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Falso ideologico: la Cassazione conferma condanne

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibili i ricorsi di alcuni pubblici ufficiali condannati per falso ideologico. Avevano attestato falsamente la conformità di opere edilizie ai permessi di costruire, mentre in realtà esistevano abusi significativi. La sentenza conferma che la prova del dolo può derivare da intercettazioni e che il ricorso in Cassazione non può riesaminare i fatti del processo. La decisione ribadisce la gravità del reato di falso ideologico e l’importanza della veridicità degli atti pubblici.

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Pubblicato il 10 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Falso Ideologico: La Consapevolezza della Falsità non Ammette Semplici Negligenze

Una recente sentenza della Corte di Cassazione penale ha riaffermato principi cruciali in materia di falso ideologico in atto pubblico, in particolare quando commesso da pubblici ufficiali incaricati di accertamenti tecnici. La decisione conferma le condanne emesse nei gradi di merito, chiarendo come la prova della consapevolezza di attestare il falso possa essere desunta da elementi concreti come le intercettazioni telefoniche, e ribadendo i limiti del sindacato di legittimità. Questo caso offre spunti fondamentali sulla responsabilità dei funzionari pubblici e sulla non scusabilità di determinate condotte omissive o commissive.

I Fatti del Caso

La vicenda processuale ha origine da alcuni accertamenti su opere edilizie. Tre pubblici ufficiali, incaricati di verificare la conformità di lavori edili rispetto ai permessi rilasciati, redigevano verbali e relazioni tecniche in cui attestavano che gli immobili ispezionati erano conformi a quanto autorizzato. Tuttavia, successive indagini svelavano una realtà ben diversa.

In un caso, si accertava che erano stati eseguiti lavori edili abusivi e che era stata mutata la destinazione d’uso di un immobile. In altri episodi, gli ufficiali attestavano falsamente la sospensione dei lavori o la conformità delle strutture ai progetti, omettendo di segnalare importanti abusi come la realizzazione di vani non previsti, aumenti di volumetria e la costruzione di strutture ex novo su aree agricole. Addirittura, in una circostanza, veniva attestata l’avvenuta demolizione di opere abusive che invece erano ancora presenti, sebbene occultate alla vista.

Condannati in primo e secondo grado, gli imputati proponevano ricorso per cassazione, lamentando vizi di motivazione e violazione di legge.

I Motivi del Ricorso e la Difesa degli Imputati

Le difese degli imputati si basavano su diversi argomenti, tra cui:

* Mancanza di prova del dolo: Sostenevano che non vi fosse prova della loro consapevolezza e volontà di attestare il falso. Le eventuali discrepanze, a loro dire, potevano derivare da semplice negligenza o da una lettura errata delle planimetrie, non da un’intenzione fraudolenta.
* Irrilevanza penale delle difformità: Affermavano che alcune delle opere abusive contestate non necessitavano di autorizzazione o erano sanabili, e quindi la loro mancata segnalazione non integrava il reato.
* Inattendibilità delle prove: Contestavano l’attendibilità dei testimoni e l’interpretazione data alle intercettazioni telefoniche.
* Prescrizione: Sollevavano questioni relative al calcolo dei termini di prescrizione, sostenendo che alcune sospensioni del procedimento fossero state computate in modo errato.

La Decisione della Corte: Inammissibilità e la Prova del Falso Ideologico

La Corte di Cassazione ha dichiarato tutti i ricorsi inammissibili, ritenendoli manifestamente infondati. I giudici hanno sottolineato che i ricorsi miravano, in realtà, a una nuova e non consentita valutazione dei fatti, compito che spetta esclusivamente ai giudici di merito (Tribunale e Corte d’Appello) e non alla Corte di legittimità.

le motivazioni

La Corte ha smontato punto per punto le argomentazioni difensive. Innanzitutto, ha evidenziato come la prova del dolo, ovvero della piena consapevolezza e volontà di commettere il reato, emergesse chiaramente dalle motivazioni delle sentenze precedenti. In particolare, le intercettazioni telefoniche e ambientali erano state decisive. In queste conversazioni, gli stessi imputati discutevano degli “abusi”, mostravano preoccupazione per i controlli e pianificavano come integrare le relazioni per coprire le omissioni. Questo dimostrava, secondo i giudici, una chiara coscienza dell’illegalità e non una mera svista.

La Cassazione ha poi ribadito un principio fondamentale: nel falso ideologico, ciò che rileva è la discrasia tra quanto attestato nell’atto pubblico e la realtà fattuale esistente al momento della redazione dell’atto. L’eventuale sanabilità successiva degli abusi o la loro modesta entità non esclude la falsità dell’attestazione originaria. Il dovere del pubblico ufficiale è quello di descrivere la realtà per come essa si presenta.

Infine, la Corte ha respinto le censure sulla prescrizione, confermando la correttezza del calcolo operato dalla Corte d’Appello riguardo ai periodi di sospensione dovuti all’astensione dei difensori dalle udienze.

le conclusioni

La sentenza in esame consolida alcuni principi giuridici di grande importanza pratica:

1. La prova del dolo nel falso ideologico: La consapevolezza di alterare la verità può essere provata con ogni mezzo, incluse le intercettazioni, che possono rivelare la reale intenzione del pubblico ufficiale al di là delle giustificazioni formali.
2. I limiti del ricorso in Cassazione: La Corte Suprema non è un “terzo grado di giudizio” dove si possono ridiscutere le prove. Il suo compito è verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione, non sostituire la propria valutazione a quella dei giudici di merito.
3. La responsabilità del pubblico ufficiale: Chi è chiamato a redigere un atto pubblico ha il dovere di attestare il vero. Trincerarsi dietro una presunta negligenza non è sufficiente a escludere la responsabilità penale quando gli elementi probatori indicano una deliberata alterazione della realtà.

Come si prova l’intenzione (dolo) nel reato di falso ideologico commesso da un pubblico ufficiale?
La sentenza chiarisce che la prova del dolo può essere desunta da una serie di elementi logici e fattuali, incluse le conversazioni intercettate. In questo caso, le intercettazioni hanno rivelato che gli imputati erano pienamente consapevoli degli abusi edilizi, li definivano tali e manifestavano preoccupazione, dimostrando così la loro volontà di attestare il falso.

Un ricorso in Cassazione può servire a riesaminare le prove e i fatti del processo?
No. La Corte di Cassazione ha ribadito che il suo ruolo è quello di giudice di legittimità, non di merito. Non può quindi rivalutare le prove, come l’attendibilità di un testimone o il contenuto di una conversazione, a meno che la motivazione della sentenza impugnata non sia manifestamente illogica o contraddittoria, cosa che non è avvenuta in questo caso.

L’astensione degli avvocati dalle udienze come incide sulla prescrizione del reato?
La Corte ha specificato che la sospensione della prescrizione a seguito di un rinvio richiesto per l’adesione del difensore a un’astensione di categoria non è soggetta al limite massimo di 60 giorni. La durata della sospensione può essere anche maggiore, se ritenuta adeguata alle esigenze organizzative dell’ufficio giudiziario, e il calcolo effettuato dalla Corte d’Appello è stato ritenuto corretto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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