Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 10419 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 10419 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 04/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a RIELASINGEN (GERMANIA) il 09/04/1964
avverso l’ordinanza del 10/09/2024 del TRIBUNALE del RIESAME di CATANZARO visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito, per COGNOME l’avv. NOME COGNOME comparso in sostituzione dell’avv. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
Con ordinanza in data 10 settembre 2024, il Tribunale di Catanzaro – Sezione del riesame, pronunciandosi in sede di appello cautelare, ha rigettato il gravame proposto nell’interesse di NOME COGNOME avverso l’ordinanza emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro il 30 maggio 2024 con la quale gli era stata applicata la misura interdittiva della sospensione, per la durata di 12 mesi, delle funzioni rivestite presso l’Azienda sanitaria provinciale di Catanzaro in relazione ai delitti, commessi in concorso con NOME COGNOME, di falso ideologico realizzato tramite induzione in errore dell’autore materiale dell’atto e aggravato dalla finalità teleologica in relazione al delitto di truffa (capo 1) e d tentata truffa ai danni dell’A.SRAGIONE_SOCIALE di Catanzaro (capo 2), nonché, senza il concorso di NOME, per un ulteriore falso ideologico commesso dallo stesso COGNOME per occultare le sue condotte precedenti (capo 3). In sintesi, l’ordinanza impugnata e il provvedimento genetico, cui la prima rimanda diffusamente, hanno ritenuto sussistenti i gravi indizi di colpevolezza a carico dell’indagato in ordine alla falsificazione del verbale n. 54 della seduta del 27 marzo 2023 dell’Organismo indipendente di valutazione delle performances (di seguito 0.I.V.) dell’A.S.P. di Catanzaro di cui NOME era segretario, materialmente commessa dallo stesso indagato su istigazione di NOME, responsabile dell’Unità operativa di Ingegneria clinica della predetta A.S.P.; falsificazione consistita nell’attribuzione alla struttur gestita da NOME di percentuali di realizzazione degli obiettivi aziendali superiori a quelle effettivamente attribuite dall’O.I.V. e attraverso la quale gli indagati avevano tentato di far ottenere a NOME alcuni incentivi economici collegati alla performance aziendale, i quali, diversamente, non gli sarebbero stati corrisposti. I Giudici di merito, inoltre, hanno ravvisato i gravi indizi di colpevolezza a carico di NOME in ordine alla ulteriore falsificazione dello stesso verbale, che egli aveva tentato di riportare al suo contenuto originario al fine di occultare le tracce della precedente attività illecita, una volta che essa era stata scoperta e gli era stata contestata dalla prof.ssa NOME COGNOME presidente dell’O.I.V. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
COGNOME ha proposto ricorso per cassazione avverso il predetto provvedimento per il tramite del difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME deducendo quattro distinti motivi di impugnazione, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo, il ricorso lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione dell’art. 273 cod. proc. pen., nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza.
Dopo avere svolto una critica generale alle due ordinanze per difetto di autonoma valutazione, avendo la seconda riprodotto pedissequamente il contenuto della prima (che a sua volta avrebbe riprodotto il contenuto della richiesta cautelare), senza tenere in alcun conto i rilievi difensivi, il ricorso deduce che, diversamente da quanto ritenuto nei provvedimenti impugnati, dalle dichiarazioni delle persone informate sui fatti non emergerebbe che NOME abbia ammesso le proprie responsabilità davanti a tutti i componenti dell’O.I.V. e della struttura tecnica, atteso che essi si sarebbero allontanati mentre egli parlava con la prof. NOMECOGNOME e che, diversamente da quanto ritenuto nell’ordinanza, l’indagato avrebbe riconosciuto soltanto di essere incorso in errore, asserendo, inoltre, di non avere mai subito pressioni da parte di NOME.
Sotto altro profilo, il ricorso opina che la presunta falsificazione riguarderebbe un file di word editabile, che non avrebbe potuto essere considerato come un atto pubblico in quanto, al momento della sua alterazione, esso non era stato ancora reso immodificabile attraverso la sua trasformazione in un file di sola lettura. Dunque, fino a quel momento, si sarebbe stati al cospetto di una semplice bozza e non un atto definitivo, non essendo state ancora apposte tutte le firme necessarie a farlo diventare tale e non avendo l’atto una data certa, sicché non sarebbe possibile comprendere se e quando esso fosse divenuto «atto pubblico».
