Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 2113 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 2113 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 06/11/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a MARIGLIANO il 20/11/1952 COGNOME NOME nato a SAN VITALIANO il 25/06/1960 COGNOME nato a NAPOLI il 01/08/1966
avverso la sentenza del 13/02/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità dei ricorsi;
uditi gli aw.ti SPOSITO per COGNOME e GUIDA per COGNOME e COGNOME, che hanno concluso chiedendo l’accoglimento dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 13 febbraio 2024, la Corte di appello di Napoli ha confermato la sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Noia in data 15 gennaio 2021 con la quale NOME COGNOME e NOME COGNOME erano stati condannati alla pena di 3 anni e 2 mesi di reclusione e NOME COGNOME a quella, condizionalmente sospesa, di 1 anno e 6 mesi di reclusione in quanto ritenuti colpevoli, riconosciute al solo COGNOME le attenuanti generiche equivalenti all’aggravante contestata, del delitto previsto dagli artt. 40 cpv. e 110-479 e 476, secondo comma, cod. pen., perché, in concorso tra loro e nelle qualità di pubblici ufficiali incaricati di un accertamento presso il fabbricato di NOME COGNOME al fine di verificare – su delega della Procura di Noia nel procedimento penale n. 34/10 – la conformità dei lavori edili al permesso di costruire n. 155 del 16 dicembre 2006, all’esito del sopralluogo del 2 luglio 2010 attestavano il falso nel verbale di accertamento e nella relazione tecnica, riferendo che, dal confronto tra lo stato dei luoghi e i grafici allegati al permesso di costruire, «l’immobile è risultato conforme a quanto realizzato», mentre, in realtà, erano stati eseguiti dei lavori edili abusivi ed era stata mutata la destinazione d’uso dell’immobile, in Marigliano il 2 luglio 2010 (capo N); nonché, i soli COGNOME e COGNOME, del delitto previsto dagli artt. 110, 40 cpv., 479 e 476, secondo comma, cod. pen., perché, nella qualità di pubblici ufficiali incaricati, su delega della Procura di Noia nell’ambito del procedimento n. 34/10, delle indagini sulle difformità dei lavori edili realizzati dai Cerqua rispetto ai progetti presentati presso il comune di Marigliano, attestavano il falso nell’informativa prot. Pol. Mun. ED/5/11: 1) riferendo, contrariamente al vero, che «al momento dell’accertamento, i lavori sono risultati sospesi, risulta realizzata la struttura in C.A. con relativi tompagni e intonaco esterno e completata una parte al piano terra», che «da misurazioni effettuate la struttura è risultata conforme ai grafici allegati ai permessi di cui sopra», che «il piano interrato, parte risulta a cantinola e parte a spogliatoio, piano terra destinata ad abitazione, risulta completato solo una parte e abitato, la restante parte risulta allo stato grezzo, piano primo risulta allo stato grezzo»; 2) omettendo di attestare di aver riscontrato, nel sopralluogo del 21 dicembre 2010, l’esecuzione di importanti lavori edili abusivi prima del dissequestro dell’immobile e che i lavori erano stati realizzati con profonde difformità rispetto ai progetti depositati al comune di Marigliano, attesa la presenza, al seminterrato, di una cantinola, non prevista dal progetto e di un diverso assetto e utilizzo dell’intero seminterrato, adibito a civile abitazione invece che a spogliatoio; al primo piano, la realizzazione di ambienti non previsti dal progetto, con conseguente aumento della volumetria; 3) omettendo di attestare di aver verificato che, su area agricola e in adiacenza al II° fabbricato di INDIRIZZO di Marigliano, era stata rilevata una struttura in cemento Corte di Cassazione – copia non ufficiale
armato in ampliamento del fabbricato esistente, allo stato grezzo con la sola intelaiatura in cemento armato, costituita da un piano cantina e da un piano rialzato, quest’ultimo privo di tompagnatura, in Nola dall’Il gennaio 2011 al 24 marzo 2011 (capo I), nonché del delitto previsto dagli artt. 110, 40 cpv., 479 e 476, secondo comma, cod. pen., perché, in concorso tra loro e nelle qualità di pubblici ufficiali incaricati di un accertamento presso il fabbricato agricolo di Autilia Iervolino, al fine di verificare l’ottemperanza all’ordinanza di demolizione n. 200/08 del comune di Marigliano del 20 ottobre 2008 e all’ordinanza n. 80010 del 3 novembre 2010 del Tribunale di Noia, all’esito di sopralluogo del 15 dicembre 2010 attestavano il falso nell’informativa prot. Pol. Mun. ED/9/11 del 14 gennaio 2011, riferendo che la COGNOME aveva ottemperato alle ordinanze demolendo le opere abusive, mentre esse erano ancora presenti e nelle fotografie trasmesse dalla Polizia municipale erano occultate alla vista dalla prospettiva e dalla presenza di cumuli di terreno; in Marigliano il 14 gennaio 2011 (capo K).
