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Falso grossolano: quando la contraffazione è reato?

La Corte di Cassazione, con la sentenza 10374/2025, chiarisce i confini del reato di commercio di prodotti con marchi contraffatti (art. 474 c.p.). Anche in presenza di un ‘falso grossolano’, il reato sussiste se il marchio in sé ha capacità ingannatoria, a prescindere dalla scarsa qualità del prodotto o dalle modalità di vendita. La Corte ha invece annullato la sentenza di merito per non aver valutato la richiesta di applicazione della continuazione tra reati.

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Pubblicato il 18 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Falso Grossolano e Marchi Contraffatti: la Cassazione Fa Chiarezza

La vendita di prodotti con marchi falsificati è un fenomeno diffuso, ma quando la contraffazione è così palese da essere considerata un falso grossolano? E questo esclude il reato? La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 10374/2025, offre un’importante delucidazione, stabilendo che la valutazione va fatta sul marchio in sé e non sulle circostanze della vendita. La decisione analizza anche un interessante aspetto procedurale legato all’istituto della continuazione tra reati.

I Fatti del Caso

Un commerciante veniva condannato in primo grado e in appello per il reato previsto dall’art. 474 del codice penale, per aver detenuto e messo in vendita merce (borse, portamonete e cinture) con marchi contraffatti. L’imputato, tramite il suo difensore, decideva di presentare ricorso per cassazione, affidando la sua difesa a due motivi principali.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

La difesa dell’imputato ha basato il proprio ricorso su due argomentazioni distinte:

La Tesi del Falso Grossolano

Il primo motivo di ricorso sosteneva la violazione dell’art. 474 c.p., asserendo che nel caso di specie si trattasse di un falso grossolano. Secondo la difesa, la scarsa qualità dei prodotti (“rifiniti in maniera scadente”) e le modalità di vendita su una bancarella “rudimentale” rendevano la contraffazione immediatamente riconoscibile. Di conseguenza, non vi era alcuna possibilità di ingannare il consumatore, configurando un’ipotesi di reato impossibile. In subordine, la difesa lamentava la mancata applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.), data l’esiguità del danno.

La Mancata Applicazione della Continuazione

Con il secondo motivo, la difesa denunciava un errore procedurale. Si sosteneva che la Corte d’Appello avesse erroneamente negato l’applicazione della continuazione con un’altra condanna per un reato simile, affermando che la difesa non avesse prodotto la relativa sentenza. Il ricorrente asseriva, al contrario, di aver depositato tale documento insieme alle conclusioni.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha analizzato separatamente i due motivi, giungendo a conclusioni opposte.

Sul primo punto, la Corte ha dichiarato il motivo manifestamente infondato, ribadendo un principio consolidato in giurisprudenza. Per valutare la sussistenza del reato di commercio di prodotti contraffatti, l’attenzione non deve essere posta sulle modalità di vendita (come la bancarella) o sulla qualità complessiva del prodotto. L’elemento cruciale è l’attitudine ingannatoria del marchio in sé. La norma, infatti, non tutela solo il consumatore finale, ma la “fede pubblica”, ovvero la fiducia collettiva nell’autenticità dei marchi e dei segni distintivi. Il delitto si configura con la semplice detenzione per la vendita di prodotti con un marchio falso che, isolatamente considerato, possa trarre in inganno. Pertanto, la tesi del falso grossolano basata sul contesto di vendita è stata respinta, così come la censura sulla mancata applicazione dell’art. 131-bis c.p., giudicata generica.

Sul secondo punto, invece, la Corte ha accolto il ricorso. È risultato che la difesa aveva effettivamente prodotto la sentenza relativa alla precedente condanna, mettendo la Corte d’Appello nelle condizioni di poter valutare la richiesta di applicazione della continuazione. L’erronea affermazione dei giudici di merito ha quindi viziato la sentenza su questo specifico aspetto.

Le Conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza impugnata, ma solo limitatamente alla questione della continuazione. Il caso è stato rinviato a un’altra sezione della Corte d’Appello di Catania per un nuovo giudizio su questo punto. Per tutto il resto, il ricorso è stato dichiarato inammissibile.

Questa pronuncia rafforza un importante principio: il reato di contraffazione si concentra sulla potenziale ingannevolezza del marchio stesso, proteggendo l’affidamento del pubblico nei segni distintivi a prescindere dal fatto che il singolo acquirente possa essere o meno tratto in inganno dalle circostanze specifiche dell’acquisto. Allo stesso tempo, sottolinea l’importanza per i giudici di merito di esaminare attentamente tutta la documentazione prodotta dalle parti prima di decidere.

La vendita di un prodotto con un marchio palesemente falso su una bancarella è reato?
Sì. Secondo la Cassazione, il reato sussiste se il marchio in sé ha capacità ingannatoria. Le modalità di vendita, come una bancarella, o la scarsa qualità del prodotto non sono sufficienti a escludere il reato, perché la legge protegge la fiducia del pubblico nei marchi (fede pubblica) e non solo il singolo acquirente.

Perché il reato non viene escluso in caso di falso grossolano legato al contesto di vendita?
Perché il criterio per valutare la sussistenza del reato non è l’inganno effettivo del consumatore, ma l’idoneità del marchio contraffatto a ingannare. La norma tutela un bene giuridico più ampio, la fede pubblica, che si fonda sull’affidamento che i cittadini ripongono nell’autenticità dei segni distintivi dei prodotti industriali.

Cos’è la ‘continuazione’ e perché la Cassazione ha annullato la sentenza su questo punto?
La ‘continuazione’ è un istituto che permette di considerare più reati commessi in esecuzione di un unico disegno criminoso come un’unica violazione di legge, con un trattamento sanzionatorio più favorevole. La Cassazione ha annullato la sentenza perché la Corte d’Appello aveva erroneamente affermato che la difesa non avesse prodotto la documentazione necessaria (una precedente sentenza) per valutare tale richiesta, commettendo un errore procedurale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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