Inoltre, non sarebbe stato dimostrato alcun rapporto tra le modifiche della bozza e l’azione di Valentino, dal momento che essa avrebbe potuto essere stata modificata da qualunque soggetto munito delle credenziali per l’accesso al cloud di google, attribuite a tutti i componenti dell’O.I.V., a quelli della struttura tecnica di supporto e ad altri soggetti, taluno dei quali non più in servizio. Infine, l modifica della bozza sarebbe stata accertata attraverso la comparazione con una copia informale, detenuta dalla dott.ssa COGNOME sul suo hard disk personale e priva di qualunque garanzia di conformità all’originale, sicché il Tribunale non avrebbe dovuto considerarla probante, essendo la sua conservazione avvenuta in spregio dei criteri dettati dal «Regolamento per il corretto utilizzo degli strumenti informatici e telematici intemet e posta elettronica dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Catanzaro» (approvato con delibera aziendale n. 966 del 31 agosto 2021) e di quanto previsto dall’art. 6.3, comma 2, rubricato «Divieti espressi concernenti intemet», secondo cui «È fatto divieto al dipendente il salvataggio o l’installazione sul proprio device di programmi o archivi informatici (anche a titolo gratuito) prelevati da internet o strumenti peer to peer», nonché in violazione dell’art. 44, comma 1-bis del Codice dell’Amministrazione digitale, che individua i soggetti responsabili della gestione del sistema informatico e dell’archivio digitale.
2.2. Con il secondo motivo, il ricorso censura, ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione all’insussistenza del quadro indiziario, nonché il difetto e/o la
manifesta illogicità della motivazione, il travisamento delle censure difensive, la motivazione apparente in relazione ai gravi indizi di colpevolezza.
La Difesa premette che il verbale n. 54 era stato redatto dall’O.I.V. il 27 marzo 2023 e che esso recava la firma della prof.ssa COGNOME e della dott.ssa COGNOME assistite dai dottori COGNOME e COGNOME senza che COGNOME fosse presente. Inoltre, esso recherebbe la cancellazione della firma della prof.ssa COGNOME con la dicitura «scritto per errore il 29 maggio 2023»; e ciò ne inficerebbe il valore di prova legale. Né vi sarebbe la prova che, in data successiva, il verbale sia stato sottoposto ai componenti dell’O.I.V., anche per una nuova sottoscrizione.
Inoltre, NOME e NOME riferirebbero concordemente di non conoscersi, lavorando in una sede diversa; e che non vi sarebbe stata alcuna pressione di NOME, il quale non avrebbe alcun potere gerarchico o di altra natura su NOME. Quest’ultimo non avrebbe avuto motivo di avvantaggiarlo, né NOME di rischiare per conseguire un «insignificante» 20% in più nella percentuale di realizzazione degli obiettivi. In ogni caso, NOME, successivamente alle presunte modifiche del verbale, avrebbe presentato una richiesta di riconoscimento della percentuale dell’80%, effettivamente accordatogli con il verbale n. 69.
Ancora, la Difesa ribadisce che, come precisato da COGNOME in sede di interrogatorio di garanzia, la bozza del verbale sarebbe stata modificabile da parte di chi aveva accesso al drive di google ove essa era conservata; e che il perfezionamento dell’atto presupponeva la presenza delle firme dei componenti dell’O.I.V., apposte in presenza e da remoto, nella specie mancanti.
Le dichiarazioni della prof.ssa COGNOME secondo cui dal verbale sarebbe stata espunta la presenza di COGNOME alla seduta del 27 marzo, sarebbero smentite dal fatto che, quel giorno, egli era impegnato, per tutto il tempo, nella prova orale del concorso per dirigente amministrativo, sicché non poteva essere presente.
Inoltre, le dichiarazioni della COGNOME sarebbero confuse in ordine a quanto avvenuto con riguardo al verbale n. 54, avendo ella riferito che la copia inizialmente redatta sia stata distrutta da NOMECOGNOME il quale l’avrebbe sostituita con quella emendata, sottoscritta, tuttavia, soltanto da due membri dell’O.I.V. Una procedura, questa, chiaramente illegittima, cui avrebbero partecipato i suddetti componenti dell’O.I.V. e che avrebbe dovuto essere meglio indagata.
