Falso Grossolano e Contraffazione: Perché il Reato Sussiste Sempre
La vendita di prodotti con marchi falsificati è un reato, ma cosa succede se la contraffazione è così palese da essere immediatamente riconoscibile? La tesi del cosiddetto falso grossolano è spesso utilizzata dalla difesa per sostenere l’impossibilità di commettere il reato, ma una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: la tutela della fede pubblica prevale sulla potenziale ingenuità dell’acquirente. Analizziamo insieme questa importante decisione.
Il Caso in Esame: Appello contro la Condanna per Prodotti Contraffatti
Il caso nasce dal ricorso presentato da un individuo condannato dalla Corte d’Appello per il reato di cui all’art. 474 del codice penale, ovvero l’introduzione e il commercio di prodotti con marchi contraffatti. L’imputato ha basato il suo ricorso in Cassazione su tre motivi principali, sperando di ottenere l’annullamento della condanna.
I Motivi del Ricorso: Dal Falso Grossolano alla Pena Eccessiva
La difesa ha articolato il ricorso su tre punti chiave:
1. Il falso grossolano: Si sosteneva che la contraffazione fosse talmente evidente da non poter ingannare alcun acquirente. Di conseguenza, secondo la difesa, si sarebbe dovuta applicare la scriminante del ‘reato impossibile’ (art. 49 c.p.), poiché l’azione era inidonea a ledere il bene giuridico tutelato.
2. La particolare tenuità del fatto: In subordine, si chiedeva il riconoscimento della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.), data la presunta minima offensività della condotta.
3. L’eccessività della pena: Infine, si contestava l’entità della pena inflitta, ritenuta sproporzionata.
La Decisione della Cassazione sul Falso Grossolano
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo tutte le argomentazioni difensive. Sul punto cruciale del falso grossolano, i giudici hanno chiarito un aspetto fondamentale del reato di contraffazione. La norma non è posta a tutela della libera determinazione del singolo acquirente, che potrebbe anche essere consapevole di comprare un falso, ma della fede pubblica.
Questo bene giuridico rappresenta la fiducia generale dei cittadini e del mercato nell’autenticità dei marchi e dei segni distintivi. Si tratta, pertanto, di un reato di pericolo: per la sua configurazione, non è necessario che si verifichi un inganno effettivo. È sufficiente la messa in circolazione di prodotti falsi a creare un pericolo per la fiducia collettiva, a prescindere dalla grossolanità della contraffazione e dalle condizioni di vendita.
Le Motivazioni della Corte
La Corte ha motivato l’inammissibilità del ricorso sottolineando come i motivi proposti fossero una ‘pedissequa reiterazione’ di argomenti già valutati e respinti dalla Corte d’Appello. Il ricorso, per essere ammissibile, deve contenere una critica specifica e argomentata della sentenza impugnata, non limitarsi a riproporre le stesse tesi.
Anche riguardo alla richiesta di applicazione della ‘particolare tenuità del fatto’, la Corte ha confermato la decisione dei giudici di merito, che l’avevano esclusa per l’insidiosità della condotta e per la pregressa violazione di norme simili da parte dell’imputato. Infine, la contestazione sull’entità della pena è stata giudicata infondata, poiché la gradazione della sanzione rientra nella discrezionalità del giudice, che nel caso specifico aveva adeguatamente motivato la sua scelta facendo riferimento ai precedenti penali dell’imputato.
Le Conclusioni
L’ordinanza in esame consolida un orientamento giurisprudenziale cruciale: nel reato di commercio di prodotti contraffatti, la riconoscibilità della falsificazione è irrilevante. Il concetto di falso grossolano non può essere invocato per escludere la punibilità, poiché il bene tutelato è la fiducia del mercato e dei consumatori nel loro complesso. La decisione serve da monito: la legge punisce la circolazione di merci false per il pericolo che essa rappresenta per l’economia e la fede pubblica, indipendentemente dal fatto che un singolo acquirente possa essere ingannato o meno.
Una contraffazione palesemente riconoscibile (‘falso grossolano’) esclude il reato previsto dall’art. 474 del codice penale?
No. La Cassazione chiarisce che il reato sussiste comunque perché la norma non tutela il singolo acquirente dall’inganno, ma la ‘fede pubblica’, ovvero la fiducia generale del mercato e dei cittadini nei marchi. Si tratta di un reato di pericolo, per cui la concreta induzione in errore non è un requisito necessario.
Perché la Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso?
Perché i motivi presentati dall’imputato erano una mera e letterale ripetizione (‘pedissequa reiterazione’) di argomentazioni già esaminate e respinte nel precedente grado di giudizio, senza formulare una critica specifica e argomentata contro la decisione impugnata.
La particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.) è stata applicata in questo caso?
No, la Corte ha confermato la decisione di non applicarla. La motivazione si basa sull’insidiosità della condotta criminosa e sulla reiterata violazione di disposizioni penali analoghe da parte dell’imputato, elementi che ostacolano il riconoscimento della particolare tenuità.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 33574 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 33574 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a LICATA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 21/03/2025 della CORTE APPELLO di PALERMO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
IN FATTO E IN DIRITTO
Letto il ricorso presentato nell’interesse di NOME COGNOME;
Ritenuto che il primo motivo di ricorso, con cui contesta la correttezza della motivazione posta a base del giudizio di responsabilità, sostenendo la tesi del cd. falso grossolano e l’ipotesi del reato impossibile ex art. 49, comma 2, cod. pen., è indeducibile perché fondato su argomentazioni che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelle già dedotte in appello e puntualmente disattese dalla Corte di merito, dovendosi considerare non specifico ma soltanto apparente, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata della decisione impugnata;
che la sentenza di appello motiva correttamente, alle pagine 1 e 2, come il delitto di cui all’art. 474 cod. pen. sia integrato dalla detenzione per la vendita di prodotti recanti marchio contraffatto, senza che abbia rilievo la configurabilità della contraffazione grossolana, considerato che la previsione legislativa tutela in via principale e diretta, non la libera determinazione del singolo acquirente, ma la fede pubblica, intesa come generale affidamento dei cittadini nei marchi e segni distintivi che individuano le opere dell’ingegno ed i prodotti industriali e ne garantiscono la circolazione anche a tutela del titolare del marchio; si tratta, pertanto, di un reato di pericolo per la cui configurazione non occorre la realizzazione dell’inganno, non ricorrendo, quindi, l’ipotesi del reato impossibile qualora la grossolanità della contraffazione e le condizioni di vendita siano tali da escludere la possibilità che gli acquirenti siano tratti in inganno (Sez. 2, n. 16807 dell’11/01/2019, COGNOME, Rv. 275814-01);
Ritenuto che anche il secondo motivo di ricorso, che contesta il mancato riconoscimento dell’offesa di particolare tenuità ex art. 131-bis cod, pen., è indeducibile perché fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla Corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, non confrontandosi con la sentenza oggetto di ricorso, che alla penultima pagina chiarisce come l’istituto non sia applicabile per l’insidiosità della condotta criminosa e per la reiterata violazione di disposizioni penali analoghe;
ritenuto che il terzo motivo di ricorso, che contesta l’eccessività della pena non è consentito dalla legge in sede di legittimità ed è manifestamente infondato perché, secondo l’indirizzo consolidato della giurisprudenza, la gradazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen. che nella specie l’onere argomentativo del giudice è adeguatamente assolto, a pagina 2 della sentenza impugnata, con il riferimento ai precedenti penali che gravano la biografia criminale dell’imputato;
ritenuto, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna-del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso, il 12 settembre 2025.