COGNOME ha proposto ricorso per cassazione per il tramite del difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME deducendo quattro motivi di impugnazione.
2.1. Con il primo motivo, il ricorso lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione degli artt. 533, comma 1 e 192 cod. proc. pen., nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla configurabilità del delitto contestato al capo I). La Corte territoriale non avrebbe risposto a quanto dedotto con i motivi di appello, ovvero che quello qualificato come vano cantinola era, in realtà, uno scavo destinato ad area tecnica, non soggetto ad autorizzazione, come il telone di copertura; sicché essi non avrebbero dovuto essere segnalati. E dal momento che la struttura in cemento armato era su particella appartenente a terzi, essa non sarebbe stata oggetto di accertamento da parte di Squillante.
2.2. Con il secondo motivo, il ricorso censura, ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione degli artt. 533, comma 1 e 192 cod. proc. pen., nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione al capo K), lamentandosi del fatto che le opere non fossero soggette ad alcun indice di costruzione e che la rimozione delle opere edilizie sia stata documentata da Squillante mediante fotografie.
2.3. Con il terzo motivo, il ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione degli artt. 533, comma 1 e 192 cod. proc. pen., nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione al capo N). Nell’appello sarebbe stato dedotto che l’immobile era conforme a quello autorizzato e che il mutamento di destinazione d’uso era stato realizzato mediante l’apposizione di mobili; aspetti che la Corte territoriale non avrebbe, tuttavia, considerato.
2.4. Con il quarto motivo, il ricorso deduce, ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione degli artt. 533, comma 1 e 192 cod. proc. pen., nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione al delitto di falso in atto pubblico e al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche.
Quanto al primo profilo si ribadisce che dedurre, dal giudizio di attendibilità dei testi di polizia giudiziaria, la presenza degli abusi al momento dei sopralluoghi, sia operazione disancorata dalla verità processuale; e come l’esistenza del delitto non potesse prescindere dalla consapevolezza, nell’imputato, della falsità di quanto attestato, ritenuta «attraverso una sequela presuntiva illogica».
Quanto al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, oltre alla brevità della motivazione sul punto, il ricorso lamenta il mancato scrutinio degli indici previsti dall’art. 133, comma secondo, nn. 1, 2, 3 e 4, cod. pen.
Hanno proposto ricorso anche COGNOME e COGNOME per il tramite del comune difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME deducendo tre motivi di impugnazione.
3.1. Con il primo motivo, il ricorso lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione degli artt. 479 cod. pen. e 192 cod. proc. pen., nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione al capo I).
La decisione impugnata non terrebbe conto che l’assunto secondo cui gli interventi edilizi abusivi erano preesistenti al sopralluogo di Cascella e Perrone sarebbe privo di riscontri; fermo restando che la preesistenza degli interventi rispetto al secondo accertamento non comporterebbe che essi fossero esistenti all’epoca del primo verbale. In ogni caso, una struttura costituita da un piano cantinato e un piano rialzato sarebbe realizzabile nel breve arco temporale intercorso tra il sopralluogo del dicembre 2010 e l’accesso del marzo 2011.