Infine, le dichiarazioni della prof.ssa COGNOME secondo cui NOME avrebbe ammesso di avere modificato la percentuale attribuita alla struttura di NOME portandola all’80%, non sarebbero state confermate da COGNOME, COGNOME e COGNOME i quali non avrebbero assistito a tale ammissione, né alla chiamata in correità che NOME avrebbe compiuto nei confronti di NOME.
L’ordinanza, inoltre, non spiegherebbe come la dott.ssa COGNOME abbia potuto notare, tra le 120 Unità operative sottoposte alla valutazione dell’O.I.V., la discrasia relativa proprio a quella gestita da NOME e non avrebbe approfondito
il tema delle false accuse della prof.ssa COGNOME per ritorsione legata alle vicende della posizione di presidente della Commissione antimafia, rispetto alla quale la stessa COGNOME e il direttore sanitario COGNOME, in stretti rapporti tra loro, avrebbero maturato ragioni di risentimento verso i due indagati. Infatti, la COGNOME sarebbe stata in una posizione di rivalità professionale rispetto a NOME, sicché la sua partecipazione all’O.I.V. sarebbe viziata da un conflitto di interesse e le sue dichiarazioni sarebbero, perciò, inattendibili.
In conclusione, non vi sarebbero altre prove della distruzione di un atto di cui non vi sarebbe traccia e della falsificazione di un secondo atto, mai perfezionato. NOME, infatti, avrebbe smentito di avere ammesso la falsificazione del verbale e di avere subito pressioni da NOME, sicché le sue dichiarazioni non potrebbero essere utilizzate. In ogni caso non sarebbe stato accertato come e quando NOME avrebbe fatto pressioni su NOME, posto che le dichiarazioni dei componenti dell’O.I.V. presenterebbero elementi di incertezza e non potrebbero essere poste a fondamento dei gravi indizi di colpevolezza. Peraltro, le dichiarazioni rese dalla dott.ssa COGNOME circa le pressioni che COGNOME avrebbe ammesso di avere subito da NOME, indicate nella c.n.r. del 12 dicembre 2023, sarebbero smentite da dichiarazioni di opposto tenore, rese in sede di procedimento disciplinare nel luglio dello stesso anno. Dunque, soltanto la prof.ssa COGNOME e la dott.ssa COGNOME dipendente della prima, riferirebbero della distruzione del primo verbale e della disperazione mostrata da NOME nell’ammettere gli addebiti.
Infine, il ricorso deduce che non sarebbero stati sentiti né l’altro componente dell’O.I.V., COGNOME, né il direttore generale, che deteneva l’atto asseritannente falsificato; né sarebbe stato spiegato perché non sia stata seguita, a differenza di altri casi, la procedura di correzione di errore materiale, né sarebbe stato approfondito il motivo delle dimissioni dei componenti dell’O.I.V. in data 20 luglio 2024.
2.3. Con il terzo motivo, il ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) , cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione dell’art. 274 cod. proc. pen., nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione all’omesso vaglio critico delle esigenze cautelari.
In particolare, non sarebbero stati indicati gli elementi specifici indicativi della pericolosità di NOME, essendosi fatto ricorso a un pedissequo taglia-incolla delle relative parti del provvedimento genetico, sicché mancherebbe un’autonoma valutazione di un profilo essenziale, tenuto conto del profilo personale di un soggetto incensurato, che sarebbe stato prosciolto dalle accuse per truffa. Inoltre, sarebbe inverosimile la probabilità di una recidiva dopo quanto accaduto; tanto più che egli sarebbe già stato sottoposto alla sanzione disciplinare della sospensione dallo stipendio per 3 mesi. Né sarebbe stato, infine, valutato il rilevante arco temporale trascorso dalla commissione dei fatti per cui si procede.
2.4. Con il quarto motivo, il ricorso deduce, ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione dell’art. 275 cod. proc. pen. e la violazione del principio di proporzionalità. Non sarebbe stato tenuto conto del criterio di proporzionalità nella applicazione della durata massima della misura, considerata l’incensuratezza di NOME, il suo proscioglimento da altre accuse, le precarie condizioni di salute e tenuto conto che attualmente egli lavorerebbe in una sede diversa da quella di commissione dei fatti. La sproporzione si coglierebbe anche rispetto all’incidenza della misura sulla situazione economica del nucleo familiare, che sarebbe costretto a rivolgersi alle onlus del territorio per ricevere assistenza per i generi di prima necessità.
