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Falso ideologico in cartella clinica: la Cassazione

La Corte di Cassazione conferma la condanna per falso ideologico in cartella clinica a carico di due medici. La sentenza chiarisce che la presenza di anomalie macroscopiche nel tracciato cardiotocografico e altri segni evidenti di sofferenza fetale, ignorati e non riportati correttamente, dimostra l’intento doloso di occultare la reale situazione clinica, integrando così il reato. Il ricorso è stato rigettato, consolidando il principio sulla responsabilità penale per alterazione dei dati sanitari.

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Pubblicato il 25 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Falso Ideologico in Cartella Clinica: Quando l’Errore Diventa Reato

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha riaffermato i confini della responsabilità medica, focalizzandosi sul reato di falso ideologico in cartella clinica. Il caso esaminato riguarda due medici condannati per aver alterato la documentazione sanitaria a seguito del decesso di un feto durante il parto. Questa pronuncia offre importanti chiarimenti su come viene accertato l’elemento soggettivo del dolo, ovvero l’intenzionalità, in contesti clinici complessi.

La Vicenda Processuale

Il processo ha origine dalla tragica morte di un feto. In primo grado, due medici, il ginecologo di fiducia della partoriente e quello di turno in clinica, vengono condannati per omicidio colposo in cooperazione e per falso ideologico. Secondo l’accusa, i due avrebbero cagionato la morte del feto per negligenza e avrebbero poi falsificato la cartella clinica per coprire le proprie responsabilità.

In appello, la situazione si ribalta: i medici vengono assolti da tutte le accuse. Tuttavia, a seguito del ricorso del Procuratore Generale, la Corte di Cassazione annulla l’assoluzione limitatamente alle accuse di falso, rinviando il caso a una nuova sezione della Corte d’Appello. Quest’ultima, riesaminando gli atti, condanna entrambi i medici per il reato di falso ideologico. La sentenza attuale è il risultato del ricorso presentato dai medici contro questa condanna.

Il Falso Ideologico in Cartella Clinica al Vaglio della Cassazione

I ricorrenti hanno sostenuto, tra le altre cose, la mancanza dell’elemento psicologico del reato. La difesa ha argomentato che le annotazioni in cartella clinica, seppur errate, erano frutto di una diagnosi frettolosa e non di un’intenzione deliberata di falsificare la realtà. In particolare, si affermava che non c’era stato il tempo materiale per analizzare a fondo il tracciato cardiotocografico, che presentava anomalie.

Inoltre, i medici contestavano la valutazione della pena e la mancata concessione di alcuni benefici di legge, come la non menzione della condanna nel casellario giudiziale per uno dei due imputati.

Le Motivazioni della Corte

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente i ricorsi, ritenendo le motivazioni della Corte d’Appello pienamente logiche e giuridicamente corrette. Per i giudici, l’intento di commettere il falso ideologico in cartella clinica era evidente da una serie di dati oggettivi che i medici non potevano ignorare.

Il punto centrale della decisione risiede nella valutazione del tracciato cardiotocografico. La perizia aveva evidenziato una “macroscopica difformità tra il tracciato in oggetto e quello associato ad una situazione di benessere del nascituro”. Queste anomalie, secondo la Corte, erano talmente evidenti da non poter essere ignorate da un professionista qualificato. L’aver annotato un “tracciato non patologico” non poteva quindi essere considerato un semplice errore, ma una deliberata falsificazione.

A questo si aggiungeva un altro dato oggettivo: il colore anomalo del liquido amniotico, palese indicatore di sofferenza fetale. Anche questo elemento, noto ai sanitari, è stato ritenuto dalla Corte come una prova inconfutabile dello stato di pericolo del nascituro, rendendo l’annotazione di dati rassicuranti in cartella una chiara attestazione del falso.

La Cassazione ha sottolineato che il tentativo della difesa di proporre una “rilettura” alternativa dei fatti non è ammissibile in sede di legittimità. Il compito della Suprema Corte non è riesaminare le prove, ma verificare la logicità e la coerenza della motivazione della sentenza impugnata, che in questo caso è stata giudicata ineccepibile.

Per quanto riguarda la pena e i benefici, la Corte ha confermato la decisione dei giudici di merito. La negazione della non menzione a un imputato, pur in presenza della sospensione condizionale, è stata ritenuta legittima in quanto i due benefici hanno finalità diverse. Mentre la sospensione mira al reinserimento, la non menzione può essere negata se prevalgono ragioni di pubblicità sociale legate alla gravità del fatto.

Conclusioni

La sentenza consolida un principio fondamentale in materia di responsabilità sanitaria: la cartella clinica è un atto pubblico la cui integrità è tutelata penalmente. La deliberata attestazione di fatti non veritieri, finalizzata a nascondere una situazione clinica critica e le relative responsabilità, integra pienamente il reato di falso ideologico. L’elemento soggettivo del dolo può essere desunto da prove oggettive e “macroscopiche”, come anomalie strumentali evidenti, che un professionista non ha la facoltà di ignorare. Questa decisione serve da monito sull’importanza della corretta e veritiera compilazione della documentazione sanitaria, non solo come strumento clinico, ma anche come atto di fede pubblica.

Quando una annotazione errata in cartella clinica diventa reato di falso ideologico?
Secondo la sentenza, ciò avviene quando l’annotazione non è un semplice errore o una svista, ma una deliberata attestazione di un fatto falso (es. ‘tracciato non patologico’) fatta con la consapevolezza di alterare la verità, come dimostrato dalla presenza di dati oggettivi e macroscopici (es. tracciato anomalo, colore del liquido amniotico) che indicavano una realtà clinica diversa.

La fretta o la mancanza di tempo per analizzare i dati possono escludere il dolo nel reato di falso?
No. La Corte ha stabilito che di fronte ad anomalie “macroscopiche” e immediatamente riconoscibili da un professionista qualificato, la scusante della fretta non è valida. L’aver ignorato tali segnali e aver attestato il falso indica una volontà di occultare la realtà, non una semplice negligenza diagnostica.

È possibile ottenere la sospensione condizionale della pena ma vedersi negare il beneficio della non menzione della condanna?
Sì, la Corte ha confermato che è una scelta ammissibile. I due benefici perseguono finalità diverse: la sospensione condizionale mira a favorire la rieducazione del condannato, mentre la non menzione riguarda l’aspetto della notorietà della condanna. Un giudice può concedere la prima, ritenendo possibile un ravvedimento futuro, ma negare la seconda per far prevalere le ragioni di pubblicità sociale, specialmente in caso di reati di particolare gravità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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