Ribadendosi, per la difformità consistente in un diverso assetto e nell’utilizzo del piano seminterrato a civile abitazione e non a semplice spogliatoio, che non sarebbe stata realizzata alcuna opera edilizia significativa con un aumento di volumetria, si osserva che gli altri interventi, come quello di adibire lo spogliatoio a WC, avrebbero richiesto soltanto una CILA, sicché gli abusi sarebbero stati sanabili mediante CILA in sanatoria.
Dall’esistenza di un documento successivo rispondente al vero la Corte territoriale avrebbe desunto anche la falsità ideologica del documento precedente, senza prova che la immutatio veri fosse stata compiuta nel relativo lasso temporale; e senza dimostrare l’esistenza del dolo, potendo la falsa attestazione derivare da una leggerezza o da una negligenza dell’agente.
3.1.1. Con riferimento al capo K), la Corte territoriale non avrebbe ritenuto plausibile la tesi secondo cui i due imputati non si sono avveduti, per mera leggerezza, dell’abuso o secondo cui questo è stato realizzato dopo il loro accesso.
In realtà, il principale teste dell’accusa, COGNOME, con riferimento alla cantina, riferirebbe di aver riscontrato una diversa dimensione in pianta, riscontrabile solo attraverso la consultazione delle planimetrie, senza che la sentenza abbia verificato la possibilità di rilevarla senza la necessità di un approfondimento documentale. Fermo restando che non si potrebbe escludere, tenuto conto dei tempi realizzazione, che le opere siano state poste in essere dopo l’accesso eseguito dagli imputati.
Inoltre, le dichiarazioni del maresciallo COGNOME sarebbero state ritenute inattendibili in relazione al capo A), relativo a una concussione ascritta a COGNOME, al capo R), concernente concussione e peculato a carico di COGNOME, mentre con riferimento al capo K), la Corte di appello avrebbe omesso di spiegare perché il teste sia stato ritenuto, invece, credibile.
Né la Corte di appello avrebbe motivato sui rilievi difensivi circa la natura cartolare di parte degli accertamenti eseguiti sulla demolizione del manufatto, la mancanza della documentazione dell’ufficio tecnico comunale necessaria ad acclarare la storia edilizia dell’immobile, gli abusi su di esso realizzati e l’ottemperanza o meno all’ordine di demolizione; rilievi che consentirebbero di revocare in dubbio la falsità della attestazione, per quanto non riscontrata da elementi probatori idonei. Dunque, non solo non vi sarebbe prova della cd. immutatio veri, ma risulterebbe indimostrato che gli imputati abbiano redatto un documento contrario al vero.
3.1.3. Sotto altro profilo, si deduce violazione di legge e omessa motivazione sui rilievi difensivi in ordine all’attendibilità del teste COGNOME.
La Corte di appello avrebbe dovuto indicare le ragioni per cui le sue dichiarazioni siano attendibili, pur essendo prive di riscontro documentale e potendo essere state influenzate dal timore reverenziale verso gli organi di polizia giudiziaria. Maggiore precisione avrebbero restituito le aerofotogrammetrie storiche, considerato che anche i fotogrammi tratti da Google Earth sono prove documentali, non utilizzate benché nessuno degli imputati possedesse la documentazione dei manufatti.
Quanto poi all’esistenza di un accordo criminoso e alla partecipazione al delitto contestato di COGNOME, costui non avrebbe materialmente contribuito alla realizzazione dell’atto falso, non sarebbe stato menzionato nella conversazione telefonica richiamata dalla Corte di appello né avrebbe preso parte ad essa, né vi sarebbe prova della volontarietà e consapevolezza della immutatio veri.
3.2. Con il secondo motivo, il ricorso censura la violazione dell’art. 63, comma 2, cod. proc. pen., norma processuale stabilita a pena di inutilizzabilità, in
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relazione alle dichiarazioni rese da COGNOME ritenute utilizzabili sul presupposto che le dichiarazioni auto-indizianti di una persona non sottoposta ad indagini non sarebbero utilizzabili contro chi le ha rese, ma lo sarebbero nei confronti dei terzi.