In data 17 gennaio 2024 è pervenuta in Cancelleria una memoria difensiva a firma dell’avv. NOME COGNOME ai sensi dell’art. 121 cod. proc. pen., con la quale sono state ribadite le ragioni di doglianza espresse con il ricorso introduttivo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e, pertanto, deve essere respinto.
Occorre muovere, secondo l’ordine logico, dai primi due motivi di doglianza, nei quali si intrecciano censure che attengono alla violazione delle regole processuali di accertamento dei gravi indizi di colpevolezza e alla logicità della ricostruzione fattuale compiuta dai provvedimenti di merito, nonché alla correttezza della qualificazione giuridica del fatto contestato ai sensi dell’art. 479 cod. pen., in particolare per quanto concerne la possibilità di individuare, nella specie, un atto pubblico già formato, oggetto della ipotizzata falsificazione.
2.1. In proposito va, innanzitutto, premesso che in materia di misure cautelari personali, il giudizio di legittimità relativo alla verifica della sussistenza dei gra indizi di colpevolezza ai sensi dell’art. 273 cod. proc. pen. deve avere ad oggetto la violazione di norme di legge ovvero la mancanza o la manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato, senza potersi estendere alla ricostruzione dei fatti o all’apprezzamento del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza dei dati probatori; apprezzamento che, ove non manifestamente illogico, si sottrae a qualunque possibilità di censura nel giudizio di cassazione. Ne consegue che non è consentito dedurre profili di doglianza che, pur investendo, in apparenza, la motivazione, si risolvono, in realtà, nella richiesta di una diversa valutazione di circostanze fattuali esaminate dal giudice di merito, il quale abbia dato adeguato conto delle ragioni poste a fondamento della decisione sulla gravità del quadro indiziario attraverso una congrua motivazione degli elementi indizianti, la quale risponda ai canoni della
logica e ai principi di diritto che devono governare l’apprezzamento delle risultanze probatorie (Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, COGNOME, Rv. 215828 – 01; Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, COGNOME, Rv. 255460 – 01; Sez. F, n. 47748 del 11/08/2014, COGNOME, Rv. 261400 – 01; Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME, Rv. 276976 – 01). A quest’ultimo proposito, va poi chiarito che la nozione di gravi indizi di colpevolezza in sede cautelare non è omologa a quella che serve a qualificare il quadro indiziario idoneo a fondare il giudizio di colpevolezza finale (Sez. 5 n. 36079, del 5/06/2012, COGNOME, Rv. 253511 – 01). Al fine dell’adozione della misura cautelare, infatti, è sufficiente l’emersione di qualunque elemento probatorio idoneo a fondare «un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato» in ordine ai reati addebitati. In altri termini, in sede cautelare gli indizi non devono essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti, per il giudizio di merito, dall’art. 192, comma 2, cod. proc. pen., ove occorre, invece, la prova critica, logica e indiretta del fatto, contrapposta alla prova diretta acquisibile con i mezzi previsti dal codice di rito (Sez. 2, n. 48276 del 24/11/2022, COGNOME, Rv. 284299 – 02).
2.2. Sotto altro profilo, deve osservarsi che l’ordinanza cautelare adottata dal tribunale del riesame non richiede, a pena di nullità, l’autonoma valutazione dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari, in quanto tale requisito è previsto dall’art. 292, comma 2, cod. proc. pen. con riguardo alla sola decisione adottata dal giudice che emette la misura inaudita altera parte, essendo funzionale a garantire l’equidistanza tra l’organo requirente che ha formulato la richiesta e l’organo giudicante (così Sez. 1, n. 8518 del 10/09/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280603 – 01; Sez. 6, n. 1016 del 22/10/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278122 – 01).
Tanto premesso in termini generali, deve osservarsi che il ragionamento indiziario articolato dai due provvedimenti di merito appare conformarsi alla richiamata cornice di principio.
