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Falso ideologico: la Cassazione su reddito e dolo

Un lavoratore è stato condannato per falso ideologico dopo aver omesso di dichiarare i redditi da un nuovo impiego. La Corte di Cassazione ha dichiarato il suo ricorso inammissibile, confermando che la consapevolezza del rapporto di lavoro, provata da fatti come la richiesta di disoccupazione, è sufficiente a configurare il dolo del reato. La Corte ha ribadito che il falso ideologico è un reato di pura condotta, che si perfeziona con la sola dichiarazione non veritiera.

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Pubblicato il 6 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Falso Ideologico: La Consapevolezza del Reddito Rende la Dichiarazione Mendace Punibile

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 10355 del 2024, si è pronunciata su un caso di falso ideologico, offrendo importanti chiarimenti sulla rilevanza della consapevolezza del dichiarante riguardo alla propria situazione reddituale. La decisione sottolinea come la negligenza o una presunta ignoranza non possano scusare chi rilascia dichiarazioni non veritiere a un ente pubblico, specialmente quando elementi concreti dimostrano la piena coscienza della propria condizione lavorativa e reddituale.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda un cittadino che, dopo essere stato licenziato da un precedente impiego, aveva trovato una nuova occupazione presso un’attività commerciale. Nonostante il nuovo rapporto di lavoro, regolarmente contrattualizzato e retribuito, l’individuo aveva presentato una dichiarazione attestante una situazione reddituale non veritiera, omettendo i nuovi guadagni. Per tale condotta, era stato condannato nei primi due gradi di giudizio per il reato di falso ideologico commesso dal privato in atto pubblico.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

L’imputato ha presentato ricorso per Cassazione basandosi su due argomenti principali:
1. Violazione dell’elemento oggettivo: La difesa sosteneva che il concetto di “reddito imponibile” dovesse riferirsi esclusivamente a redditi effettivamente percepiti e che la motivazione della Corte d’Appello su questo punto fosse carente.
2. Violazione dell’elemento soggettivo: Si affermava che l’imputato avesse agito per colpa e non con dolo, ovvero senza l’intenzione di dichiarare il falso, rendendo il fatto non punibile.
In sostanza, la tesi difensiva mirava a dimostrare una mancanza di consapevolezza da parte dell’imputato riguardo al mutamento della propria situazione reddituale, tale da escludere l’intenzionalità della falsa dichiarazione.

La Decisione della Corte: Il ricorso per falso ideologico è inammissibile

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile per due ordini di ragioni. In primo luogo, i motivi presentati erano una mera riproposizione delle argomentazioni già esaminate e respinte dalla Corte d’Appello, senza introdurre nuove e specifiche confutazioni. La giurisprudenza costante ritiene inammissibili i ricorsi che non si confrontano criticamente con la decisione impugnata, ma si limitano a ripetere le stesse doglianze.
In secondo luogo, le censure sollevate erano manifestamente infondate, in quanto tendevano a sollecitare una nuova valutazione delle prove, attività preclusa al giudice di legittimità. La Cassazione non può riesaminare i fatti del processo, ma solo verificare la corretta applicazione della legge e la coerenza logica della motivazione.

Le Motivazioni

Nel merito, la Corte ha smontato la tesi difensiva evidenziando una palese contraddizione nella condotta dell’imputato. Subito dopo il licenziamento, infatti, lo stesso aveva presentato domanda per l’indennità di disoccupazione. Questo atto dimostrava in modo inequivocabile la sua piena consapevolezza dell’esistenza di un rapporto di lavoro, di un contratto e di buste paga. Tale consapevolezza rendeva del tutto inverosimile la tesi di un errore o di un’ignoranza circa la propria situazione reddituale.
La Corte ha inoltre ribadito che il reato di falso ideologico previsto dall’art. 483 c.p. è una figura speciale di falso e si configura come un reato di pura condotta. Ciò significa che il delitto si perfeziona nel momento stesso in cui viene resa la dichiarazione non veritiera, indipendentemente dal conseguimento di un eventuale profitto, che, se presente, costituisce un’aggravante.
Per quanto riguarda l’elemento soggettivo, il dolo richiesto consiste nella “volontà cosciente e non coartata di compiere il fatto e nella consapevolezza di agire contro il dovere giuridico di dichiarare il vero”. Nel caso di specie, essendo stata provata la piena conoscenza del rapporto di lavoro e dei relativi redditi, la Corte ha logicamente escluso la possibilità di un errore e ha confermato la sussistenza del dolo.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame ribadisce un principio fondamentale: non ci si può appellare a una presunta ignoranza della propria condizione economica per sfuggire alle responsabilità penali derivanti da dichiarazioni false. La condotta complessiva di una persona, come la richiesta di sussidi legati a un precedente status lavorativo, può essere utilizzata come prova schiacciante della sua consapevolezza. La pronuncia conferma la severità dell’ordinamento nei confronti di chi attesta il falso in atti pubblici, proteggendo la fede pubblica e la correttezza dei rapporti tra cittadini e amministrazione.

Quando si perfeziona il reato di falso ideologico in un atto pubblico?
Il reato si perfeziona con la semplice condotta di dichiarare il falso, essendo un “reato di pura condotta”. Non è necessario che si ottenga un profitto ingiusto, il quale costituisce semmai un’aggravante.

È possibile giustificare una dichiarazione falsa sostenendo di non essere consapevoli del proprio reddito?
No. La Corte ha stabilito che la consapevolezza è dimostrata da fatti oggettivi, come l’esistenza di un contratto di lavoro regolare, la percezione di una retribuzione e la presentazione di una domanda di disoccupazione, che presuppone la conoscenza del rapporto di lavoro.

Perché un ricorso in Cassazione può essere dichiarato inammissibile?
Un ricorso è inammissibile se si limita a riproporre le stesse questioni già esaminate e respinte nei gradi di giudizio precedenti senza una nuova e autonoma confutazione, oppure se mira a una nuova valutazione delle prove, compito che non spetta alla Corte di Cassazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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