COGNOME titolare dell’immobile oggetto dell’accertamento e beneficiario del falso ideologico, avrebbe dovuto essere escusso ab initio come indagato nel medesimo procedimento ai sensi dell’art. 117 cod. pen., con conseguente applicazione dell’art. 63, comma 2, cod. proc. pen., che prevede una inutilizzabilità patologica erga omnes scaturente dal compimento di atto in violazione di un divieto di legge.
3.3. Con il terzo motivo, il ricorso denuncia la violazione degli artt. 157 e 159 cod. pen., avendo la sentenza di appello ritenuto che i reati contestati non si siano estinti per prescrizione in quanto all’astensione dalle udienze in adesione alla delibera dell’UCPI non si applicherebbe il regime della sospensione dettato dall’art. 159, comma 3, cod. pen. Tale assunto si fonderebbe su un’interpretazione errata dell’art. 3 del Codice di autoregolamentazione delle astensioni dalle udienze degli avvocati, a mente del quale l’astensione si considera come un «legittimo impedimento». E da tale qualificazione discenderebbe che la sospensione della prescrizione deve essere contingentata nel termine di 60 giorni con riferimento a taluni dei rinvii meglio indicati in ricorso, di tal che i reati contestati sarebbero estinti per prescrizione già prima della sentenza di appello.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono inammissibili.
Muovendo dall’analisi del ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME osserva il Collegio che le relative argomentazioni appaiono, nel complesso, manifestamente infondate.
2.1. Con riferimento alle deduzioni difensive svolte in relazione ai delitti contestati ai capi I) e K), va premesso che questi ultimi concernono altrettante ipotesi di falso in atto pubblico, di cui, secondo le sentenze di merito, l’imputato si è reso responsabile, in concorso con NOME COGNOME attestando falsamente, nelle relazioni trasmesse alla Procura di Noia, talune circostanze asseritamente rilevate (o non rilevate) in occasione di alcuni sopralluoghi che i due avevano eseguito.
Ne consegue che, come condivisibilmente osservato dalla sentenza impugnata, ciò che assume rilievo nel caso in esame non è se le difformità, pacificamente riscontrate tra le opere realizzate e la loro descrizione nei progetti assentiti, integrassero altrettante violazioni edilizie, quanto, appunto, se nelle suddette relazioni siano state descritte opere in realtà inesistenti o, all’opposto, non siano state indicate opere, invece, esistenti o, ancora, non siano state descritte talune
rilevanti modificazioni dello stato dei luoghi, pure riscontrate in occasione dei sopralluoghi. Ciò che, come detto, le sentenze hanno, invece, puntualmente posto in luce.
Ne consegue, pertanto, che la mancata risposta alle censure difensive svolte nell’atto di appello in ordine alla inapplicabilità alle suddette difformità del regime autorizzatorio previsto dalle vigenti disposizioni edilizie non configura il lamentato vizio di motivazione, non risultando da tale omissione alcun vulnus al corretto impianto motivazionale/decisorio della sentenza.