3.1. Ribadito che le censure difensive svolte con il primo motivo di ricorso, in relazione all’assenza di autonoma valutazione del provvedimento impugnato, sono infondate, non applicandosi l’art. 292 cod. proc. pen. all’ordinanza del riesame, va in ogni caso rilevato che il complesso degli elementi valorizzati dal Tribunale del riesame, costituiti dalle dichiarazioni dei componenti dell’O.I.V. e della struttura tecnica a suo supporto nonché da alcuni documenti, hanno consentito ai Giudici di merito di ravvisare, con motivazione non illogica, un quadro di gravità indiziaria in ordine al fatto che NOME abbia indotto i componenti dell’O.I.V. a credere che il verbale del 27 marzo 2023, redatto in forma cartacea, sottoscritto e custodito dallo stesso segretario dell’Organismo di valutazione (non presente alla prima seduta), contenesse alcuni errori di battitura e che, con tale pretesto, alla seduta
del 23 maggio 2023 egli lo abbia modificato, attribuendo alla struttura operativa gestita da Romano un punteggio più elevato di quello deciso, provvedendo contestualmente a trasmettere all’A.SRAGIONE_SOCIALE, per la liquidazione dei compensi, non il verbale, che non era stato ancora sottoscritto digitalmente da uno dei componenti, ma un prospetto globale riepilogativo delle percentuali di raggiungimento degli obiettivi. Scoperto dalla dott.ssa COGNOME grazie alla comparazione tra la nuova versione del verbale e alcuni documenti che ella deteneva (tra cui un prospetto riepilogativo dei vari punteggi che la stessa COGNOME aveva a suo tempo redatto e, soprattutto, un file contenuto in un hard disk in cui costei era solita archiviare informalmente le copie degli atti, a loro volta contenute in un cloud di google accessibile ai componenti dell’O.I.V. e ad altri soggetti), COGNOME era stato convocato dalla presidente dell’O.I.V., la prof.ssa COGNOME che alla presenza della dott.ssa COGNOME e del collega COGNOME gli aveva contestato la modifica non autorizzata dal verbale; modifica che la stessa COGNOME aveva ulteriormente riscontrato verificando che la copia stampata da NOME e sottoposta per la firma all’O.I.V. era stata ottenuta da un file modificato proprio il giorno in cui si era tenuta la riunione; file che era contenuto nel predetto cloud di google accessibile anche a NOME. Quest’ultimo, dopo che i dottori COGNOME e COGNOME si erano allontanati (e non quando essi erano ancora presenti, come del resto osservato dalla stessa Difesa), aveva ammesso davanti alla COGNOME, di avere modificato il verbale a seguito delle pressioni ricevute dal dott. COGNOME, circostanza che la COGNOME aveva successivamente raccontato alla dottssa COGNOME altra componente dell’O.I.V. Era stata, quindi, fissata una nuova riunione il 29 maggio 2023, finalizzata a dare atto di quanto accaduto e a trasmettere il dato corretto delle percentuali attribuite all’Unità operativa gestita da COGNOME; e tuttavia, in vista di tale riunione, la prof.ssa NOME aveva riscontrato che il verbale che le era stato trasmesso da NOME era stato nuovamente modificato, atteso che: la percentuale attribuita all’Unità operativa di Romano era stata riportata ai valori originari; era stata omessa la presenza di NOME alla seduta del 23 maggio 2023; non era presente la firma della NOME, la quale l’aveva originariamente apposta al verbale in forma cartacea che le era stato sottoposto. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
A quel punto, la NOME aveva dato comunicazione dell’accaduto all’ARAGIONE_SOCIALE, disponendo anche l’avvio dei procedimenti disciplinari a carico di NOME e NOME, che erano stati sanzionati con la sospensione dallo stipendio per 3 mesi, benché NOME, nel frattempo, avesse negato di avere volontariamente alterato i verbali e di avere ammesso gli addebiti alla presenza della NOME, la quale, a giudizio dello stesso NOME e di NOME, li avrebbe falsamente accusati per ragioni di rivalità professionale meglio indicati in una denuncia per diffamazione da essi successivamente formalizzata. Tale linea difensiva non è stata però accolta dal Tribunale del riesame che non l’ha ritenuta riscontrata e che ha, dunque,
ribadito il giudizio di gravità indiziaria anche a carico di NOME in ragione delle dichiarazioni auto ed eteroaccusatorie di NOME e della circostanza che NOME sarebbe stato il beneficiario degli emolumenti corrisposti dall’RAGIONE_SOCIALE per il conseguimento degli obiettivi aziendali.
