo l’intercorsa colluttazione con quest’ultimo, non avevano proceduto ad alcuna identificazione dell’uomo. Si tratta di circostanze fattuali indiscutibilmente acquisite sulle quali sono state sviluppate le razionali considerazioni della Corte territoriale, secondo la quale è del tutto inverosimile che i due imputati, dopo avere richiesto i documenti al COGNOME – si ripete, fermato per una condotta di guida giudicata pericolosa – non avessero dato alcun seguito all’inerzia del destinatario della richiesta, persino dopo che si era verificata Ila colluttazione della quale si dirà infra. Neppure la delicatezza del servizio in corso di trasporto di un collaboratore di giustizia – che, peraltro, non ne aveva impedito l’interruzione per fermare il COGNOME, condotta cui si erano accompagnati i delitti di lesioni e violenza privata, ormai accertati con sentenza irrevocabile – giustifica l’inerzia dei due imputati che neppure avevano provveduto a segnalare la circostanza ad altri colleghi, quantomeno in ragione della pericolosità della condotta di guida che sarebbe stata manifestata dal COGNOME.
Il fondamento dell’affermazione di responsabilità (per quanto ora rileva) del COGNOME, pertanto, non riposa sul fatto che il COGNOME non abbia dichiarato che gli erano stati richiesti i documenti, ma sul fatto che l’intera condotta dei poliziotti, per come accertata nel processo, è assolutamente incompatibile con la previa richiesta degli stessi, con conseguente inattendibilità della deposizione del teste COGNOME, ossia del collaboratore che essi stavano trasportando (soggetto, peraltro, già ritenuto inattendibile, osserva la sentenza impugnata, nel processo per lesioni e violenza privata separatamente celebrato, per avere ricostruito l’episodio in modo palesemente diretto a favorire gli imputati).
In tale prospettiva, che il COGNOME e il COGNOME avessero o non interesse a confezionare l’atto falso del quale si discute è rilievo inconferente. La falsità scaturisce dalla razionale considerazione per la quale l’atto in esame ha per oggetto una contestazione – il rifiuto di NOME COGNOME di «esibire la patente di guida, la carta di circolazione o altro documento ai verbalizzanti che si qualificavano» – che è smentita dall’analisi critica delle risultanze processuali, senza che queste ultime offrano un logico fondamento ad elementi di dubbio.
2. Infondato è anche, nel suo complesso, il secondo motivo.
La falsità della relazione di servizio, quanto al tema dell’iniziativa dello scontro, non riposa su basi congetturali, ma sulla doverosa analisi critica della deposizione del COGNOME che, certo, si alimenta, alla stregua di massime di esperienza, di considerazioni logiche, legate all’assoluta assenza di interesse dell’uomo, fermato dalla Polizia, di cercare lo scontro fisico nonostante l’inferiorità di forze, ma che trae fondamento anche dall’esame dell’intera vicenda e dalla stessa, ponderata considerazione delle pur controllate dichiarazioni del teste COGNOME. Inoltre, anche le restanti falsità – dall’intervento del COGNOME per separare il COGNOME e il COGNOME, quando, invece, il primo è stato condanNOME nel separato processo al pari del secondo, al fatto che non di breve colluttazione si era trattato, ma di una reiterata e prolungata sequela di colpi sono coerenti con l’obiettivo di creare l’apparenza di una realtà diversa da quanto accaduto, ossia, per usare l’espressione adoperata dalla sentenza impugnata, ossia da una vicenda nella quale si volevano “regolare i conti con altro automobilista”.
Ne discende che la situazione processuale è assolutamente diversa da quella che ha condotto all’assoluzione dei due imputati in relazione ai restanti falsi e della quale s’è dato conto in principio, in ragione dell’incertezza nella ricostruzione di altri segmenti fattuali dell’episodio.
In realtà, la prima articolazione del motivo, nella sostanza, aspira ad una rivalutazione delle risultanze istruttorie, preclusa in questa sede.
Infondata è, invece, la seconda censura, per l’assorbente ragione che le falsità attribuite al COGNOME hanno carattere positivo e attengono alle false attestazioni di circostanze mai avvenute – dalla richiesta dei documenti, all’iniziativa dello scontro, alle caratteristiche della colluttazione – laddove le omissioni segnalate nella parte finale del capo di imputazione concernono fatti che, ove rilevanti ai fini del presente processo, mirano solo ad esaltare le inverosimiglianze delle circostanze positive sopra riferite e delle quali s’è detto sopra.
In tale contesto, la condanna non ha realizzato alcuna immutazione dei fatti contestati.
D’altra parte, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, in tema di falso in atto pubblico non può essere invocata la scriminante di cui all’art. 51 cod. pen., nella forma del principio nemo tenetur se detegere, per aver il pubblico ufficiale estensore dell’atto attestato il falso in ordine a quanto ivi rappresentato, al fine di non far emergere la propria responsabilità, non potendo la finalità probatoria dell’atto pubblico essere sacrificata all’interesse del singolo di sottrarsi alle conseguenze di un delitto (Sez. 5, n. 23672 del 19/04/2021, COGNOME, Rv. 281406 – 01).
Alla pronuncia di rigetto consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 13/03/2024