Quanto, poi, ai rilievi concernenti la sussistenza del dolo in capo all’imputato, le sentenze di merito hanno puntualmente messo in evidenza come la circostanza che COGNOME abbia consapevolmente reso delle false attestazioni emerga, nitidamente, da varie conversazioni intercettate, come riportate dalla Corte territoriale. Alle pagine da 9 a 12 della motivazione, infatti, la sentenza impugnata ha evidenziato come, nella conversazione n. 927 del 9 marzo 2011, COGNOME e COGNOME, pochi giorni dopo l’accesso dei Carabinieri della stazione di Marigliano, avessero commentato il sopralluogo del 21 dicembre 2010 e avessero, nell’occasione, palesato una evidente preoccupazione, tanto che COGNOME aveva manifestato al suo interlocutore la volontà di integrare la propria relazione, a dimostrazione della consapevolezza delle omissioni contenute nell’atto. In tale conversazione, inoltre, i due imputati avevano fatto riferimento alla cantina non autorizzata e alla apposizione di un telone a copertura dell’abuso, circostanze emergenti dal verbale di sequestro del manufatto eseguito dai Carabinieri il 3 marzo 2011; e al fatto che i militari non si erano avveduti, per loro fortuna, di un’ulteriore violazione edilizia. Ciò che ha indotto logicamente a concludere che i loquenti fossero consapevoli dell’abusività degli interventi realizzati dai Cerqua (avendo significativamente definito l’intervento proprio in termini di “abuso”) e del mancato rilievo di questi ultimi in occasione del predetto sopralluogo. E ancora è stato valorizzato il passo della conversazione intercettata in cui, dopo che COGNOME aveva ipotizzato che fossero in corso di svolgimento delle intercettazioni, COGNOME aveva proposto di difendersi sostenendo di avere semplicemente operato con negligenza a causa dei numerosi accertamenti tecnici da espletare quotidianamente. Del pari, alle pagine da 14 a 16, la sentenza impugnata ha richiamato la conversazione n. 203 del 4 dicembre 2010 nella quale COGNOME aveva rappresentato a COGNOME l’urgenza di firmare delle carte, senza procedere al sopralluogo, dopo essere stato contattato da COGNOME, proprietario del manufatto oggetto della verifica; nonché la conversazione n. 274, dalla sentenza non illogicamente interpretata nel senso che l’abuso era stato camuffato con del terreno, sicché COGNOME e COGNOME avrebbero potuto procedere al sopralluogo.
2.2. Venendo, poi, al capo N) dell’imputazione, la sentenza ha puntualmente dato atto del fatto che il mutamento della destinazione era stato realizzato non
solo attraverso l’apposizione di mobili, comunque avvenuta prima del sopralluogo di Squillante, ma anche con un aumento di volumetria nella misura di 5,40 metri cubi, oltre che con la realizzazione di bagni. Ne consegue, pertanto, che la qualificazione giuridica della condotta ascritta all’imputato con tale capo si sottrae alle censure svolte in ricorso, che hanno carattere reiterativo e che, in ogni caso, si rivelano manifestamente infondate.
2.3. Per quanto, infine, concerne il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, costituisce ius receptum che il relativo giudizio si configura come esercizio di un potere valutativo riservato al giudice di merito, come tale incensurabile, in sede di legittimità, ove congruamente motivato alla stregua anche soltanto di alcuni dei parametri previsti dall’art. 133 cod. pen., senza che occorra un’analitica esposizione dei criteri di valutazione adoperati (ex plurimis Sez. 5, n. 33114 del 08/10/2020, COGNOME Rv. 279838 – 02).
Nel caso in esame, la Corte territoriale ha ben motivato la relativa decisione, richiamando sia la pluralità delle condotte, indice di una maggiore intensità del dolo, sia la gravità del reato, sia, infine, la mancanza di qualsiasi concreto elemento di fatto su cui fondare il riconoscimento delle attenuanti in parola.
Ne consegue la manifesta infondatezza della relativa censura.
I ricorsi di COGNOME e COGNOME sono parimenti inammissibili per la loro manifesta infondatezza, avendo a oggetto, in larga parte, questioni di fatto già risolte nei precedenti gradi di merito.
3.1. Con il primo motivo di ricorso, i due imputati si dolgono dell’omessa motivazione da parte della Corte territoriale in relazione ai rilievi mossi con l’atto di appello con riguardo alla insufficiente motivazione del Giudice di primo grado relativamente al delitto contestato al capo I).
Tale motivo è, nondimeno, generico. Dalle motivazioni di primo e secondo grado emerge, infatti, un ordito argomentativo congruo e pienamente logico in relazione a tutti gli elementi della fattispecie in contestazione, non incisa dai rilievi difensivi, atteso che la censurata presenza di omissioni nei documenti dell’ufficio non è comunque in grado di obliterare la circostanza che, al momento del sopralluogo, fosse stata redatta una relazione non corrispondente al reale stato dei luoghi.