3.2. Ritiene, invero, il Collegio che la ricostruzione “in fatto” ora riassunta sia stata motivata in maniera del tutto congrua e immune da qualunque profilo di illogicità e che, pertanto, salvi gli eventuali approfondimenti istruttori e dibattimentali, la valutazione del compendio indiziario compiuta dai Giudici di merito si sottragga alle censure svolte dalla Difesa dell’indagato.
In particolare, la articolata ricostruzione operata dall’ordinanza impugnata è stata basata, innanzitutto, sulle dichiarazioni della dott.ssa COGNOME componente della struttura tecnica di supporto dell’O.I.V., che ha sottolineato di avere effettuato un confronto tra la copia del verbale sottoscritto dalla prof.ssa COGNOME e dalla dott.ssa COGNOME e la copia dalla stessa custodita presso il suo hard disk personale nonché rispetto a quanto riportato nel prospetto riepilogativo dei punteggi attribuiti alle varie strutture operative, che ella aveva a suo tempo redatto. Dichiarazioni rispetto alle quali non rileva, ovviamente, che l’elemento di riscontro valorizzato fosse rappresentato da una copia informale, priva di qualunque garanzia di conformità all’originale, atteso che essa non viene qui in rilievo quale documento costituente la copia digitale dell’atto oggetto di falsificazione, dotata di autonoma forza probatoria, quanto come elemento storicofattuale in grado di riscontrare, in via logica, le affermazioni della dott.ssa COGNOME sicché nemmeno rileva, ai fini che occupano, la mancata osservanza del divieto, fatto ai dipendenti dell’RAGIONE_SOCIALE, di salvare o installare archivi informatici sul proprio device. E, soprattutto, ai fini dell’esistenza dei gravi indizi sono state valorizzate le dichiarazioni sostanzialmente confessorie rese da NOME COGNOME COGNOME il cui racconto, diversamente da quanto sostenuto nel ricorso, smentisce chiaramente che l’indagato si sia limitato a riconoscere soltanto di essere incorso in errore. Un racconto rispetto al quale non sono emerse circostanze, allo stato significative, che consentano di ipotizzare una manovra sostanzialmente calunniosa da parte della presidente dell’O.I.V., atteso che le ragioni per le quali ella possa abbia avere reso delle false accuse non sono state ben chiarite nel ricorso, al di là di un generico riferimento a una situazione di rivalità professionale tra i due e di oscuri richiami alle vicende della Commissione antimafia, di cui, allo stato, nulla è dato sapere nel presente giudizio di legittimità. L’attendibilità del racconto della prof.ssa NOME (secondo cui NOME aveva riferito di avere subito pressioni da NOME) rende, di riflesso, non rilevanti le ulteriori deduzioni difensive in ordine al fatto che NOME e NOME non si sarebbero conosciuti personalmente e che il primo non avesse alcuna ragione per avvantaggiare il secondo; deduzioni che, in ogni caso, le ammissioni di NOME hanno palesemente smentito. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Né possono ritenersi al momento rilevanti le considerazioni svolte con l’odierno atto di impugnazione in ordine alla possibilità di accesso, da parte di soggetti diversi da NOME e muniti delle necessarie credenziali, al drive in cui le bozze e le copie dei verbali venivano custodite. Tale osservazione difensiva, infatti, oblitera il dato fondamentale dell’ammissione delle proprie responsabilità da parte dell’indagato e la chiamata in correità di NOME compiute alla presenza della prof.ssa NOMECOGNOME Né appare conferente, a quest’ultimo proposito, il riferimento difensivo al mancato rispetto dei criteri di valutazione probatoria delle dichiarazioni della persona offesa, tenuto conto che la NOME non ha assunto tale qualità processuale e che, in ogni caso, il suo contributo narrativo è stato sottoposto ad accurato scrutinio. E’ stato, infatti, evidenziato come la teste e gli altri soggetti auditi abbiano denunciato le condotte di alterazione del verbale ascritte a NOME pur assumendosi la scomoda responsabilità di non avere controllato il contenuto del verbale che era stato falsificato dall’indagato, con ciò riconoscendo di avere commesso, dato il ruolo dagli stessi ricoperto, una grave leggerezza.
