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Falso grossolano: quando il ricorso è inammissibile

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imputato condannato per la falsificazione di una carta di circolazione. La Corte ha stabilito che non si configura un falso grossolano quando la falsità viene scoperta tramite controlli di polizia e non per palese evidenza. Inoltre, ha confermato che nel rito abbreviato, la prova della falsità può basarsi sugli accertamenti delle forze dell’ordine senza la necessità di acquisire il documento originale.

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Pubblicato il 17 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Falso grossolano e prova del reato: la Cassazione fa chiarezza

L’ordinanza in esame offre importanti spunti di riflessione sul reato di falso e, in particolare, sulla nozione di falso grossolano. La Corte di Cassazione, con una decisione netta, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato, confermando la sua condanna per la falsificazione di una carta di circolazione e delineando principi fondamentali in materia di prova e valutazione della condotta illecita.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine dalla condanna, confermata in appello, di un soggetto per il reato di falsità materiale commessa da privato su un certificato, ai sensi degli articoli 477 e 482 del codice penale. L’imputato aveva presentato alle forze dell’ordine una carta di circolazione risultata falsa.
Contro la sentenza della Corte d’Appello, l’imputato ha proposto ricorso per Cassazione, basandolo su due motivi principali:
1. Una presunta violazione della legge processuale, lamentando la mancata acquisizione del documento originale e ritenendo insufficiente l’accertamento tecnico svolto dai Carabinieri.
2. La tesi secondo cui la falsificazione sarebbe stata un falso grossolano, ovvero talmente palese da non poter ingannare nessuno, e quindi non punibile.

L’analisi della Corte sul falso grossolano

La Suprema Corte ha rigettato con forza l’argomento del falso grossolano. I giudici hanno chiarito che la tesi dell’imputato era del tutto assertiva. La Corte d’Appello, infatti, aveva spiegato con una motivazione logica e coerente che la falsità del documento non era emersa da una semplice analisi visiva, ma dal contrasto tra i dati riportati sul documento e quelli risultati dalla verifica effettuata dalla Polizia tramite i propri terminali.
Questo passaggio è cruciale: un falso non è “grossolano” solo perché viene scoperto. Lo è quando la sua inidoneità a ingannare è immediatamente percepibile da chiunque. Se, invece, per accertare la falsità è necessario un controllo approfondito o il confronto con banche dati, il reato sussiste in pieno, perché il documento ha avuto la capacità, anche solo potenziale, di trarre in inganno.

La Prova della Falsità nel Rito Abbreviato

Altro punto fondamentale toccato dall’ordinanza riguarda le modalità di prova della falsità. L’imputato si doleva del fatto che il documento originale non fosse stato acquisito agli atti. La Cassazione ha smontato questa doglianza ricordando che il processo si era svolto con il rito abbreviato.
In questo procedimento speciale, la decisione si fonda sugli atti di indagine. Pertanto, la prova della falsità dell’atto può essere legittimamente tratta dagli accertamenti tecnici compiuti dalla polizia giudiziaria durante le indagini. Citando un proprio precedente (sent. n. 46273/2011), la Corte ha ribadito che, ai fini della condanna, non è indispensabile che il documento falso venga materialmente acquisito al fascicolo processuale.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso “manifestamente infondato” e, di conseguenza, inammissibile. Le motivazioni si basano sulla totale inconsistenza dei motivi di ricorso. La questione del falso grossolano è stata ritenuta infondata perché la falsità non era palese, ma è stata scoperta solo grazie a una verifica strumentale. La critica sulla mancata acquisizione del documento è stata respinta in virtù delle regole probatorie specifiche del rito abbreviato scelto dall’imputato stesso. L’evidente inammissibilità del ricorso, denotando un profilo di colpa, ha portato alla condanna del ricorrente non solo al pagamento delle spese processuali, ma anche al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, come previsto dall’articolo 616 del codice di procedura penale.

Le Conclusioni

Questa ordinanza consolida due principi giuridici di notevole importanza pratica. In primo luogo, definisce i confini del falso grossolano, escludendolo quando la non autenticità di un documento può essere accertata solo attraverso controlli specialistici o informatici. In secondo luogo, riafferma un caposaldo del rito abbreviato: la sufficienza degli atti di indagine, inclusi gli accertamenti tecnici della polizia, a fondare una decisione di condanna, senza che sia sempre necessaria l’acquisizione del corpo del reato. La decisione serve da monito sulla serietà con cui devono essere presentate le impugnazioni, sanzionando con fermezza i ricorsi palesemente infondati.

Che cos’è un ‘falso grossolano’ e perché la Corte lo ha escluso in questo caso?
Un ‘falso grossolano’ è una falsificazione così evidente da non poter ingannare nessuno. In questo caso, la Corte lo ha escluso perché la falsità della carta di circolazione non era palese a occhio nudo, ma è stata scoperta solo a seguito di una verifica eseguita dalla Polizia tramite i propri sistemi informatici, dimostrando che il documento aveva la potenziale capacità di ingannare.

Per provare il reato di falso, è sempre necessario acquisire il documento originale?
No, non sempre. La Corte ha specificato che, poiché il processo si è svolto con rito abbreviato, la prova della falsità può essere legittimamente basata sugli accertamenti compiuti dalle Forze di Polizia durante le indagini. In questo contesto, non è indispensabile acquisire materialmente il documento falso al fascicolo processuale.

Cosa comporta la presentazione di un ricorso giudicato ‘manifestamente infondato’?
Quando un ricorso viene dichiarato inammissibile perché ‘manifestamente infondato’, come in questo caso, la legge prevede conseguenze economiche per il ricorrente. Oltre alla condanna al pagamento delle spese processuali, viene imposto il versamento di una somma di denaro alla Cassa delle ammende, a titolo sanzionatorio per aver avviato un’impugnazione priva di seri motivi.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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