Quanto, poi, alle censure sulla valutazione frazionata del teste, va ribadito, innanzitutto, che la giurisprudenza di legittimità ha da tempo affermato che la valutazione frazionata delle dichiarazioni è consentito quando i fatti risultati inattendibili non costituiscano l’imprescindibile antecedente logico di quelli da provare (Sez. 4, n. 21886 del 19/04/2018, COGNOME, Rv. 272752 – 01; Sez. 3, n. 3256 del 22/01/2013, P.C., Rv. 254133 – 01; Sez. 3, n.40170 del 6/12/2006,
COGNOME, Rv. 235575 – 01), atteso che la inattendibilità parziale di un contenuto dichiarativo non travolge l’intera deposizione.
In ogni caso, la censura è generica, in quanto non appare in grado di disarticolare l’intero ragionamento probatorio, che si fonda, invero, su documenti e sul raffronto successivo dello stato dei luoghi da parte della polizia giudiziaria, oltre che dalle emergenze delle conversazioni intercettate, di cui si è già fatto cenno.
3.2. Con il secondo motivo, il ricorso deduce la violazione dell’art. 63, comma 2, cod. proc. pen., con conseguente utilizzabilità delle dichiarazioni rese da NOME COGNOME.
Osserva, nondimeno, il Collegio che la giurisprudenza di legittimità ha affermato che le dichiarazioni rese da un soggetto quale persona informata dei fatti, quando siano assunte in assenza di indizi d’una sua possibile responsabilità, restano utilizzabili nei confronti dei terzi anche se, nel prosieguo del procedimento, l’interessato assume, in relazione agli stessi fatti diversamente qualificati, la veste di indagato o imputato (così Sez. U, n. 33583 del 26/03/2015, COGNOME, Rv. 264482 – 01; Sez. 2, n. 25958 del 12/02/2013, COGNOME, Rv. 256453 – 01; nella giurisprudenza successiva v. Sez. 2, n. 6026 del 27/01/2016, COGNOME, Rv. 266254 – 01; Sez. 2, n. 36162 del 27/04/2017, COGNOME, non massimata; Sez. 2, n. 15629 del 08/01/2019, COGNOME, non massimata; Sez. 2, n. 13642 del 16/03/2021, Forte, non massimata). Nel caso di specie, i Giudici di merito hanno ben motivato circa le ragioni che escludevano la possibilità di considerare COGNOME come potenziale indagato al momento della sua escussione, e, pertanto, l’interpretazione data dagli stessi alle dichiarazioni rese contra alios, prima dell’emersione di indizi a suo carico, è del tutto corretta, sicché la valorizzazione delle relative dichiarazioni deve ritenersi pienamente condivisibile.
3.3. Con il terzo motivo, il ricorso deduce l’erronea applicazione degli artt. 157 e 159 cod. proc. pen., per non aver ritenuto prescritto il reato di cui al capo I) nonostante le sospensioni disposte a seguito dell’astensione degli avvocati dalle udienze.
3.3.1. Il ricorso, sul punto, articola un sub paragrafo 1), con cui lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l’omessa motivazione, l’erronea applicazione dell’art. 479 cod. pen. e la violazione e falsa applicazione dell’art. 192 cod. proc. pen. A illustrazione di tale motivo, gli imputati si dolgono del fatto che la Corte territoriale non avrebbe motivato sui rilievi difensivi, formulati con riferimento alla sentenza di primo grado in relazione alla preesistenza delle strutture difformi al sopralluogo effettuato dagli imputati e che le opere realizzate non sarebbero significative sul piano edilizio.