Né paiono significativi, in ragione della loro vaghezza, i riferimenti difensivi che alludono a mancati approfondimenti istruttori o alla mancanza di efficacia probante del documento recante la firma cancellata della Mauro, la quale, dopo avere apposto la sua firma nella copia sottopostale il 29 maggio 2023 e non in quella del 27 marzo 2023 (come parrebbe sostenere il ricorso), si era accorta, subito dopo, che il nuovo verbale era stato nuovamente modificato e aveva, appunto, cancellato la propria firma, annotando sul documento «scritto per errore». Né è possibile comprendere in che termini l’apposizione di tale annotazione possa «inficiare il valore di prova legale del documento» (così a pag. 11 del ricorso), posto che, ovviamente, non si discute affatto, nella presente sede, della efficacia probatoria dell’atto.
Quanto, poi, alla circostanza che NOME non fosse presente, in sede, in data 27 marzo 2023, tale circostanza è pacifica e, comunque, irrilevante rispetto alla ricostruzione dei fatti compiuti dai Giudici di merito, dal momento che l’ordinanza impugnata ha puntualmente messo in rilievo come egli fosse, invece, presente il 23 maggio 2023, quando aveva proceduto alla modifica non autorizzata del verbale n. 54. Per le stesse ragioni, l’affermazione difensiva che censura le dichiarazioni della Mauro in ordine al fatto che dal verbale sarebbe stata espunta la presenza di NOME alla seduta del 27 marzo appare, in realtà, frutto di un evidente travisamento, posto che tale espunzione riguardava la sua presenza il 23 maggio 2023, data della modifica del verbale, e non già l’occasione della prima seduta.
Per quanto, infine, riguarda il movente, che la difesa esclude in capo a NOME in ragione del fatto che egli non conoscesse NOME, la circostanza che lo stesso indagato abbia riferito alla NOME di avere subito pressioni dal coimputato
appare allo stato sufficiente, come ben osservato dal Tribunale del riesame, per confermare il quadro gravemente indiziario a carico dei due indagati. E del resto, l’affermazione secondo cui NOME non avrebbe avuto motivo di rischiare per un «insignificante» 20% in più nella percentuale di realizzazione degli obiettivi è smentito dalla circostanza, dedotta dalla stessa difesa di NOME, che successivamente alle modifiche del verbale, egli aveva presentato richiesta di riconoscimento della percentuale dell’80%, a dimostrazione del fatto che l’indagato aveva un evidente e specifico interesse in tal senso.
3.3. Parimenti infondata è, infine, la censura secondo cui il fatto, come ricostruito in sede di merito, non sarebbe sussumibile nella fattispecie contemplata dall’art. 479 cod. pen. in quanto, nel caso in esame, il verbale n. 54, rettificato da Valentino il 23 maggio 2023, non sarebbe stato sussistente come atto pubblico.
A questo riguardo, i rilievi difensivi attengono a due distinti profili: il file oggetto di modifica sarebbe stato ancora “editabile” (ossia non sarebbe ancora stato reso immodificabile, trasformandolo in un file di sola lettura), sicché non si sarebbe stati in presenza di un atto ancora formato; in ogni caso, la bozza non sarebbe stata sottoscritta da tutti i componenti dell’O.I.V., atteso che essa, una volta stampata da NOME, sarebbe stata firmata soltanto dalla prof.ssa NOME e dalla dott.ssa COGNOME ma non anche dal dott. COGNOME cui l’atto avrebbe dovuto essere mandato per la sottoscrizione telematica attraverso la cd. firma digitale.