3.3.1.1. Quanto a quest’ultimo rilievo, è appena il caso di rinviare a quanto già osservato con riferimento alla posizione di COGNOME in relazione all’irrilevanza
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dell’esistenza dell’abuso ai fini di una falsa rappresentazione della realtà. La Corte di appello ha motivato sui dati rilevanti ai fini della contestazione, rigettando implicitamente le questioni che si ponevano, sul piano logico, in un rapporto di incompatibilità con la complessiva struttura argomentativa della sentenza (Sez. 4, n. 5396 del 15/11/2022, COGNOME, Rv. 284096 – 01). Come condivisibilmente osservato dal Procuratore generale in sede di requisitoria scritta, tale rigetto implicito non appare meritevole di censura, non essendo i profili non esaminati realmente rilevanti ai fini della decisione, concernente la discrasia tra lo stato di fatto attestato dagli imputati e quello successivamente riscontrato dai Carabinieri.
3.3.1.2. I Giudici di merito, inoltre, hanno adeguatamente esplicitato le ragioni che li hanno condotti a escludere che te modifiche potessero essere intervenute nell’arco temporale compreso tra i sopralluoghi e i successivi accertamenti da parte della polizia giudiziaria. In particolare, all’uopo la sentenza impugnato ha valorizzato soprattutto le intercettazioni telefoniche, analizzate nelle sentenze di merito e già in precedenza sunteggiate, rispetto ai cui contenuti i ricorsi non hanno articolato puntuali censure, risultando sul punto aspecifici.
Quanto, poi, alle deduzioni difensive in ordine all’attendibilità di COGNOME e all’utilizzabilità delle sue dichiarazioni, devono ribadirsi le considerazioni già svolte con riferimento al ricorso di NOME COGNOME, cui, dunque, deve farsi integrale riferimento.
3.3.1.3. Per quanto, poi, attiene all’ulteriore profilo della responsabilità di COGNOME, la motivazione delle due sentenze di merito non presenta i profili di manifesta illogicità denunciati dalla Difesa dell’imputato.
Invero, la Corte territoriale ha ben evidenziato non soltanto il chiaro significato indiziario da attribuire alla conversazione n. 927, ma anche la manifesta inverosimiglianza delle giustificazioni addotte dall’imputato, il quale, nel riferire di non avere fotografato lo spazio oggetto del mutamento di destinazione, ha implicitamente confermato che esso era stato indebitamente destinato a cucina.
Dunque, il ragionamento articolato in sede di merito per addivenire all’affermazione di responsabilità dell’imputato deve ritenersi del tutto congruo e rispetto ad esso le odierne censure assumono una connotazione essenzialmente rivalutativa del materiale probatorio; operazione chiaramente preclusa in sede di legittimità.
3.3.2. Quanto, infine, alle ulteriori questioni, anch’esse poste con il terzo motivo, relative all’incidenza delle astensioni degli avvocati dalle udienze sulla sospensione del termine per la prescrizione, i ricorrenti invocano una durata massima della sospensione pari a 61 giorni.
In tal modo, tuttavia, essi equiparano tale causa di sospensione a quella di un «impedimento». In realtà, il riconoscimento del diritto costituzionalmente garantito della difesa ad astenersi in ipotesi siffatte comporta che debba essere
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riconosciuta la legittimità della «richiesta di rinvio», con conseguente inapplicabilità del limite dei 60 giorni nel determinare la durata massima della sospensione. Infatti, la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che il limite di 60 giorni previsto dall’art. 159, comma primo, n. 3, cod. pen., non si applichi al differimento dell’udienza determinato dalla adesione del difensore alla manifestazione di protesta indetta dalle Camere penali, con la conseguenza che, in tal caso, il corso della prescrizione può essere sospeso per il tempo, anche maggiore di 60 giorni, ritenuto adeguato in relazione alle esigenze organizzative dell’Ufficio procedente (Sez. 3, n. 8171 del 07/02/2023, COGNOME, Rv. 284154 – 01; Sez. 3, n. 11671 del 24/02/2015, COGNOME, Rv. 263052 – 01).
Ne discende che è corretto il calcolo operato dalla Corte di appello.
4. Sulla base delle considerazioni che precedono, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in 3.000,00 euro.
PER QUESTI MOTIVI
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in data 20 novembre 2024