Osserva, nondimeno, il Collegio che, come correttamente evidenziato dal Tribunale del riesame, la qualità di atto pubblico deve essere riconosciuta non soltanto agli atti destinati a fare piena prova del loro contenuto ai sensi dell’art. 2699 cod. civ., ma a ogni atto della pubblica amministrazione, anche endoprocedinnentale, che sia destinato ad avere rilevanza giuridica o probatoria interna quale elemento di una fattispecie documentale complessa, come gli atti di impulso di procedure amministrative, a prescindere dal fatto che il loro contenuto venga integralmente trasfuso nell’atto finale del pubblico ufficiale o ne venga a costituire solo il presupposto implicito necessario (Sez. 5, n. 37880 del 08/09/2021, COGNOME, Rv. 282028 01). Nel caso di specie, il contenuto del verbale che conteneva la rettifica del punteggio attribuito all’Unità operativa gestita dal dott. COGNOME, al di là della formale sottoscrizione dell’atto da parte di tutti i componenti, era stato, comunque, trasfuso in un atto ulteriore, ovvero il prospetto globale riepilogativo riportante le percentuali di raggiungimento degli obiettivi, trasmesso da Valentino all’Unità operativa complessa di Programmazione e controllo dell’Azienda sanitaria provinciale di Catanzaro per la liquidazione delle indennità spettanti a Romano; prospetto rispetto al quale l’atto in questione si poneva come presupposto endoprocedimentale dotato di rilevanza giuridica proprio in quanto trasfuso nell’indicato prospetto e suscettibile di produrre effetti giuridici.
Venendo, indi, alle censure mosse, con il terzo motivo, in relazione al mancato rispetto dei criteri legali in materia di esigenze cautelari e al vizio di motivazione sul punto, va ricordato che il sindacato di legittimità deve ritenersi circoscritto al controllo sulla logicità della motivazione del percorso valutativo compiuto dal giudice della cautela, senza potersi estendere al concreto apprezzamento delle circostanze di fatto su cui esso si fonda.
In tale prospettiva, la motivazione offerta dall’ordinanza impugnata, che ha evidenziato come il pericolo di reiterazione di condotte di rilevanza penale dovesse essere fondato sulle concrete modalità della condotta e sul negativo quadro di personalità suggerito dalla presenza di una precedente archiviazione per particolare tenuità del fatto in relazione a delitti di truffa e di false attestazio della presenza sul lavoro, non può certamente ritenersi manifestamente illogica, configurandosi come espressione di un tipico apprezzamento di merito, non sindacabile, in quanto tale, in sede di legittimità. Quanto, poi, alla circostanza che l’indagato sarebbe stato destinato ad altro incarico, sicché il pericolo di reiterazione dei reati sarebbe venuto meno, la valutazione del Tribunale appare, comunque, conforme all’indirizzo giurisprudenziale secondo il quale detto pericolo, ancorché connesso alla funzione pubblica esercitata dall’indagato, non è di per sé escluso dalla circostanza che egli abbia dismesso la carica o esaurito l’ufficio, a condizione che il giudice fornisca adeguata e logica motivazione sulle circostanze di fatto che rendono probabile che, pur in una diversa posizione soggettiva, l’agente possa continuare a commettere reati offensivi della stessa categoria di beni giuridici (Sez. 6, n. 1238 del 03/12/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278338 – 01). Ciò che l’ordinanza ha fatto, correttamente, con il richiamo al mantenimento dell’incarico presso l’Azienda ospedaliera di Cosenza. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Ad analogo esito deve, infine, pervenirsi con riferimento al quarto motivo di doglianza, con cui la Difesa dell’indagato deduce il mancato rispetto del criterio di proporzionalità nella scelta della misura cautelare.
Anche in questo caso, infatti, in disparte la natura fattuale di talune allegazioni (quali la situazione di difficoltà economica del nucleo familiare e le precarie condizioni di salute psico-fisica dell’indagato, aspetto, quest’ultimo, che è stato, comunque, valutato dall’ordinanza impugnata), il Tribunale del riesame ha evidenziato come la misura applicata e la sua durata dovessero ritenersi del tutto adeguate alla entità dei fatti e alla presenza di carichi pendenti per fatti commessi nel medesimo contesto funzionale. E anche in questo caso non può affatto ritenersi che la relativa valutazione sia frutto di un mero arbitrio da parte dei Giudici di merito, essendosi in presenza di una valutazione che si mantiene pienamente nel perimetro di una ragionevole opinabilità di apprezzamento, senza trasmodare in
arbitrio o in valutazioni del tutto irragionevoli; úò che in conclusione, anche riferimento all’ultímo profilo di doglianza, non consente di accedere alle richie difensive.
Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere rigettat con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
PER QUESTI MOTIVI
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
Così deciso in data 4 febbraio 2025
Il Consigliere estensore
Il Pre Jnte